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so, ma notabilmente diminuirono e si oscurarono; e la divina Filosofia, che in Secoli men fortunati, sotto ai sublimi esami di Socrate e di Platone, si era quasi sino alle stelle inalzata, dovette allora per lo contrario, dai suoi medesimi coltivatori avvilita, giacersi a terra, e servir solo di pascolo a vane declamazioni, a oziose dispute, a freddi sali, e a scienze inette, fantastiche, e temerarie. Nè da scempio sì fatto pur si rimasero illesi i santissimi studj di Religione; e le fallacie di stolte e superbe menti sì fattamente i purissimi dogmi ne sovvertirono, che, se divina immancabil promessa non fosse intervenuta di tener salda la Chiesa in ogni tempo contro gli assalti degli empj, allora forse era quando tal crollo avrebbe dato da non rilevarsi giammai. E senza andar tanto innanzi, non mancano pure simili esempj nelle età più vicine; e in quelle medesimamente alle quali maggiore invidia e venerazione portiamo, e che comunemente come illuminatrici e maestre dell' uman genere vengono riguardate. Io dirò cosa, Uditori, che forse a prima vista sembrerà strana, e dal comun giudizio affatto aliena. Ma pure, qualunque ne sia per esser l'evento, io non dubiterò di arrischiarla; persuaso, siccome io sono, che mai non è la verità così utile e gloriosa, che quando combatte vecchie opinioni, e ardisce affrontare autorevoli pregiudizj. Se si domandi a taluno quale nella nostra Italia sia stato il tempo più florido per la coltura; non altro risponderà certamente essere stato, che il tanto famoso e beato Secolo Decimosesto. E per vero dire, produsse quel Secolo spi

riti arditi, laboriosi, indefessi, avidi di ogni genere di dottrine; e furono allora in grande onore le Lingue; e si rivolsero da capo a piedi i grandi Autori; e dalla polvere delle deserte biblioteche i rancidi manuscritti si scossero; e le incognite cifre e i disusati caratteri s' interpretarono. Furonvi ancora non pochi che, trasportati da stima per quegli antichi, le cui Opere avevan letto, e alcuni forse soverchiamente ammirato, o quelle stesse, per mezzo di stampe, traduzioni, e commenti, comuni fecero, o a loro imitazione delle altre simili ne produssero; e sorsero quindi per ogni parte Storici alla maniera di Tacito, Poeti sullo stil di Catullo, Epistolari alla foggia di Cicerone; e giunse fino a tal segno la sfrenata e servile imitazione, che non mancò fra di essi chi con pagane espressioni le Cristiane dottrine profanasse, e i sacrosanti Misterj della Cattolica Fede più alle Aristoteliche e Pittagoriche inezie, che alle infallibili verità del Vangelo, accomodasse. Felice Secolo, con tutto questo, se a tanto furor di sapere, se a tanta copia di esterni o interni presidj, se a tanta infine applicazione e costanza, il più importante ed il più essenziale della coltura non fosse affatto mancato! Che non potevan tentare in così favorevoli disposizioni quei sublimissimi ingegni, purgati avanti e fortificati da quelle Scienze che sono delle altre le direttrici ? Quante importanti scoperte, quanti maravigliosi progressi non avrebbero essi fatto nelle tante e sì varie dottrine, a cui rivolsero l'animo e le fatiche? Ma finalmente, privi del tutto di questi ajuti, fu forza che si smarrissero, e che

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si pomposi apparati in altro alla fine non ricadessero, che in vane parole, in isterili esami, e specialmente in orridi sofismi, che ebbero forza di rovesciare ( funesta e lacrimevole ricordanza!) la Religione e gli Stati. Così, dominando nei loro studj più la memoria e la fantasìa, che l'intelletto e il giudizio; più il lusso delle dottrine, che la sobrietà del ragionamento; quel Secolo, ch'esser doveya di luce, divenne il Secolo delle tenebre; e il regno della ragione si dette in preda ai pregiudizj e all'errore . Tanto egli è vero, che vano è l'edifizio delle dottrine, se non è prima stabilmente piantato su quelle Scienze regolatrici ch'essi mai non conobbero, e che solamente ai più fortunati nipoti furono riservate.

Eccovi dunque, valorosi Giovani che quì mi udite, e che solleciti siete di dare alle vostre menti quella coltura che si conviene; eccovi, io dico, quali esser deggiono i fondamenti dei vostri studj. Purificare lo spirito; perfezionar la ragione; amare le verità domestiche piuttosto che le straniere; conoscer l' Uomo nell' Uomo, e le cose nei lor principj; questa è la somma di tuttoquanto il sapere; e il principale oggetto della coltura. Invano, senza un tal metodo, sperate togliere dalla mente le infermità che l'opprimono, e a quella salute restituirla in cui la vera sapienza unicamente consiste. Non, se tutto leggeste quel che han pensato i Filosofi, scritto gli Autori, operato gli uomini e le Nazioni, potreste mai lusingarvi di averla con questo ottenuta ; nè sareste al di sopra degl'ignoranti, che per la copia maggior degli errori, o per

la trista prerogativa di spargergli impunemente. Non nella folla dei libri o dei maestri, ma dentro voi stessi principalmente, e nelle forze del vostro spirito, cercar dovete quei lumi, potenti a sgombrare le vostre tenebre, e a farvi scorta sicura per la difficil carriera delle diverse dottrine. Non sono queste un meccanico sforzo della memoria, nè si apprendono in quella guisa nella quale i bruti animali molte cose apprendono maravigliose; per forza, cioè a dire, d'imitazione o d'istinto. Il solo ragionamento è quel che le anima e le sostiene; e invano, senza le Scienze che lo rettificano e perfezionano, sperar po treste di conseguirle.

A queste dunque, io lo replico ancora, studiosi Giovani, prima che ad altra cosa, ponete cura; se amate di ritrar frutto da quegli studj a cui la natura o la elezion vi conduce. Senza di queste, saprete forse abbastanza pel fasto, per l'ambizione, per le ricchezze; nulla per voi medesimi, e per la vostra felicità: e quando l'attonito vol colmerà di lodi non meritate la vostra pomposa e mengo zognera dottrina, forse un secreto giudizio della vostra coscienza distruggerà l'incanto di queste lodi; e rammentan. dovi allora, per vostro dolore e vergogna, quel che voi siete, compiangerete, in mezzo ai plausi comuni, l'inganno altrui, e la vostra vera ignoranza. Ho detto.

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PROLUSIONE

AD UNA PUBBLICA ADUNANZA DEGLI ACCADEMICI

FISIOCRITICI

Tenuta il dì 21. Luglio 1765.

Egli è verità nota

gli è oggimai, Signori, verità nota e triviale, che la Natura non si conosce, se non si tenta; e che questa macchina smisurata, che noi chiamiamo Universo, mal si può ravvisare, se prima non se ne sciolgono minutamente le parti, e non se n'esaminano ad uno ad uno i componenti. I nostri padri trascurarono un metodo così saggio, e pagarono ben con usura la pena dei loro sbagli. Questo Universo, che essi cercavano di conoscere con tanta impazienza, disparve dai loro occhi; e in vece della realtà, non abbracciarono che delle ombre. Lungi, dall' essere Istorici, divennero i Romanzieri della Natura; e i loro sogni faticati e ingegnosi non furono buoni che a riscaldare le fantasie dei Poeti. Gli atomi di Epicuro e di Gassendo, i vortici di Cartesio, che in altri tempi formavano la Filosofia delle Nazioni, in oggi non servono che a far figura nei Poemi immortali o dell'antico Lucrezio, o del moderno Epidaurico Stay (a), ornamento di Roma, e di questa nostra Accademia.

(a) Monsig. Benedetto Stay di Ragusi, Segretario dei Brevi ai Principi, ascritto all' Accademia de' Fisiocritici, Autore di un Poema latino sulla Filosofia Cartesiana applauditissimo per molti pregj, ma specialmente per una perfetta imitazione dello stile di Lucrezio. A questo Poema allude quì il nostro Guido, e non all' altro assai più ampio che lo stesso Autore pubblicò dipoi sulla Filosofia più moderna, corredato con Note Fisico-Mattematiche del celeberrimo suo Concittadino Ruggiero Boscovich. [Nota degli Edit.]

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