Obrázky na stránke
PDF
ePub

CAPO XVII.

Terapia

Sua semplicità presso i Romani

Lucio Clodio farmacista

Evacuanti: scamonea, aristolochia, ricino, sambuco, asparago,
Stupefacienti aconito, cicuta, solanee

senape

[ocr errors]
[blocks in formation]

Medicazione toAntispasmodici: saga

I. L'arte dei rimedii costituisce parte essenzialissima della medicina. Mentre senza di essa tutte le altre cognizioni mediche riuscirebbero frustranee allo scopo, la terapia sola può esistere indipendentemente da molte ed affini altre discipline, ed essere esercitata empiricamente come avveniva pel passato.

Questa è la precipua ragione per cui la terapia ebbe vita ed efficacia fino da remotissimi tempi. I Romani la esercitarono con quel criterio pratico che dispiegavano in ogni cosa, confermando fedelmente il vecchio adagio più popolare che medico, circa l'esistenza della medicina propria ad ogni paese.

Reputo però fuori di discussione che la terapia per molto tempo non facesse grandi progressi, dappoichè i mezzi curativi non erano che pochissimi e semplici, la più parte tratti dal regno vegetale, ed empiricamente somministrati in maggiore o minore dose a seconda dei casi e speciali emergenze.

Invero qualunque cura si ponga nello svolgere gli autori che presso i Romani scrissero di cose mediche, noi troviamo essere stati pochissimi i soccorsi terapeutici, pochissimi i rimedii, dati sempre con parsimonia ed adoperati nella guisa più semplice. La farragine delle composizioni medicamentose, gli antidoti, gli elet

tuari, gli unguenti, e le numerose panacee furono importate in Roma dai Greci. E se la medicina romana non era aliena dalle incantagioni dei Marsi, (sotto qual forma però intendevasi applicare tutto ciò che meglio convenisse alle malattie consuete locali, a seconda dei risultati pratici fino allora ottenuti), rifuggì sempre dalle grandi imposture. Così i tempii di Esculapio, le superstiziose pratiche non ebbero in Roma la fama e la rinomanza che ottennero in Grecia.

Il culto del Dio della medicina introdotto in Roma nel modo come sopra si è narrato, non soppiantò mica il vecchio Dio Fauno, che, come Nume della prisca italica agricoltura, aveva dalle piante tratti i primi e necessari medicamenti, consigliandone l'uso agli agricoltori. Infatti Esculapio, accolto come vedemmo con grande onoranza nell'isola tiberina, fu impotente a scacciare il vecchio Dio, che vi teneva già sede antichissima.

Isidé e Serapide, divinità mediche egiziane, non ebbero presso i Romani che pochissima voga, e se per atto di fine politica vennero introdotte e tollerate in Roma, non mai però furono tenute in conto maggiore dei Numi indigeni. Ed era naturale in coloro che ridevano dei propri aruspici la disistima per le divinità estranee. Ma nell' intento però di mantenere integro il decoro delle patrie istituzioni e consuetudini in fatto di pubblica e privata salute, un Senatus consulto proibiva formalmente con apposito decreto di dare ascolto ai gabbamondi e ai ciurmadori, sotto qual nome intendeansi i fanatici divulgatori dei culti stranieri.

II. La semplicità dei rimedii in Roma era anche riconosciuta da Galeno (1) che ne faceva rimarco degno di nota « Romae po<< tius, quam alibi, medicinae simplices optimae ». Ciò nonostante il grande riformatore, confermando il detto di Plinio, soggiungeva che il popolo romano fu sempre avidissimo di medicina. Ed in prova, narra che a' suoi tempi la grande città abbondava di farmacisti abilissimi; e non uno se ne trovava fra essi che non co

[merged small][ocr errors][merged small]

noscesse tutte le piante e sostanze medicinali che venivano d'oltremonte, specialmente dall'isola di Creta, alla sua epoca dispensario farmaceutico universale. Però avveniva spesso che non conoscessero le piante del loro paese, e le molte che nascevano nel suburbio, stimate da Galeno eccellenti, vigorose e molto utili alla medicina, purchè colte in tempo debito e preparate in modo diverso da quello fino allora usato (1), « Nullus itaque Romae unguen<< tarius extat qui Creta allatas herbas non agnoscat et ipsarum << semina at in suburbanis urbis non paucas ex ipsis nascentes << prorsus ignorant: idcircoque, nec quo tempore semen ferant, << observant. Ipse vero, et chamaepityn, et chamedryn, et thla«spim, et centauream, et hypericum et id genus, herbas alias << Romae vidi, quas observato tempore quo vigent, neque aestivo << sole arefactas, neque citius quam par fuit, evulsas collegi, non<< dum concoctis seminibus aut maturis. Compositarum namque << medicinarum virtus, ex simplicium vigore consurgit, parva « quadam interveniente differentia artis ».

E per confermare che la farmacia era conosciutissima in Roma, Galeno asseriva che qualunque persona si fosse presentata a domandar spiegazioni a un farmacista della grande città sulle indicazioni di un farmaco, avrebbe potuto essere sicura di quanto le veniva affermato, giacchè prima di pronunciare un giudizio soleano i farmacisti diligentemente ispezionare e conoscere le qualità dei medicamenti, « Quamobrem Romae si quis unguen<< tarios adeat, qui singulis quibusque annis vasa illa testilia her« barum plena emunt, ab eis primo omnia cognoscere poterit, <<< etiam si numquam antea ipsa vidisset. Deinde ex frequenti in<spectione, quale sit optimum, quodque per se ipsum intelligit ».

È molto lusinghiero sentire Galeno parlare con tanto elogio dei compositori di farmaci in Roma; molto più che il famoso autore della Teriaca doveva bene intendersi di formole medicamentose. Perorando in favore di Aulo Cluenzio in una causa di veneficio, Cicerone (2) fa parola di un Lucio Clodio d'Ancona farmacista giro

[merged small][merged small][ocr errors][ocr errors][merged small]

vago. «Aviam tuam, Oppianice, Dinaeam cui tu es haeres pater << tuus non manifeste necavit? Ad quam cum adduxisset medicum << illum suum jam cognitum et saepe victorem (per quem in«terfecerat plurimos) mulier exclamat, se ab eo nullo modo « velle curari, quo curante, suos omnes perdidisset. Tunc repente Anconitanum quemdam, Lucium Clodium pharmaco« polam circumforaneum, qui casu tum Larinum venisset, aggre« ditur, et cum eo duobus milibus, id quod ipsius tabulis est de<<monstratum, transigit. Lucius Clodius cum properaret, cui fora << multa restarent, simul atque introductus est, rem confecit: < prima potione mulierem sustulit, neque postea Larini punctum « est temporis commoratus ».

In questo brano Cicerone con la sua usata eloquenza, volendo provare come la scelleraggine fosse ereditaria in Stazio Albio Opianico cavaliere romano, osserva che il padre di costui fece uccidere la madre Dinea.

Tanto misfatto eseguì per mezzo d'un farmacista girovago, tal Lucio Clodio d'Ancona, capitato per mala ventura in Larino. Questi per 2000 sesterzi accettò l'incarico di comporre una be vanda, esiziale all'infelice donna cui venne propinata. Perpetrato il delitto, l'esecutore non pose tempo in mezzo a fuggire.

Il surriferito avvenimento viene a provare che unitamente alla medicina era esercitata l'arte farmaceutica nell'evo repubblicano. Se infatti l'avola di Opianico nella cui causa perorava Cicerone, fu spenta per opera d'un farmacista, dovè l'esercizio dell'arte farmaceutica essere assai antico in Roma. Si rileva di più nel citato brano che il padre di Opianico si era servito, per ottenere un tossico, di Lucio Clodio, poichè la madre presaga del destino che l'attendeva aveya rifiutato di essere assistita da un medico che sospettava complice del figlio, uccisore di tutti i suoi.

Se è vero che la molteplicità dei soccorsi terapeutici è sempre gravissimo difetto dell'arte di guarire, non può negarsi che presso i Romani tal sistema di cura non esisteva affatto, dacchè la medicina, basata sull'igiene nel più lato senso della parola, era quasi totalmente composta di mezzi dietetici. Così resa semplicissima la terapeutica, finchè durò il rispetto alle pubbliche istitu

« PredošláPokračovať »