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Allora il Sol coprì torbido nembo,
Rimbombò cupo tuon, sanguigna traccia
Solcò alla nube il tenebroso grembo,
E uscirne io vidi con terribil faccia
La Dea che sull'istabil ruota siede,
E i regi ed i pastor calca col piede.
Vidi giacer sotto il suo piè fatale

Dell'Austria il vuoto soglio, e accanto a quello
Colla testa dimessa e flaccid'ale
Starsi di Giove il generoso augello:
Fiammeggiò in volto qual cometa atroce,
E come freme il tuon mosse la voce:
Io son colei che al Parto, e al Medo cinsi
Di regio serto la superba fronte,

Il Macedon guerrier nell'Asia spinsi,
Ruppi di Serse il temerario ponte,

Che alfin fuggendo a stento in mar s'apría
In fra i densi cadaveri la via. (4)
Gl'incatenati regi in Campidoglio

Da me fur tratti, e il braccio mio funesto
A Roma franse il trionfale orgoglio:
Ecco che all'Austria il fato stesso appresto:
La Regia Donna allor mostrommi cinta
D'armi nemiche sì, ma non già vinta.

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E già di Marte a ritentar la sorte
Di nuovo altera l'ottomanna Luna
Dalle cadute sue sorge più forte,
E mezza l'Asia, e mezza Europa aduna;
Il Prusso emulo antico, accolte insieme
Le cerulee falangi, arme arme freme.
Ma qual novello strepito di Marte

Suona da lungi, e più e più rimbomba?
Con spaventosi lumi e chiome sparte
Sulla Schelda trascorre, e della tromba
Coll'orribile suon chiama a rivolta
Le turbe incaute la Discordia stolta:
Seguela, e ruota l'atra face Aletto,

Mentre fischianle i serpi in sulla fronte,
Che versano ove passa in ogni petto
Di rabbioso velen livida fonte;
L'atra brama di sangue ognor s'accresce,
E invidia, odio, furor confonde e mesce.
Quella perfin del ciel figlia sacrata

Dell'imperfetta umanitade i danni
Per emendar dal ciel a noi mandata,'
Dolce conforto ne'più tristi affanni,
Gli uomini tutti di legar capace
Con aureo e santo vincolo di pace,

L'alma Religion nell'atro è involta
Turbin di guerra, e nelle orribili onde,
Che a lei la Sedizion la casta ha tolta
Veste, e in essa s'avvolge e si nasconde;
Alza il vessillo, e con profane voci
All'armi chiama i popoli feroci.
Così dell'Austria il combattuto regno
Lacero io vidi, quale in ria procella
Sen va, perso il nocchier, sdrucito legno;
Il flutto or questo lato, or quel flagella,
Stridono i venti che sulle ritorte

Fendonsi, e par che in tuon freman di morte: A tante scosse replicate e tante

Sull'orlo della prossima ruina

Resiste l'Austria intrepida, in sembiante
Di dolente bensì ma di Reina:

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Già già cadea, quando un suo figlio venne,
L'augusta man le porse, e la sostenne.
Di pacifica oliva il crine avea

Cinto; davanti al suo reale aspetto
L'ire frenò la furibonda Dea;

Anzi, poichè a cangiar prende diletto,
Scordati in faccia a lui gli sdegni e l'onte,
Tornò tranquilla, e serenò la fronte.

Disciolta l'atra nube, discoprío

Lucido il crine oltre l'usato il Sole;
E voce più che umana allor s'udío
(Forse fu del Destin: ) l'Austriaca Mole
Starà in eterno, nè possanza alcuna
Avrà su quella il Tempo o la Fortuna.
Al nido antico allor le fulgid'ale

Spiegò sublime, vinto ogni periglio,
L'Austriaco Augel recando il trionfale
Cesareo serto nel guerriero artiglio:
Di LEOPOLDO al piè Marte si giacque
Avvinto, e innanzi a lui l'Europa tacque.
Nel comun gaudio, Etruria mia, tu sola
Credi forse restare orfana e mesta?
Sgombra il timore ingiusto, e ti consola;
Qual nuovo ordin di cose a te s'appresta
Mira, e comprendi (e i suoi decreti adora, )
Se LEOPOLDO t'amò, se t'ami ancora.
Quel Prence che co'voti, e co'sospiri
Chiamavi nel tuo vedovo cordoglio
Ecco ti guida, e compie i tuoi deširi,
Fissa il tuo fato, e dona ad esso un soglio:
Grande e sublime atto è donare un trono,
Ma assai più grande è il Donator del dono.

E già varcato il gelido Apennino

Scende l'Augusto Prence, e a Flora appare; Come s'indora l'aer mattutino Quando l'astro del dì spunta sul mare, Così tu rassereni, Etruria, il ciglio, E saluti co'plausi il tuo gran FIGLIO. Questa, o Prence Real, che in lieti vivá 'T'accoglie, ella è la Terra Tua natía, Ella rammenta ancor quanto giuliva I Tuoi primi vagiti accolse in pria, E mirò svilupparsi co'crescenti Anni ognor più le Tue Virtù nascenti. Vede or maturi in Te del Genitore

I germi illustri, e in Te ritrova intanto
Del Padre il senno, e della Madre il core:
O Madre Augusta! in sulle ciglia il pianto
Viene ad Etruria allor che a'pregj tuoi
Pensa, e che ti perdè rammenta poi.
Ma ritrovar le tue virtù nel petto

Della COMPAGNA del tuo FIGLIO spera,
E tra i bei lampi del reale aspetto,
Su cui sta pinta l'anima sincera,
Splender le tue virtù già tutte vede,
E la prima mirar LUISA crede,

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