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AL CAVALIERE

VITTORIO FOSSOMBRONI

Vittorio, cui con man prodiga diede

Natura d'accoppiar con rara unione
E insiem gustar Virgilio ed Archimede;
Tu la cui fantasía della ragione

Sa l'inculto sembiante ornar sì ch'ella
Rasserena la fronte, e appar più bella:
Vittorio, tu ritorni un'altra volta

A chiedermi deʼversi, e muovi risse
Alla mia inerzia, al mio silenzio ? ascolta:
Se il Cianco (1) a te con un caval venisse,
E dicesse; Signor, quest'è un Ginetto
Di Spagna, e non ha il minimo difetto;

Flore bono, claroque fidelis Amice Neroni,

Si quis forte velit puerum tibi vendere natum Tibure, vel Gabiis; et tecum sic agat: hic est Candidus, et talos a vertice pulcher ad imos, Fiet, eritque tuus Nummorum millibus octo:

E

un cavallo di scuola, all'ambio, al trotto
Non ha pari, al raddoppio ed al galoppo;
Son dal bisogno a venderlo ridotto

Per cento scudi, e non vi paja troppo:
Che se il comprate avrete un de'più egregj
Cavalli, e adorno di mill'altri pregj:

Vien dietro come un cane, e a un vostro cenno
Picchia alla porta come il servitore,
Sicchè sembra ch'egli abbia umano senno,
E colla zampa sa fin batter l'ore:

Con altre doti, che in silenzio io passo,
Niun vi farà partito così grasso;

Verna Ministeriis ad nutus aptus heriles,
Literulis Graecis imbutus, idoneus Arti
Cuilibet: Argilla quidvis imitaberis uda
Quin etiam canet indoctum, sed dulce bibenti.
Multa fidem promissa levant, ubi plenius aequo
Laudat venales, qui vult extrudere, merces.
Res urget me nulla: meo sum pauper in aere,
Nemo hoc mangonum facere tibi. Non temere a me
Quivis ferret idem. Semel hic cessavit: et ut fit,
In scalis latuit metuens pendentis habenae.
Des nummos, excepta nihil te si fuga laedat:

L'altrier sudato ( come avvien ) rimaso
Per negligenza al vento, raffreddosse,
Perciò grondar voi gli vedete il naso,
E qualche volta ha una leggiera tosse,
Se ciò non vi dà noja ( e fia guarito
In pochi giorni ) è già stretto il partito.
Che avvien? sborsato appena il tuo denaro
T'accorgi che un caval bolso haí comprato,
E del suo mal non eri affatto ignaro;
Tu muovi lite; ride il Magistrato,
Dice che il torto tuo troppo è palese,
E perfin ti condanna nelle spese.
Siamo nel caso: è ver che tu facesti

Da sensal, me lodando, quanto puote
Lodar la bestia il Cianco, e pretendesti
Ch'io scrivessi de'versi: in chiare note
Ti dissi allor quanto infingardo io sia:
Di che m'accusi: ho detta una bugia?

Ille ferat pretium, poenae securus opinor, Prudens emisti vitiosum: dicta tibi est lex: Insequeris tamen hunc, et lite moraris iniqua. Dixi me pigrum proficiscenti tibi, dixi

Talibus officiis prope mancum. Ne mea saevus

Son pigro tel confesso apertamente,

Tel dissi, ti prevenni ancor, ma inva no :
Or tu mi muovi lite ingiustamente.
Allorchè Montemar, il duce ispano,
Era in Italia, un suo vecchio soldato
Aveva un buon peculio ragunato;
Ma in un'oscura notte in cui sepolto
E nel sonno e nel vin russava, il frutto
Di sue fatiche a un tratto gli fu tolto:
E ver che anch'esso avea rubato tutto,
Ma ne'debiti modi, e con i suoi

Sudori, e come rubano gli Eroi.

Jurgares ad te quod epistola nulla veniret:
Quid tum profeci, mecum facientia jura

Si tamen attentas? quereris super hoc etiam, quod
Expectata tibi non mittam carmina mendax.
Luculli miles collecta viatica multis

Aerumnis, lassus dum noctu stertit, ad assem
Perdiderat: post hoc vehemens lupus, et sibi, et hosti
Iratus pariter, jejunis dentibus acer,
Praesidium regale loco dejecit, ut ajunt,
Summe munito, et multarum divite rerum.
Clarus ob id factum, donis ornatur honestis:

Disperato perciò, nè verun conto
Tenendo della vita, le trinciere
Sali furioso presso di Bitonto,
Vinse, uccise, rubò, si che l'avere
Perduto riacquistossi, ed ammirandi
Elogi ebbe dal Duce e premj grandi.
Volendo il General poscia assalire
Un forte sito, con molta eloquenza
La breccia l'esortò primo a salire,
E dare esempio altrui: Vostra Eccellenza,
Rispose allora il villanzone astuto,
Cerchi d'un che la borsa abbia perduto.

Accipit, et bis dena super sextertia nummum. Forte sub hoc tempus castellum evertere Praetor Nescio quod cupiens, hortari caepit eundem Verbis,quae imido quoque possent addere mentem. I bone quo virtus tua te vocat: i pede fausto Grandia laturus meritorum praemia. Quid stas? Post haec ille catus, quantumvis rusticus, ibit, Ibit eo quo vis, qui zonam perdidit, inquit. Romae nutriri mihi contingit, atque doceri Iratus Grajs quantum nocuisset Achilles, Adjecere bonae paulo plus Artis Athenae:

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