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PREFAZIONE

Lo storico deve riempire questa lacuna di seicento anni, colla sapienza delle romane leggi, colla rimembranza di monumenti e operazioni civili sanitarie, cogli insegnamenti igienici dei classici autori latini.

PUCCINOTTI Storia della Medicina; Vol. 1, Lib. iv, Cap. II, pag. 573.

Il giorno 8 ottobre 1872 scendeva nella tomba venerato e compianto Francesco Puccinotti da Urbino, non ultima fra le terre italiane nel produrre grandi e sovrumani ingegni. La patria e la scienza segnarono veramente quel giorno tra i nefasti, dappoichè scomparve in quello non solo il medico, il filosofo, l'igienista, ma altresì lo storico paziente ed erudito, una delle più spiccate individualità del nostro tempo.

Più che nel volgare spreco di lapidi e monumenti, lasciò imperituro ricordo di sè nel cuore di quanti seppero apprezzare il suo merito grandissimo. Propugnatore gagliardo ed instancabile del vero progresso delle scienze mediche, scrisse, come egli solo sapea, delle varie discipline, in cui quelle si compartono; compilando anche la Storia della Medicina, una delle più accurate opere che sieno state mai vergate da penna italiana. In essa trattò maestrevolmente delle diverse epoche della Medicina Orientale, Greca, Alessandrina e Romana: di quella dell'evo medio e dei tempi moderni da Vesalio, Galilei,

Harvey fino ai sommi Morgagni, Haller, Lancisi, Spallanzani, Baglivi, Scarpa e Volta. Si diffuse molto laddove storici valentissimi aveano dato prova di poca avvedutezza di critica. Narrò fatti rilevanti; pose a giusta disamina i varii sistemi, facendo risaltare dottamente i grandi beneficii recati all'umanità dall'incessante incremento dell'arte.

Però la vastità del soggetto impreso a trattare obbligò il Puccinotti a parlare troppo succintamente di alcune parti importanti della storia della medicina che è necessariamente quella dell'uomo; abbraccia tutte le epoche, segue tutte le varie fasi di civiltà e di barbarie, riceve l'impronta delle evoluzioni sociali, morali e politiche: cose cui non basta a delineare in complesso la ferrea attività dei più robusti ingegni. Perchè la medicina abbia una storia, fa d'uopo studiare partitamente talune epoche, taluni periodi che poscia riuniti possono formare un tutto soddisfacente e completo. Di questo si avvide il Puccinotti, e con quella modestia che forma uno dei più lusinghieri attributi del saggio, ne parlò chiaramente, laddove, trattando di volo dell'epoca Romana primitiva, additava esistere in quel periodo una lacuna che lo storico dovea riempire.

Fu questo un desiderio, un voto, un ammonimento, un consiglio?

Comunque voglia interpretarsi, certo è che la lettura di quella sensatissima frase, diè il primo impulso al mio faticoso lavoro. A me Romano piacque l'idea, e tanto mi sedusse da non permettermi di considerare la difficoltà dello eseguimento dell'opera. Reputai ben nobile e generoso concetto quello di investigare se veramente potesse colmarsi la lacuna deplorata, e se la medicina potesse, come tante altre discipline, avere in quell'epoca oscurissima una storia.

Riandando col pensiero ai meravigliosi fatti di Roma, mi parve notevole che fin nei suoi primordi dall'umile asilo di Romolo e di Numa uscissero, sorreggentisi a vicenda, la

forza e la legge. Quando le animose legioni soggiogavano col valore delle armi e l'intrepidezza nei pericoli tanti popoli, e trascinavano dietro il carro dei duci trionfatori, torme di vinti nemici, le leggi Papiriane e decemvirali, con senno e rettitudine, segnavano il fulcro di molti futuri reggimenti, in epoche anche lontanissime.

Ognun sa quanto i lavori di erudizione costino tempo e fatica, specialmente quando si aggirino là dove gli elementi sono scarsi e per lo più contrastati. L'avere precisato l'investigamento de' miei studii dall'epoca dei Re, mi procura certo l'opposizione di quelle dotte scuole tedesche, che, seguendo Niebuhr, han fatto un mito della storia primitiva di Roma. Alcune negano tutto ciò che si è narrato fin qui dalla fondazione di Roma, per i due celebrati nepoti di Amulio, fino alla battaglia del lago Regillo. Altre si spingono a negare anche l'epoca precedente a Furio Camillo e all' invasione. dei Galli.

Però quest'uragano distruggitore si è in questi ultimi tempi alquanto dissipato, ed i seguaci del critico Danese, cominciano a ricredersi, avendo l'attuale risveglio dell'archeologia restituito alla luce monumenti rilevantissimi.

La Roma quadrata di Romolo, i primi recinti, l'aggere di Servio Tullio, il perimetro dell'antica città si vanno riscontrando quasi esattamente conformi alle descrizioni di Varrone e di Dionisio, accusati dagli oppositori dell'epoca eroica di Roma, come autori di fiabe, inverosimiglianze o per lo meno millanterie. Il distruggere può, se così piaccia, dimostrare profondità di studii e speciale acume d'ingegno: ma sulle rovine gloriose del passato non edificar nulla, è un espediente assai peggiore e niente affatto lusinghiero per la nostra luminosa storia e le gloriose tradizioni.

Quali io accetto completamente, pur dichiarando di non aver potuto sempre sceverare il vero apprezzamento critico da attribuirsi a ciascuno degli autori greci e latini, che da

me esaminati hanno fornito i materiali opportuni al mio lavoro. Ognuno sa quanto maggior fede di Plutarco e Dione Cassio, meritino Tucidide e Polibio testimoni o parte dei fatti stessi da loro narrati. Niuno dubita che Cicerone meriti fede come storico ed erudito, non meno che come oratore. Dei due sommi poeti latini Virgilio ed Orazio, che rivestirono il loro concetto con una mai più raggiunta venustà di forma, il primo ha immensamente maggior valore storico del secondo.

Tuttavia la massima parte degli autori citati, non intesero affatto di dare peso alla medicina, avendone parlato incidentalmente nelle loro opere, scritte a scopo ed indirizzo diverso; e le cose narrate desunsero dagli scritti di testimoni oculari od annalisti dell'epoca cui i fatti si riferivano, da non autorizzare il minimo dubbio sull'esattezza delle cose esposte. Così, a mo' d'esempio, Plinio narra la venuta di Arcagato in Roma, riferendo quanto ne lasciò scritto Cassio Emina annalista, di cui si conservano soltanto alcuni frammenti; ed a conferma di altri fatti pur da lui narrati, Plinio cita spessissimo la testimonianza di Marco Varrone, il dottissimo dei Romani. Così pure Livio, Dionisio, Valerio Massimo, Diodoro Siculo, scrivendo ad altro scopo, parlarono incidentalmente delle varie pestilenze, ma le descrizioni che di esse fecero presentano tanta accuratezza e diligenza da sembrare sieno state loro dettate da medici dell'epoca. Che se Lucrezio imitò Tucidide nel descrivere la peste famosissima di Atene, diè per altro alla narrazione della medesima, impronta tutta locale e romana. Quando Cicerone segnalò il diverso punto di vista onde i Greci e i Romani consideravano le malattie mentali, non intese certamente fare un trattato di frenopatia, ma dare ragionevolmente contezza delle cognizioni che si possedevano ai suoi tempi sull'argomento.

È chiaro inoltre che la medicina non fu altrimenti studio. e retaggio di taluni individui, ma entrava nel campo vastissimo della filosofia. Per lo che i grandi uomini dell'epoca

romana della repubblica, scrissero su tutti gli argomenti che più dappresso riguardavano l'uomo. Così vediamo Catone, Varrone, Nigidio Figulo, Cicerone, gli Antonii, scrivere sul Giure, Agricoltura, Belle lettere, Storia, Igiene privata e pubblica, ed Arte militare.

È degno di nota come Cornelio Celso, l' Ippocrate latino, oltre i suoi otto famosi libri sulla medicina, abbia lasciato anche un trattato sul mestiere della guerra; e Vitruvio l'architetto, abbia consigliato i suoi colleghi a non essere ignoranti in fatto di materia medica. Che se il tempo non avesse tante cose distrutte, noi, dalle opere di quei sommi, la più parte perdute ed appena ricordate oggidì, tratto avremmo di certo schiarimenti maggiori di quelli che abbiamo avuto per la presente storia, quale altro non è che una interpretazione di studii tratti, secondo la frase di Puccinotti, dalla sapienza delle romane leggi, monumenti civili e sanitarii, insegnamenti igienici dei classici latini.

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