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basta aver diffusamante parlato di quanto a noi sull'istesso argomento tramandarono coi loro scritti Cicerone e Lucrezio.

Io non so se sia mai caduta in mente ad alcuno la strana coincidenza onde questi elettissimi ingegni scrissero l'uno sulla natura delle cose, l'altro sulla natura degli Dei. Quantunque di opinioni filosofiche diametralmente opposte, pure si incontrarono in questo, cioè che lo studio della natura si rivelò comune in ambedue.

Cicerone attribuiva tutto quanto avviene ed è creato, alla natura provvidenziale degli Dei, forse di quell'Olimpo, delizia di tutti i poeti passati e da venire. Questi numi però non valevano gran cosa; poco si occupavano della natura, e sembra che lo spiritualista autore li nominasse semplicemente per avere un appoggio qualunque nella spiegazione dei fenomeni tutti della natura a partire dal principio creatore e vivificatore di quella forza incredibile che egli appella divina e sublime. Laonde l'oratore senza perdersi in un laberinto di filosofiche e ciarliere discussioni esprime tutto ciò che egli sa, o ha raccolto di anatomia teleologica, in un breve sunto.

In questo ove non son pochi gli errori i più dei quali appartengono però ad antichi medici antecessori a Cicerone, non può negarsi che l'esposizione delle parti del corpo umano, sia fatta con magnificenza, e ad un tempo abbondanza ed eleganza di dire, e che all'infuori del puro necessario a sapersi delle singole parti del corpo umano, e di alcuni visceri importantissimi alla vita che pure indica come in un quadro sinottico, Cicerone non si perde in questioni vaghe, ma accenna con abbastanza chiarezza il meccanismo degli apparecchi della vita organica, il decorso anatomico dell'apparato digestivo, i visceri importanti che vi concorrono e gli uffici speciali dei nervi e dell'ossa. E nel parlare dell'aspera arteria, dei polmoni spiega abbastanza bene il fisico andamento della respirazione; e se avesse avuto una più perfetta cognizione e distinzione dei vasi sanguigni, l'Arpinate, fra gli antichi scrittori, sarebbe stato quello che si sarebbe molto approssimato al concetto di quel grande fenomeno che in tempi molto posteriori e lontani formò la gloria di Colombo, Cesalpino ed Arveo.

Egli chiaramente confessa che per non incontrare il tedio dell'esposizione« ne quid habeat injucunditatis oratio » non si addentra molto nei particolari della scienza; e questo prova che le sue cognizioni erano maggiori di quelle manifestate. Tale era poi l'importanza che Cicerone dava allo studio delle scienze fisiche che giustamente sentenziò, esser una delle grandi prerogative dell'uomo, non comune a niun altro genere di cose animate, quella di presentire e investigare tutti i portenti divini e celesti che intorno a lui continuamente si formano e succedono.

Lucrezio invece non retore, ma filosofo; non ampolloso e ornato oratore, ma profondo osservatore nella tranquillità de' suoi studii, si addentra molto più di Cicerone nell'oscurità e moltiplicità del tema intrapreso. È manifesta la differenza che intercede fra l'uno che con la vigorosa e studiata eloquenza cerca il plauso fanatico delle moltitudini, e l'altro che con la calma del profondo osservatore espone in lunghi sei libri la storia tutta della natura, nella quiete e negli agi di sua casa. Lucrezio convinto del pari di Cicerone, dell'aridità del subbietto, in cui questi non giudica opportuno l'addentrarsi, cerca, per acquistarsi l'attenzione e l'interesse di chi legge, usare la più smagliante forma poetica, retta e moderata in guisą da non fuorviare dall'assunto proposito. E dopo aver parlato della natura e metamorfosi dei corpi, delle facoltà dell'anima, entra nel campo fisico a trattare della respirazione, dell'aria, del calorico, dell'azione degli oggetti esterni sugli organi dei sensi destinati a riceverne le percezioni, di altri fenomeni e funzioni del corpo umano in normale stato, dei seminii dei morbi e principalmente delle malattie pestilenziali e contagiose.

Che se ambedue i detti autori trattarono della scienza della natura, diversa fu la loro opinione filosofica. Cicerone spiritualista studio l'argomento poggiando la base di esso negli Dei immortali. Lucrezio apostolo della materia nuda e del suo svolgersi all'infinito, pose ogni sua forza intellettiva nello sviluppare l'argomento della natura, stabilendo che le forze della materia sono inerenti alla materia stessa.

Io non entro in si spinosa contesa, nè voglio impacciarmi nel ginepraio di sì gravi questioni che riescirebbero inutili e affatto fuori di luogo. A me basta avere indicato che ambedue gli autori suddetti furono benemeriti della scienza, che i molti errori contenuti nelle loro opere, non bastano a nascondere le verità moltissime che vi si racchiudono; che a loro debbesi se l'anatomia e la fisiologia mostraronsi vestite di quel carattere di semplicità propria degli antichi Romani..... « prima ancora che Asclepiade spacciasse cose credute nuove ». Anzi questi non mancò di raccogliere, in specie dagli insegnamenti filosofici di Lucrezio Caro, quanto concerne il solidismo che eretto da lui a canone d'arte, per effetto della scuola così detta metodica regnò ben lungamente in medicina.

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I. Parlando delle leggi sanitarie fu detto che i Romani trassero gran parte della sapienza medica dalla Igiene, come quella che meglio adattandosi al carattere delle loro istituzioni, valeva a far conseguire il pubblico benessere, sotto qualsiasi forma considerato.

Quando noi vediamo i primi magistrati della Repubblica occuparsi con tanto zelo e saviezza di ciò che concerne i costumi e le private abitudini, e con inappellabile giudizio emanare apposite leggi, la Fannia, la Didia, la Licinia, per regolare e prescrivere la qualità e quantità degli alimenti; quando vediamo i Censori, gli Edili prendersi cura di ciò che concerne gli edifici, le vie, le acque, cloache, nettezza urbana, boschi sacri, bagni, esercizi ginnastici, natura dei vestimenti in ambo i sessi; ed emanare apposite leggi per allontanare la prostituzione e per provvedere al seppellimento dei cadaveri, dobbiamo veramente dire che la pubblica salute protetta specialmente dalla esatta esecuzione delle norme igieniche, fosse la suprema legge del popolo, come riferivasi nel codice dei Decemviri « Salus pubblica suprema << lex esto ».

II. Abbiamo già parlato nei singoli capitoli di molti dei provvedimenti riguardanti la pubblica salute. Però reputo necessario richiamare l'attenzione del lettore sopra un fatto che ho toccato di volo, ma che per la sua essenza e utilità somma, merita di essere alquanto dilucidato. Parlo del primo officio di statistica di cui è menzione nella storia, che, istituito dal re Servio Tullio, ebbe per iscopo il censimento della popolazione di Roma e suo territorio. È naturale, del resto, che le condizioni speciali di uno Stato sorto in mezzo a potenti e formidabili nemici, posto in condizioni sociali e politiche tali da avere urgenza assoluta di allargare il territorio, e rapidamente estendere la sua potenza, abbiano consigliato il reggitore supremo a noverare gli abitanti per conoscerne con sicurezza il numero; conoscere di quante forze poteva egli disporre per recare a compimento tutto ciò che concerneva il benessere e l'onore della patria.

Si lascino pure inconsiderate, se così piace a taluno, le cifre riferite dagli storici intorno al numero degli abitatori di Roma, e si osservi soltanto che i cittadini chiamati al delicatissimo officio di censire il popolo, furono i più spettabili per riputazione, illibatezza di costumi ed integrità di carattere. Eglino vennero chiamati censori censores da censeo, dignità che anche in seguito fu una delle più temute e celebri, specialmente nell'epoca della Repubblica. Fra le molte occupazioni loro, vi era quella di compilare alcuni commentari, Commentaria Censorum (1), che trasmessi da padre in figlio, andavano a far parte degli atti pubblici dello Stato, e l'altra rilevantissima di custodire le pubbliche tavole ove erano iscritte le leggi. Onde non poteva l'istituzione del Re Servio, come osservano i più, essere meglio affidata che a si illustri personaggi.

III. Oltre l'officio di anagrafe, secondo l' annalista Lucio Pisone (2), di cui parla Dionisio, il Re sullodato istituì un vero

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