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VARIE QUESTIONI DI DIRITTO E DECISIONI

TRATTE DAL GIORNALE DI GIURISPRUDENZA UNIVERSALE.

I Tribunali possono essi omologare l'Atto co'l quale un marito cede irrevocabilmente a sua moglie l'amministrazione de' suoi beni, volendo che questa cessione equivalga ad una interdizione giudiziaria?

Dal suddetto Giornale del 1812, Tom. III. pag. 120 a 128.

§ 1064. « Il Procuratore generale imperiale espone d'essere inca

ricato dal Governo di domandare l'annullazione di una Sentenza di prima Istanza di Parma, la quale contiene un manifesto eccesso di potere. »

« Con Atto notarile del 15 Ottobre 1807 Benedetto Galli, riconoscendosi incapace di amministrare i suoi beni da buon padre di famiglia per mancanza di esperienza, volendosi sottrarre agl' inganni ed alle sorprese altrui, e bramando che i suoi affari siano amministrati ed ordinati in una maniera lodevole, atteso il disordine nel quale attualmente si trovano per effetto della sua imprudenza; dichiara di fare volontariamente ed irrevocabilmente la cessione della suddetta amministrazione a Teresa Piccinini sua moglie, di maniera che questa cessione equivalga ad una vera e formale interdizione giudiziaria; e vuole a quest'effetto che, per adempiere alle solennità prescritte dall'art. 501. del Codice civile, il presente Atto sia sottomesso al Tribunale di prima Istanza di Parma, per essere da lui omologato. »>

« All'indomani fu fatta istanza per l'omologazione di questo Atto, e li 24 dello stesso mese, dietro le conclusioni del Procuratore imperiale, si pronunciò un giudizio, che, su l'appoggio della disposizione dell'art. 501. del Codice Napoleone, omologa la cessione dell'amministrazione de' suoi beni, fatta dal mentovato Benedetto Galli a Teresa Piccinini di lui sposa, per tutti gli effetti di ragione. Questo giudicato (soggiunge egli) alla diligenza delle parti potrà farsi spedire, significarsi, ed inscriversi su le tabelle che devono esporsi nella sala dell' Udienza e negli studj de' Notaj del Circondario, di conformità al disposto dall'art. 501. del Codice Napoleone. »

VARIE QUESTIONI DI DIRITTO E DECISIONI.

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<< Ecco una interdizione pronunciata conseguentemente alla domanda e per il solo effetto del consenso della parte, di cui ella paralizza i di ritti; ecco un marito che, in forza soltanto del suo consentimento ed istanza, è posto irrevocabilmente sotto la tutela della di lui moglie; ecco finalmente informato con solennità il Publico, che Benedetto Galli per espressa sua volontà è dichiarato incapace a contrattare. >>

« Dipende adunque dalla volontà dei particolari il regolare l'esercizio dei loro diritti civili? Appartiene adunque ad un privato maggiore d'età, e che gode la pienezza de'suoi diritti, di rinunciare alla sua capacità, e di dire io voglio essere incapace? Certo che no. La legge sola regola lo stato e la capacità dei cittadini; essa soltanto può spogliarneli; essa esclusivamente può determinare e determina realmente le cause che ne importano la privazione: cause che devono sempre verificarsi dai Giudici con eguale solennità e precisione, prima di usare del diritto geloso e formidabile che loro fu da essa conferito. »

Non si può (dice espressamente l'art. 6. del Codice Napoleone) derogare da particolari convenzioni alle leggi che interessano l' ordine publico. Ora quali leggi interessano maggiormente l'ordine publico di quelle che stabiliscono lo stato delle persone, e che, nel tempo stesso in cui con vincoli salutari legano il minore, lasciano al MAGGIORE il libero esercizio della sua individuale libertà? >>

« E che? Non s'avvalora forse maggiormente questo principio co'l riflesso, che in vigore del contratto di matrimonio non può nè meno derogarsi ai diritti risultanti dall'autorità maritale su la moglie e i figliuoli, che appartengono al marito in qualità di capo di famiglia? L'articolo 1388. del Codice civile formalmente lo dichiara. E come mai il marito, con un semplice Atto celebrato durante il matrimonio, potrà sottoporsi volontariamente ed irrevocabilmente alla tutela della di lui moglie, spogliandosi dell'autorità della quale la legge lo ha investito? Ciò sarebbe, giova pur dirlo, il maggiore degli assurdi. »>

« Ma richiamiamo specialmente la nostra attenzione agli artic. 490. e 491. del Codice Napoleone. L'art. 490. dispone che ogni parente è ammesso a provocare l'interdizione di un suo parente. Lo stesso ha luogo per l'uno de' conjugi riguardo all' altro. L'art. 491. aggiunge, che in caso di furore, se l'interdizione non è provocata nè dal conjuge, nè dai parenti, essa deve esserlo dal Regio Procuratore, il quale potrà anche provocarla, in caso d'imbecillità o di demenza, contro uña persona che non avesse nè consorte, nè parente conosciuto. — »

« Ad evidenza risulta dai due citati articoli, che se un individuo

avente una moglie od un marito o parenti conosciuti dichiara ad un Tribunale di trovarsi in uno stato d'imbecillità e di demenza, e domandasse la sua interdizione, il publico Ministero non potrà valutare la di lui domanda qual denuncia, onde passare ad una processura per farlo interdire. E come potrassi concepire, che non potendo il publico Ministero, dietro il consenso giudizialmente espresso da questo privato, domandare l'interdizione, lo possa poi quest' ultimo da sè in forza soltanto di un Atto notarile? Si potrà mai concepire che questo individuo, per solo effetto della sua volontà, possa provocare ed ottenere una interdizione che gli verrebbe ricusata, quand' anche co 'l mezzo e su le conclusioni del Regio Procuratore fosse domandata ? »

« Ancora una parola a definizione della controversia. Nel Progetto del Codice Napoleone, composto dai Commissarj a tale effetto nominati nell'anno VIII., e che fu diramato a tutti i Tribunali perchè vi facessero le loro osservazioni, riscontrasi un Capitolo del consulente volontario, le cui disposizioni accordano ad ogni maggiore, che si crede incapace ad una retta amministrazione de' suoi beni, di domandare che gli sia nominato un consulente giudiziario. Questo Capitolo non trovasi nel Codice Napoleone: esso fu omesso nella redazione definitiva di questo Codice per le ragioni appunto che il Legislatore lo credette contrario alle sue mire. >>

« Quindi un privato non può, dietro la sua domanda e per solo effetto del suo consenso, essere posto nello stato di un prodigo, cui la legge dà un consulente. E come mai potrà egli, in forza soltanto delle sue domande e del suo consenso, essere dichiarato assolutamente interdetto? S'egli è vero, come espressamente lo dice la legge 22. ff. De regulis juris, che nella permissione del meno quella del più si racchiude (non debet ei, cui plus licet, quod minus est non licere), sarà pur vera la massima, che la proibizione del più abbraccia la proibizione del meno. >>

« Di conseguenza Benedetto Galli fece un ridicolo abuso di quella libertà che la natura e la legge gli diedero, consentendo alla propria interdizione in forza dell'Atto 16 Ottobre 1807. Il Tribunale civile di Parma ha dunque ecceduto i suoi poteri omologando quest'Atto; imperocchè vi ha sempre eccesso di potere quando un Tribunale omologa un Atto relativo ad oggetti che la legge non ha voluto sottoporre alle convenzioni dei particolari. Egli è perciò che con un Decreto del di 6 Piovoso, anno XI., la Corte, dietro requisitoria fatta dall' esponente per ordine espresso del Governo, ha cassato, siccome importante un

eccesso di potere il più palese, l'Ordinanza emessa dal Tribunale civile di Saint-Gaudens, in conseguenza di un preteso giudizio arbitramentale, co 'l quale si dichiarò nullo un matrimonio in vigore di un compromesso sottoscritto dai due conjugi. Possiamo mai imaginarci un eccesso di potere più mostruoso di quello che consiste nello spogliare del suo stato e della sua libertà un uomo, senza la prova giurídica che egli ne abbia meritato, ed incorsa la privazione? »

« In forza di questa considerazione, ec.

DECISIONE.

Segnato MERLIN. »

La Corte, visto l'art. 80. della Legge 27 Ventoso, e gli articoli 490. 491. 492. 493. 494. 496. e 498. del Codice Napoleone;

E ritenuto che dalle convenzioni particolari non si può derogare alle leggi che interessano l'ordine publico, e regolano lo stato dei cittadini; Cassa, ec.

Del 7 Settembre 1808, Sezione dei ricorsi (1).

OSSERVAZIONE.

$ 1065. Dopo i principj esposti nella requisitoria sovra riportata, avvalorati dalla Decisione della Corte di Cassazione dell'Impero, che cosa dovremo

della pensare

seguente

tesi?

« Un padre, che lasciò erede il proprio figlio nella parte disponi» bile de' suoi beni, ha diritto di proibirgliene l'amministrazione fino >> ad un certo tempo che sorpassi anche la sua maggiore età, nè da » una tale proibizione s'induce nel figlio uno stato d'interdizione che possa rivocare. >>

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si

Qual è la ragione di questa opinione? Eccola.

« Il testatore nella parte disponibile de' suoi beni era in facoltà di apporre qualunque condizione, purchè questa non avesse l'ostativa della legge; ma così è, che il testatore co 'l privare dell'amministrazione suddetta il proprio figlio non ingiunse una condizione proibita dalla legge. Dunque non indusse nel proprio figlio stato alcuno d'interdizione, per cui facesse d'uopo un apposito giudizio onde rivocarla, a termini dell'art. 512. del Codice Napoleone. »

Ma chi ha detto all'opinante che la detta condizione non avesse l'ostativa della legge? Forse la legge non osta a tutto ciò ch'è contrario all'ordine publico? Se osta all'ordine publico che un maggiore domandi

(1) Sirey, Tom. VIII. Parte I. pag. 470.

la propria interdizione, e se altri non la possono domandare che per le cause espresse dalla legge; con qual diritto potrà essere interdetta, anche per molti anni dopo la minorità, questa libera amministrazione da un terzo con un Atto privato, mentre è noto l'assioma legale, che nemo potest in testamento suo cavere, ne leges in suo testamento locum habeant ()? Forse che la facoltà di testare non è l'esercizio di un potere publico delegato al privato medesimo che fa il testamento, anzichè un atto di padronanza o di dominio particolare? Forsechè un testatore, che dispone di cose posteriori alla propria morte, non trae tutta la forza delle proprie disposizioni dalla volontà della società vivente, a cui solo appartiene il godimento della terra e di tutti i beni, e che a norma del proprio interesse ne dirige la sorte? Chi ha mai detto che la legge accordi maggior potere ad un privato testatore su lo stato civile altrui, di quello che essa stessa si è voluto riservare per la libera contrattazione e per il commercio delle cose in società? Chi ha mai detto che un terzo possa privarci d'un diritto di cui noi medesimi non possiamo disporre, e che la legge vuole conservato per l'ordine publico?

Il vivere per un dato tempo in uno stato di comunanza di beni senza poter esercitare il diritto di divisione, è assai meno odioso che l'essere spogliato per un decennio dell' amministrazione dei beni ereditarj. E pure la legge, che ha permesso di domandare questa comunanza all'erede (senza distinzione della porzione disponibile dalla porzione riservata) per un tempo non maggiore di cinque anni, non ha voluto accordare al testatore veruna facoltà ad obligare gli eredi a vivere uniti nè per un lungo nè per un breve tempo, nè quanto alla porzione riservata nè quanto alla disponibile (2); ma in ciò ha precisamente voluta la maggiore libertà, ed ha impedito ai testatori di limitare a capriccio agli eredi il libero esercizio della proprietà. Tanto è vero che tutto ciò che appartiene allo stato civile delle persone ed alla libera amministrazione della proprietà non fu mai lasciato o sottoposto all'impero dei testatori, ma esclusivamente riservato a quello della legge, la quale per cause espresse modera il libero esercizio della proprietà o acquisita o trasmessa, secondo le vedute del migliore ordine publico. La condizione pertanto che assoggetta l'erede all'altrui amministrazione per molti e molti anni, specialmente dopo la maggiore età apposta nel figurato testamento, si deve ritenere come non inscritta, per essere contraria all' ordine publico (3).

(1) Leg. 55. ff. De legat. 1.
(2) Codice Napoleone, art. 815.

(3) Nel Giornale di Giurisprudenza, Tomo VI. pag. 32-35, è riportata una Decisione

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