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campamenti, riferisce che presso quei valorosi, in ogni tempo e luogo, il campo militare fu edificato nella stabilita eguale maniera ὦ χρῶνται ὥρός πάντα καιρόν καὶ τόπον.

Prima di Giulio Igino, Tito Livio disse che i militari feriti, dapprima curati negli accampamenti (1), venivano dopo la guerra affidati per antico costume, VETERVM INSTITVTIS, alle famiglie dei ricchi patrizi. Così in una certa occasione il console Manlio divise gli ammalati tra i padri coscritti; assegnandone il maggior numero ai Fabii che li curarono e li mantennero col massimo riguardo (2): « Manlius consul saucios milites dividit patribus: << Fabiis plurimum dati nec alibi majore cura habiti ».

E questa fu misura e legge giustissima, non meno importante ed ammirevole di tante altre ispirate ai Romani da altissimi sensi di equità. Qual cosa infatti più santa di curare a proprie spese quei valorosi che riportavano onorate ferite in difesa e gloria della patria? Le nobili cicatrici del veterano Siccio Dentato, che tanto commossero il popolo, costituivano una prova delle solerti cure usate dalle austere donne dei Fabi per conservare al paese la preziosa vita dell'intrepido soldato. Ospitati così nelle famiglie più doviziose, credo non sia mai stato tanto bene speso il danaro del ricco, come quando servì a soccorrere quei prodi, sostegno del proprio paese. Invece di essere inviati nelle case di Esculapio, templi o stabilimenti mercenarii, che forse, come tutte le pubbliche istituzioni, erano mantenuti dallo Stato, venivano i militari feriti collocati nelle primarie case ove oltre l'agiatezza e l'assistenza materiale, trovavano quell'affetto e pietoso disinteresse, che è molto difficile rinvenire nei nostri grandi ospedali, eretti e resi celebri per tutto il lussurioso corredo della scienza medica.

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Nella pianta gromatica di Igino, il valetudinario ed il veterinario erano situati in luogo molto appartato dagli accampamenti, e lontani dal Pretorio: però lungo il medesimo scompartimento, striga, a grande distanza l'uno dall'altro. I detti scompartimenti erano da un lato guardati da varie coorti di esploratori, dall'altro dal quartiere delle truppe ausiliarie; ed avevano nell'interno, per limite, la spaziosa via che conduceva in linea retta alla porta pretoria. Igino crede che il valetudinario avesse di consueto settanta piedi di lunghezza, LXX pedes valetudinarium, ma erroneamente secondo il dottissimo commento di Schelio. Quest'autore osserva che il veterinario, il valetudinario e la fabrica (altro luogo dove si fabricavano gli utensili e gli strumenti adatti all'accampamento) contenendo, giusta ogni supposizione, un certo numero di uomini, dovevano avere un'estensione molto vasta benchè variabile a seconda del numero dell'esercito raccolto nel campo, ed a seconda delle varie modificazioni che i progressi dell'arte militare avevano apportato negli accampamenti. Perciò la misura di Igino ha destato molte questioni fra quanti si sono occupati della castrametazione.

IX. Il valetudinario secondo Vegezio (1) era sotto l'immediata direzione del prefetto degli accampamenti « praefectus castrorum > Macro giureconsulto tra gli uffici del Tribuno annovera quello di soprattendere ai degenti nei valetudinari « inspicere valetu<< dinarios ». Altrove il citato Vegezio (2) raccomanda i malati alla diligenza dei principali ufficiali e tribuni « Ut aegri cotuber<< nales opportunis cibis reficiantur ac medicorum arte curentur, << principum, tribunorumque et ipsius comitis qui majorem sustinet << potestatem, jugis quaeritur diligentia ». Secondo le testimonianze di Tacito, Plinio il giovane, Vellejo, Lampridio, moltissimi imperatori ebbero in progresso di tempo cura grandissima dei degenti nel valetudinario.

Della quale istituzione, e di quella del veterinario parlando lo

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Schelio (1) nota quanto sia degno di elogio l'interesse dimostrato dai Romani non solo per gli uomini caduti infermi ma ancora per gli animali resi inabili a prestare ulteriori servigi; giacchè provvedevasi ancora alla nomina di medici specialisti addetti alla cura degli animali, per non abbandonarli come in secoli posteriori si è fatalmente verificato, allo strapazzo di fabbri ed altri ignorantissimi uomini. Ed è pur lodevole che in epoche dette barbare, nulla si negligeva che potesse essere utile ai militari durante le sanguinose campagne. Provvide sempre le leggi e le autorità, curavano che nulla mancasse al completo assetto di guerra per far fronte alle difficoltà che potevano verificarsi in paesi lontani di recente conquistati.

Credo pregio dell'opera di trascrivere per comodo del volenteroso lettore i brani di Igino (2) che toccano più da vicino questo argomento.

<< Quoties autem quinque vel sex legiones acceptae fuerint, duae cohortes primae lateribus praetorii tendere debebunt, duae in praetentura, supra quas valetudinarium, deinde vexillarii vel cohors secunda, et si res exigat, cohors peditata quingenaria loco vexillariorum solet super poni, et si strictior fuerit pedatura cohorti legionariae dari debet, sed numero suo, ut septuaginta pedes valetudinarium et reliqua, quae supra tendunt, accipiant, hoc est veterinarium, et fabrica, quae ideo longius posita est, ut valetudinarium quietum esse convalescentibus possit, quorum pedatura in singulas species ad ducentos homines solet computari ....

<< Reliquum autem numerum sicut retenturam computemus, ut sciamus similiter, quot hemistrigia nascuntur, fit numerus, cum pedatura valetudinarii, veterinarii et fabricae, quae in unum ad sexcentos homines computantur ».

Sul qual proposito non dobbiamo lasciare inosservato che Igino stabili a 200 il numero dei malati che potevano essere contenuti nel valetudinario od ospedale da campo.

(1) HERMANNI SCHELII Notae in Hyginum, apud Graevium; Lib. x. (2) HYGINI GROMATICI De Castrametatione; Liber unicus, apud Graevium, Tom. x. Venetiis, 1735.

L'architettura avendo stabilito questa località su tutta una linea colla fabbrica, « unum hemistrigium intra viam sagularem » ben rilevante dovè essere la distanza che passava dal valetudinario alla fabbrica o grande officina di armi ed attrezzi militari ove migliaia d' uomini si munivano per guerreschi esercizi e vi apprestavano armi, utensili e macchine. La distanza valeva potentemente a non disturbare la quiete necessaria nelle località destinate agli infermi per malattie epidemiche o per ferite riportate in battaglia « ut valetudinarium quietum esse convalescen<< tibus possit ». E certamente quando, come fu accennato, il console Emilio, toccata una disfatta dagli Anziati, pose accampamento a Longula ed attese a curare i feriti, questi erano degenti nel valetudinario.

L'officina si trovava sotto la direzione di un prefetto, Praefectus fabrorum, ed era certamente piena di capi d'arte, fabbri ed altri operai cui era deferito, similmente all'odierna bassa forza, di provvedere gli alimenti ed apprestare il cibo. Vi si esercitava particolare sorveglianza, onde nulla di necessario mancasse all'esercito. Artieri esperti vi costruivano, secondo Vegezio, grande quantità di scudi, corazze ed armi « fabricas scutarias, loricarias, ar<< marias ».

Igino e Vegezio che si occuparono del modo tenuto dai Romani nel costruire gli accampamenti, non dissentono gran fatto da quanto sullo stesso argomento lasciò scritto Polibio, vissuto nella più stretta famigliarità degli Scipioni.

Solo poche modificazioni sulla tattica militare, avevano fatto derogare da talune antiche consuetudini. E se Vegezio, e più di lui il giureconsulto Macro, ammettono che ai tribuni era deferita l'alta direzione dei valetudinari da campo « inspicere vale<< tudinarios » anche Polibio sembra confermare la stessa cosa quando parla dell'officio che i tribuni avevano di stabilire il numero e la distanza delle tende.

Nel campo eranvi pure, secondo l'istesso autore, alcune località destinate agli officiali, e atte a contenere cavalli, giumenti ed altri ostacoli come allora soleva dirsi. « Statuunt igitur horum << omnia tentoria ad lineam unam rectam; cujus omnes partes a

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