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CAPO IV.

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Monete romane cogli emblemi di Esculapio — Apprezzamenti su questa divinità Esame sugli emblemi Rassegna degli individui componenti la legazione in Epidauro: nummi commemorativi - Igia, Giunone Sospita, Valetudine Criterii collettivi.

I. Delle antiche famiglie o Gentes Romanae, molte monete consolari si sono in varii tempi rinvenute, con gli emblemi ed insegne attribuite al Nume Esculapio, alla Diva Igèa, a Giunone Sospita.

La scoperta di questi nummi ha un valore storico grandissimo: imperocchè una via da altri inesplorata, che io mi sappia, trovasi ora aperta allo studio degli eruditi, e potrà giovare se non altro come potente e valevole criterio nello stabilire fatti ignorati e farli passare nel dominio delle cose, se non certe, almeno probabili con savio giudizio di logica. Le epoche cui si riferiscono i nummi, e i fatti storici che ci rappresentano, sembrano contribuire assaissimo, con i molti e pregevoli scritti e monumenti rimastici dell'epoca classica da me passata in rivista, ad accrescere la congerie degli argomenti adatti al mio assunto. Anzi, per la storia della medicina ben più grande si esperimenterebbe l'utilità dei criterii tratti dalle monete dell' epoca romana, se con giusto discernimento giungere si potesse a designare le famiglie che si occuparono più da vicino della nobilissima arte.

Il dottissimo numismatico Eckel arrivò a stabilire che la forma stessa, il conio, la dentellatura e l'epoca dei nummi aurei, argentei o di bronzo, possono dare gran lume sulla storia di quelle

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famiglie che i triumviri monetali in certo qual modo tramandarono ai posteri, incidendo nelle monete i Numi protettori e geniali con le insegne mitiche, ed alcuni fatti speciali che avevano rese celebri le famiglie stesse.

Ma per non dilungarmi dall'argomento di quest'opera, mi basta soltanto di sottoporre alle considerazioni del lettore quelle monete sulle quali sono effigiati emblemi che testificano il culto dell'arte medica in Roma nella divinità di Esculapio e di Igèa, corrispondente alla Salus dei Latini.

II. Sceverando il mito dalla storia è fuor di dubbio che Esculapio, il Nume della medicina, non fosse altro che un sommo medico, divinizzato dai Greci e secondo Diodoro Siculo (1) « ingenio et << vigore mentis excellens, scientiae medicae graviter incubuerit, << multaque hominibus ad valetudinem salutaria invenerit, eoque << gloria processerit, ut cum multos desperate aegrotantes non << sine miraculo sanaret, multos etiam ab inferis in vitam resti<< tuere existimaretur ».

Dicendolo figlio di Apolline e di Ariadne, o di Coronide secondo altri, soggiunge come: « multis a patre in medicina per<< ceptis, chirurgiam, et medelarum compositionem, radicum ipsam << virtutem invenit. Adeo autem artem medicinae extulit ut velut « ejus inventor et auctor veneraretur ». Il buon Diodoro con savio discernimento mette a dirittura tra le favole quanto fu detto di meraviglioso e sopranaturale di quel sommo medico e deride la leggenda che narra essere stato Esculapio fulminato da Giove ad istanza di Plutone « fabulis proditum est ». Altrove Diodoro parlando dell'Egizia Iside definisce per favolette greche « graecas << fabellas » tutte le meraviglie di lei riferite.

Cicerone (2) narra che l'Esculapio adorato dagli Arcadi fu l'inventore dello specillo ed il primo a proporre un metodo di cura per sanare le ferite « specillum invenisse, primusque vulnus obli<< gavisse ». L'illustre Arpinate parla anche di un Esculapio figlio

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(1) DIODORO SICULO
(2) CICERO - De Natura Deorum; III, 21.

Bibliothecae Historiae; Lib. IV e v.

di Arsippo e di Arsinoe che pel primo insegnò a svellere i denti e designò alcune sostanze purgative « primus purgationem alvi, << dentisque evulsionem, ut ferunt invenit », e fa cenno anche di quattro celebri personaggi aventi il medesimo nome e distintissimi nell'esercizio medico e chirurgico.

Comunque si voglia, questo Esculapio così celebre, della cui triste fine Virgilio nell'Eneide ed Ovidio nelle Metamorfosi hanno parlato così splendidamente, fu un medico che per le sue opere, e per l'importanza dell'arte sua raccolse molti onori: venne posto nella schiera degli Dei, adorato di culto rinomato e speciale in Grecia, nel tempio di Epidauro. Colà accorreasi da ogni parte a consultare i responsi degli oracoli; e per meglio intenderci, i sacerdoti di quel Nume, davano nel suo tempio leggi e consultazioni a quanti vi si recassero allo scopo di scongiurare calamità private e pubbliche, e debellare malattie epidemiche e pestilenziali.

III. Emblemi del Nume, riconosciuti dagli antichi erano, secondo Sesto Pompeo Festo (1) commentatore di Verrio Flacco:

a) Il serpe animale vigilantissimo, quasi ad indicare che la vigilanza deve essere il primo attributo del medico per scongiurare le malattie e mantenere in florido stato la salute.

b) Il cane perchè il Nume, secondo la favola, era stato nutrito dalle mammelle di quell'animale;

c) Il bastone nodoso per additare le difficoltà dell'arte;

d) Il capo coronato d'alloro, sia per l'eccellenza e nobiltà della medicina, sia perchè tale pianta era reputatissima come rimedio;

e) Il gallo e la gallina come animali al Nume dedicati e offertigli in consueto sacrifizio, e, secondo Plutarco, anche la capra, perchè credevasi non fosse mai affetta dalla febbre.

Altri attributi, ma alquanto meno esclusivi, sono:

f) Il Moggio, la patera e l'uovo; i due primi più comuni alla Dea Salute dei Latini, Tyez dei Greci, ritenuta figlia di Esculapio.

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IV. E per venire più dappresso all'argomento: questo Nume ebbe culto in Roma, tempio, e sacerdoti o medici, dopo essere stato consultato da apposita legazione spedita in Epidauro, in occasione di grave pestilenza, a scongiurare la quale non bastarono nè i consueti mezzi sanitari, nè il numero dei medici, secondochè riportano Dionisio e Tito Livio.

Avvenne la spedizione dei legati per pubblico decreto del Senato l'anno di Roma CCCCLXII. Il portentoso serpe appiattatosi nell'isola Tiberina, segnò il luogo dove fabbricare il tempio o nosocomio che secondo Festo (1) « facta aedes fuit quod aegroti a medicis maxime << aqua sustentarentur. » Plauto (2) citando il tempio dice che gli infermi, usciano guariti in guisa da esclamare: « migrare certum <est jam nunc e fano foras: » e Vitruvio (3) afferma « quorum << deorum plurimi medicinis aegri curari videntur. »

Il tempio, a parere di Plutarco (4), venne fabbricato fuori di città « quod ibi major salubritas, quam in urbe haberetur; » e per fermo fu sano criterio igienico costruire gli ospedali quasi fuori di città come, secondo Vitruvio (5), praticavasi coi templi di Vulcano per evitare il disturbo che deriva dalle arti fabbrili e romorose, di Venere per un alto sentimento di verecondia e moralità, e finalmente di Marte per tener lontano lo strepito dei guerreschi esercizi, evitando pure che l'agglomeramento delle caserme in città nuocesse alla pubblica salute.

Prima però della citata famosa legazione in Epidauro, narra Dionisio d'Alicarnasso (6) che, avendo infierito grave pestilenza in Roma, sotto il consolato di Giunio Bruto, questi spedisse i due suoi figli Tarquinio Tito ed Arunte in Delfo a consultare l'oracolo di Apolline, la cui celebrità nei responsi si era divulgata anche a Roma; sia perchè aumentate le comunicazioni esterne

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per fatti militari e trattati di commercio, sia perchè il Greco Tarquinio rifugiatosi in Corneto, ove divenne Lucumone etrusco e quindi in Roma, ove riuscì ad essere eletto Re, portasse secolui le notizie sulla rinomanza de' Numi ed Oracoli della Grecia. Nè sembri ozioso di osservare in tale istante che prima del tempio di Esculapio in Roma, esisteva in Italia e precisamente in Anzio nei Volsci un tempio omonimo con egual culto e sacerdoti. Ne parlano Valerio Massimo (1), Ovidio, ed Aurelio Vittore, che nel descrivere il viaggio della legazione di Epidauro nel suo ritorno in Roma, così si esprime: « Romani ob pestilentiam, responso << monente, ad Aesculapium Epidauro arcessendum decem legatos, << principe Quinto Ogulnio, miserunt. Qui cum eo venissent, et si<<mulacrum ingens mirarentur, anguis e sedibus suis elapsus, << venerabilis non horribilis, per mediam urbem cum admiratione << omnium ad navem Romanorum perrexit, et se in Ogulnii ta<< bernaculo conspiravit. Legati Deum vehentes, Antium pro<< vecti sunt ubi per mollitiem maris, anguis proximum Aescu<<< lapii fanum petiit, et post paucos dies ad navem rediit, et << cum adverso Tiberi subveheretur, in proximam insulam desi<< livit: ubi templum ei constitutum, et pestilentia mira celeritate << sedata est. »

Secondo Valerio Massimo,, Ovidio e Vittore, esisteva adunque prima di quello eretto in Roma un tempio di Esculapio vicino ad Anzio, dove il portentosò serpe viaggiatore s'intrattenne pochi giorni, per quindi rientrare nella nave, e appiattato nella stanza di Quinto Ogulnio, raggiungere come mèta del viaggio l'isola Tiberina, ove gli venne fabbricato un tempio magnifico, dopo di che la pestilenza come per incanto cessò.

Tale avvenimento ammesso concordemente dagli storici di ogni epoca fece talmente impressione da essere notato con ogni accuratezza; e per renderlo immortale, fatto incidere dai triumviri monetali nei nummi consolari di oro, di argento e di bronzo.

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