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Lui si rapiscan le donzelle, e tutto
Che il suo piè calcherà rosa diventi.
Non commett'io tai voti alla nutrice,
Nè tu, Giove, esaudirli; ancor che tutta
In un bianco vestire ella ti preghi.
Forza tu chiedi, e fida agli anni tardi
Sanità. Così sia. Ma le salcicce,

E i gran piatti agli Dei turan l'udito,
E rattengono Giove. Ha chi arricchire
Con buoi svenati imprende, e su le viscere
Mercurio invoca: prospera i miei lari,
Prospera il gregge, e i suoi portati. E come,
Sciagurato, se squagli entro le fiamme.
Adipe tanto di vitelle? E pure
Con vittime ed opime libagioni
Costui perfidia in suo pregar: già cresce
La spiga, già l'ovil cresce, già fatta
È la grazia, già già: finchè deluso
E fuor di speme l'ultimo quattrino
Invan sospira della borsa al fondo.
Se argenteo nappo, o vaso a gran rilievo
D'auro in dono t' arreco, dal contento
Tu propio sudi, il cor nel lato manco
Spremesi in gocce, e trepida di gioja.
Da qui la mente di smaltar ti venne
Con auro tríonfal le sacre effigi;
Precipui quei tra divi enei fratelli
Che invían purgati dal catarro i sogni,
A questi tu farai d'oro la barba.
L'oro i vasi di Numa, e il ramę espulse

Vestalesque urnas, et Tuscum fictile mutat. 60

O curve in terris animæ, et cœlestium inanes!

Quid juvat hoc, templis nostros immittere mores, Et bona dís ex hac scelerata ducere pulpa?

Hæc sibi corrupto casiam dissolvit olivo;
Hæc Calabrum coxit vitiato murice vellus ;
Hæc baccam concha rasisse, et stringere venas
Ferventis masse crudo de pulvere jussit.

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Peccat et hæc, peccat: vitio tamen utitur. At vos Dicite pontifices, IN SANCTO QUID FACIT AURUM?

Nempe hoc, quod Veneri donate a virgine puрœ. 70

Quin damus id superis, de magna quod dare lance Non possit magni Messalæ lippa propago? Compositum jus, fasque animi, sanctosque recessus Mentis, et incoctum generoso pectus honesto.

Hæc cedo, ut admoveam templis, et farre litabo. 75

Di Saturno, e cangiò l'urne di Vesta, E l' etrusche stoviglie. Oh de' mortali Alme curve nel fango, e del ciel vote! A chè nostri cacciar vizj ne' templi, E stimar grato a Dio ciò che gradisce A nostra polpa scellerata? È questa Che le casie stemprossi in guasta oliva, Questa il calabro pel cosse in vermiglio, Questa ne spinse a dispiccar la perla Dalla conchiglia; e monde dalla polve Del fervente metal strinse le vene. Pur s'ella pecca, e certo pecca) almeno Del peccato si giova. Ma ne' templi L'oro a che serve ? a che per dio? Ne'l dite Voi, Sacerdoti. Ciò che appunto a Venere La mimma, che donò la verginetta. Che non piuttosto per noi s' offre ai Numi Ciò che offrir non potrà da sua gran mensa Del gran Messala la perversa prole? Pietà, giustizia, in cor scolpite; i santi Della mente segreti, e caldo petto D'onestà generosa. A me ciò dona, Che al tempio il rechi, e literò col farro.

SATYRA III.

NEMPE hæc assidue? Jam clarum mane fene

stras

Intrat, et angustas extendit lumine rimas.

Stertimus, indomitum quod despumare falernum Sufficiat, quinta dum linea tangitur umbra.

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En quid agis? Siccas insana canicula messes Jamdudum coquit, et patula pecus omne sub ulmo

est.

Unus ait comitum. Verumne? itane? ocyus adsit Huc aliquis: nemon'? Turgescit vitrea bilis: Finditur. Arcadice pecuaria rudere credas.

Jam liber, et bicolor positis membrana capillis, 10 Inque manus chartee, nodosaque venit arundo.

Tunc queritur crassus calamo quod pendeat humor,
Nigra quod infusa vanescat sepia lympha:
Dilutas queritur geminet quod fistula guttas.
O miser, inque dies ultra miser! huccine rerum 15
Venimus?

SATIRA III.

Vu Pedagogo, ed un Giovine.

SEMPRE COSÌ? Già chiaro s'introduce

Per le finestre il sole, e li spiragli
Angusti allarga la diffratta luce.

Russiam quanto a schiumar l'ambra, che smagli,
Di campano Lieo sarebbe assai,

Finchè il gnomon la quinta linea tagli. Cuoce Sirio furente, (a che più stai? ) L'arse messi da un pezzo, e tutta è sotto Ai lati olmi la greggia. G. Oh che di' mai? E fia vero? Ehi di là: quì alcun di botto: Nessun ? - La bile allor lampeggia; i piedi Batte il monello, nel gridar sì rotto, Che le bestie ragliar d'Arcadia credi.

e canna, e bicolore

Già libro, e carta, e canna,

Liscia membrana nella man gli vedi.
Or duolsi che dal calamo l'umore

Goccia un po' grosso, ed or che per infusa
Tropp'acqua il nero dell'inchiostro muore;
Or la cannuccia, che fa scorbj, incusa.
P. Uh poverello! e ognor più poverello!
E a tal siam giunti ? Per miglior tua scusa

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