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devano men dura la loro condizione abilitandoli a emanciparsi e ritornare, adottati o legittimati, ai diritti civili.

III. Anche per i bambini lattanti eravi una pietosa istituzione. La colonna, che secondo Publio Vittore esisteva nella regione undecima di Roma, e precisamente nel Foro Olitorio, era chiamata Lactaria perchè ivi solevano deporsi i bambini (2) nella speranza che qualche pietosa persona provvedesse al loro allattamento << columna in foro olitorio dicta quod infantes lacte alendos << deferebant ». La località di questo foro è sufficientemente conosciuta. Gli archeologi convengono che fosse fuori della porta Carmentale, nei pressi dell'attuale piazza Montanara, e più precisamente tra il teatro di Marcello, il Tevere e la porta Flumentana, cioè tra il ponte Quattro Capi, il palazzo Orsini e S. Maria in Portico. In questo luogo adornato da monumenti (fra cui il tempio della Pietà fondato da Acilio Glabrione, quelli di Giunone Matuta, Sospita, Dite e Castore) si solevano fare pubbliche vendite come riferiscono molti antichi e moderni.

Ivi, sia che non potessero nutrirli per mancanza di latte, sia per nascondere la loro colpa, usavano le madri portare i bambini lattanti, frutto di amori leciti o illeciti, onde venissero allevati da nutrici avventizie. Il luogo essendo frequentatissimo con facilità qualche passeggero mosso a compassione andava a prendere i bambini esposti recandoli seco per allevarli. Siccome però è più ammissibile l'ipotesi che l'esposizione di un bambino in luogo pubblico, sia conseguenza di una colpa che la madre vuol celata nel mistero, così Tertulliano (1) parlando su questo argomento, muove aspro rimprovero ai pagani, incolpandoli di esporre i figli in luoghi pubblici, per farli alimentare da qualche madre straniera che passasse per caso nella via « in primis filios expo<<nitis suscipiendos ali ab aliqua praetereunte matre extranea ». Senza disconvenire nell'opinione del dotto prete cartaginese che si mostrò tanto giustamente indignato della turpitudine di questo

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uso in seguito abolito nella società umana per l'opera pietosa delle primitive istituzioni cristiane che fondarono brefotrofi o luoghi di ricovero pei trovatelli; credo sia giusto di riflettere come notevole differenza si rinvenisse fra l'usanza praticata in Roma e quella barbara di talune nazioni che pur si arrogavano il vanto d'una civiltà superiore.

Laddove in Grecia si uccidevano o per lo meno si abbandonavano totalmente i bambini, nell'Etruria e in Roma non si verificava siffatto eccesso; e la carità di privati provvedeva sovente, e con risultato più soddisfacente di quello che si ottiene ora dalla istituzione dei brefotrofi, ove per la ristrettezza dei mezzi e per la incuria di coloro che fanno dell'allattamento dei bambini una professione, la mortalità di questi raggiunge talvolta una media assai rimarchevole.

IV. Egli è vero che i Nutricatores facevano d'un'opera si santa oggetto di privata speculazione, attesochè educavano i trovatelli a divenire gladiatori nei circhi, o fatti adulti li vendevano al migliore offerente; ma è pur vero che molti di quegli infelici venivano adottati per figli da chi era privo di prole, e talvolta anche avveniva che fossero richiesti dai loro legittimi parenti, e dichiarati nati liberi. Sull'ingerenza governativa in simili questioni di ordine pubblico, non può cader dubbio, rilevandosi dalla succitata lettera di Trajano a Plinio (1) che lo Stato molte volte trattò la grave questione degli esposti che nati liberi erano stati allevati da persone estranee, ed educati a servitù « quaestio ista, << quae pertinet ad eos qui, liberi nati, expositi, deinde sublati a << quibusdam et in servitute educati sunt, saepe tractata est ».

E sebbene l'istesso Trajano sostenga che nulla si trovasse scritto, in merito all'argomento, nei commentari dei principi suoi antecessori, pure non esclude che esistessero varie leggi appositamente emanate secondo le consuetudini delle varie provincie soggette a Roma. Fa anche parola di lettere che Domiziano diresse a due suoi luogotenenti, Ovidio Nigrino e Armenio Brocco,

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in forma di decreti legislativi; e soggiunge che dalle disposizioni di questi decreti era esclusa la provincia di Bitinia, per la quale si erano fatti speciali rescritti « nec quicquam invenitur in com<< mentariis eorum principum qui ante nos fuerunt, quod ad omnes. << provincias sit constitutum. Epistolae sunt Domitiani ad Ovidium << Nigrinum et Armenium Brocchum, quae fortasse debeant obser<< vari, sed inter eas provincias, de quibus rescripsit, non est By<< thinia >>.

Sull'argomento degli esposti potrà chi ne abbia vaghezza, consultare tutti quelli autori, che ne trattarono diffusamente e parlarono specialmente della Colonna Lattaria. Questi sono: Donato, Borricchio, Marliani, Nardini, Bartolino, Raevard, Dacer (1),

V. Se può restare qualche dubbio sulla esistenza dei brefotrofi pare a me che la esistenza degli ospedali possa dirsi fuori d'ogni contestazione. Chi ne fornisce la prima idea è Cicerone (9), come si rileva dal brano seguente: » ex hac animorum affectione testa<< menta, commendationesque morientium natae sunt: quodque << nemo in solitudine vitam agere velit, ne cum infinita quidem << voluptatum abundantia; facile intelligitur, nos ad conjunctionem << congregationemque hominum, et ad naturalem comunitatem esse << natos. Impellimur autem natura, ut prodesse velimus quam << plurimis in primisque docendo, rationibusque prudentiae tra<< dendis: itaque non facile est invenire, qui quod sciat ipse, non << tradat alteri. Ita non solum ad discendum propensi sumus, ve<< rum etiam ad docendum. Atque ut tauris natura datum est, ut << pro vitulis contra leones summa vi, impetuque contendant: sic << ii qui valent opibus atque id facere possunt, ut de Hercule et

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<< Libero accepimus, ad servandum genus hominum natura inci<< tantur. Atque etiam Iovem cum Optimum, Maximum dicimus << cumque eumdem Salutarem, Hospitalem, Statorem: hoc intelligi << volumus salutem hominum in ejus tutelam esse, cum autem ad << tuendos conservandosque homines hominem natum esse vi« deamus ».

Con logica affascinante Cicerone va cercando argomenti per sviluppare la tesi filosofica sul carattere dell'uomo che in tutti gli atti della vita inclina a star congiunto agli altri, per relazioni d'amicizia, affinità e comunanza d'interessi, abborrendo anche la solitudine.

L'Arpinate soggiunge che gli uomini ricchi «valent opibus >> sono naturalmente portati a conservare la società; e che perciò Giove oltre gli altri nomi ed attributi ha pur quelli di SALUTARIS ed HOSPITALIS.

Sarà forse caso: ma dal vedere così vicine queste due parole che riguardano la salute e l'ospitalità, sono indotto a credere che Cicerone trattasse di cose concrete e più convincenti di quelle che possono essere comprese in una tesi puramente filosofica ed astratta. Il grande oratore disse che la salute è lo scopo supremo dell'uomo. Or bene questo scopo non si estende soltanto al benessere civile e politico delle popolazioni, ma anche e più direttamente al benessere fisico. In questo senso sembra abbia parlato Cicerone, sendochè gli infermi venivano ospitati in apposite località denominate per l'uso cui erano destinate SALUTARIS ed HOSPITALIS.

VI. Siffatti luoghi, non v'ha dubbio, erano i templi di Esculapio. Il primo di essi, dopo l'ambasceria in Epidauro di Quinto Ogulnio, fu alla foggia dei templi greci edificato nell'isola Tiberina, dove già da tempo immemorabile esisteva quello di Fauno, antico e venerato Nume del Lazio.

Bartolomeo Marliani (1) pretende che vicino al tempio di Esculapio, esistesse un ospedale. Io, seguendo l'opinione più comune

(1) MARLIANI BARTHOLOMAEI

Urbis Romae tophographia; Lib. v, 16.

mente accettata, reputo che il tempio medesimo fosse destinato al ricovero dei malati.

Forse anche nell'Asclepio Tiberino potè esistere una scuola per le riunioni dei medici che si applicavano allo studio delle malattie, e alla compilazione di note cliniche. Nè so comprendere con quanta bontà di critica il Puccinotti neghi recisamente l'esistenza d'una clinica in Roma, presso a poco consimile a quelle di Epidauro, di Coo, di Gnido ove i medici solevano fare uno studio pratico delle malattie ed insegnare i precetti dell'arte medica. Puccinotti sostiene che le quattro goffe iscrizioni dell'epoca degli Antonini non istabiliscono sufficientemente la esistenza di una scuola medica in Roma. Ma se queste sole furono scoperte, non è escluso però che altre ve ne fossero più sensate, esposte nelle tavole votive del tempio di Esculapio a memoria di guarigioni ottenute, come solevasi praticare nelle famose scuole greche. Ivi le tavole votive furono raccolte da gran numero di medici e con esse fu costituito forse il famoso codice ippocratico. E vale a rafforzare l'argomento il fatto che in. Roma non venne fabbricato il tempio di Esculapio secondo il greco costume, se non dopo il viaggio di Quinto Ogulnio in Epidauro.

Il greco Aristofane afferma (1) nel Pluto che gli infermi venivano trasportati nelle case di Esculapio, come dal seguente passo:

Μὰ Δὶ αλλ ὅπερ πὰλαι παρεσκευαζόμην

ἐγὸ κατακλίνειν αὐτὸν εἰς Ασκληπιν
κράτιστόν ἐστι.

che volto in latino suona:

Non hercle. Verum quod dudum meditabor ego
Optumum est si illum in Aesculapii fano

Incubare faciamus.

Plauto nel Curculione (2) induce il lenone Cappadoce, afflitto da

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