Insinuar ne' figli esta lordura, Chiedi tu donde viene alla favella Questa si rancia del parlar frittura? Questo smacco di stile, a cui la bella Guancia lisciato, e di piacer furente Per le panche il zerbino ti saltella? Onta non hai del non saper salvarlo, Libra i suoi furti. E allor lodarlo, alzarlo Parate, chi a suoi lai mi vuole inchino. Ma nerbo cresce e grazia alle mal cotte Rime. Oh! si vede. Il Berecinzio Atino, Bella chiusa di verso! e mi s'accosta Quel che il glauco Nereo spacca delfino. Così, sottrammo al lungo Apennin costa Dolce assai. Ma non è voto midollo Canto l'armi e l'eroe, e tutta crosta? - Certo: un ramaccio in gran sughera frollo. Quali adunque son versi in tuo pensiero Molli, e da dirsi inflesso alquanto il collo? Torva Mimalloneis implerunt cornua bombis, 100 Hæc fierent, si testiculi vena ulla paterni Nec pluteum cædit, nec demorsos sapit ungues. A. Sed quid opus teneras mordaci radere vero 105 Auriculas? Vide sis, ne majorum tibi forte Limina frigescant: sonat hic de nare canina Littera. P. Per me equidem sint omnia protinus alba. 110 Nil moror: euge, omnes, omnes bene mirae eritis res. A. Hoc juvat. P. Hic, inquis, veto quisquam faxit oletum. Pinge duos angues: pueri, sacer est locus, extra Mejite. Discedo. Secuit Lucilius urbem, Te Lupe, te Muti, et genuinum fregit in illis. Omne vafer vitium ridenti Flaccus amico 115 Mimallonj rimbombi i corni empiero Ritorti; ed Evio una Baccante intuona Nei nasi illustri ringhia. P. Una cotale Non m'oppongo: allegría; tutti, si tutti Siete versi stupendi. A. Or ben cammina. P. Niun quì, dici, a sgravar l'alvo si butti: E tu due serpi vi dipingi, e al piede: Pisciate altrove, è sacro il loco, o putti. Me la batto. Ma che? Libero fiede Lucilio la città; frange il sannuto : Dente in Lupo, ed in Muzio il pel rivede Tutto al ridente amico suo l'astuto Flacco, e per entro al cor ti scherza, esperto Nel sospender la gente al naso acuto. Men' mutire nefas? nec clam, nec cum scrobe? A. Nusquam. P. Hic tamen infodiam: vidi, vidi ipse, libelle: 120 Auriculas asini Mida rex habet. Hoc ego opertum, Hoc ridere meum tam nil, nulla tibi vendo Iliade. Audaci quicunque afflate Cratino Iratum Eupolidem praegrandi cum sene palles, Aspice et haec, si forte aliquid decoctius audis. 125 Inde vaporata lector mihi ferveat aure: 130 Nec qui abaco numeros, et secto in pulvere metas His mane edictum, post prandia Callirhoen do. 134 E s'io fiato è delitto? nè coperto, Nè manco dirla in buca èmmi permesso? A. No. P. Pur la voglio sotterrar qui certo. Ho visto, ho visto, o mio libretto, io stesso: Mida ha d'asin l'orecchie. Un cotal mio Rider da nulla, e mormorar sommesso Nol baratto. O chiunque hai nelle vene E d'Eupoli, e del gran vecchio d'Atene Guarda ancor queste, se per man ti viene Cosa che vaglia. Orecchie vaporate A quelle fonti io cerco, e cor di foco; Non lettor, che in iscarpe inzaccherate Delle greche pianelle si fa gioco, E vuol dir losco al losco, e si dà prezzo, Chè fatto Edil municipal di poco, Superbo dell'onor ruppe in Arezzo Le false mine. Nè buffon dimando Barba al Cinico svelle. Io costor mando |