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« Il venditore che è stato leso oltre la metà nel giusto prezzo di un immobile ha il diritto di chiedere la rescissione della vendita, ancorchè nel contratto avesse rinunziato espressamente alla facoltà di domandare una tale rescissione, ed avesse dichiarato di donare il di più del valore » (1).

La legge ritiene « che quando un immobile è venduto per un prezzo inferiore alla metà del suo giusto valore, il venditore non abbia potuto rassegnarsi ad una lesione così enorme se non costrettovi da imperiosa necessità di trovar danaro per soddisfare ai suoi impegni » (2). Ma « la rescissione a titolo di lesione non ha luogo in favore del compratore » che non può essere costretto dalla miseria ad acquistare un immobile. Anzi è naturale il presumere che chi fa un tale acquisto sia in istato di agiatezza. La rescissione a titolo di lesione « non ha luogo neppure nelle vendite che si fanno ai pubblici incanti » (3), le quali hanno carattere particolare di concorso e di gara e si eseguiscono in forma solenne che garantisce la sincerità dei contratti. << Non si può stipulare:

<< Che il conduttore sopporti più della metà della perdita del bestiame, allorchè avvenga per caso fortuito e senza sua colpa; << Che egli abbia nella perdita una parte più grande che nel guadagno;

<< Che il locatore prelevi in fine della locazione qualche cosa oltre il bestiame dato a soccida.

<< Ogni convenzione di tale natura

nulla » (4).

La legge vuol difendere il conduttore, generalmente povero ed ignorante, da vessatorie pretese.

(1) Art. 1529.

(2) Relaz. minist., 177; Discuss. parlam., 142, 214; verbali, v. 37, n. 9.

(3) Art. 1536 cap.

(4) Art. 1677.

Ramponi

Il creditore pignoratizio non può disporre del pegno pel non effettuato pagamento; ed il creditore anticretico non diventa proprietario dell'immobile per la sola mancanza del pagamento nel termine convenuto. Qualunque patto in contrario è nullo (1). Il valore della cosa mobile pignorata, e tanto più quello del fondo anticretico sono quasi sempre superiori, talvolta superiori assai, all'ammontare del debito. E quando il debitore, spinto dalla necessità e fiducioso di poter soddisfare l'obbligazione, autorizzasse il creditore ad appropriarsi, in mancanza di pagamento, l'immobile anticretico od il mobile pignorato, cose di grande valore sarebbero perdute nella estinzione di piccoli debiti. Ma non si vuole concedere questa vittoria inumana alle dure esigenze del creditore (2). Il quale nel caso di non effettuato pagamento è già garentito dal privilegio sul mobile pignorato (3) e dal diritto di far ordinare giudizialmente che questo rimanga presso di lui in pagamento fino alla concorrenza del debito o che sia venduto all'incanto (4); oppure, nel caso dell'anticresi, dal diritto di ottenere coi mezzi legali la spropriazione del suo debitore (5).

§ 8.

Tutte le disposizioni che abbiamo vedute, riunite in gruppi per maggiore chiarezza, e molte altre delle quali non facciamo parola esulano dal campo delle presunzioni legali. Nè sono finzioni come le chiama il Seilhan inesattamente (6). La finzione risponde ad un altro concetto ed ha un carattere ben diverso:

(1) Art. 1884, 1894; cod. comm., art. 459.

(2) Discuss. parlam., 143, 214; verbali, v. 46, n. 2.

(3) Art. 1879, 1958, 6°.

(4) Art. 1884.

(5) Art. 1894.

(6) P. III, c. II, 19 e 20.

è un supposto contrario a verità (1). Mentre le norme giuridiche dianzi esaminate hanno per fondamento l'ipotesi che alla verità meglio si avvicina. Esse rappresentano l'ultimo stadio a cui è giunto per evoluzione progressiva un concetto giuridico, quasi l'ultima pagina di una storia. Perocchè, si noti bene, le presunzioni legali hanno veramente una storia. Cominciano dall'essere semplici congetture; entrano nella coscienza del giudice che ne sente la gravità; poco a poco, quasi insensibilmente acquistano terreno e diventano padrone di tutta la giurisprudenza; ed allora non hanno più che un passo da fare per entrare nella coscienza del legislatore che le formola e le sanziona. Ma quel concetto giuridico, che si è venuto svolgendo pian piano da semplice congettura dell'uomo fino a presunzione della legge, continua ancora il suo movimento evolutivo. Acquista un dominio sempre più forte nella coscienza del giurista, del magistrato, del legislatore, e finisce col perdere la sua veste di presunzione ed affermarsi addirittura come un principio, come una norma imperativa.

Così è naturale, per esempio, ritenere che i contraenti, i quali si siano accordati intorno a tutti i punti essenziali del contratto, facendo appena riserva circa qualche punto di secondaria importanza, intendano che il contratto abbia efficacia obbligatoria. Questo concetto presso di noi è entrato nella giurisprudenza e vi ha messo radice (2), altrove ha guadagnato terreno ed è già

(1) V. parte I, cap. III, § 1, in fine; cap. VI, § 3.

(2) Cfr.: C. Torino, 6 marzo 1885, Perfuno c. Panizza, M. trib. Mil., 1885, 258; A. Torino, 29 maggio 1885, Candellero c. Marocco, Giur. Tor., 1885, 470; A. Firenze, 5 giugno 1885, Varrocchi c. Francalami, Annali, 1886, 179; C. Roma, 20 gennaio 1886, De Ascentiis c. Cipol loni e Corsi, Foro it., 1836, I, 518; A. Lucca, 3 agosto 1886, Birelli e Bruscolini c. Fontani e Birelli, Annali, 1886, 356; C. Torino, 2 settembre 1886, De-Ferrari c. Negrotto, Giur. Tor., 1886, 579.

allo stato di presunzione legale (1), e in avvenire finirà, non è improbabile, col perdere anche questa veste ed affermarsi addirittura come una regola: se i contraenti si accordarono su tutti i punti essenziali, il contratto è obbligatorio (è perfetto), non ostante la riserva circa i punti secondari.

Questo passaggio dalla forma di presunzione ad una forma più recisa si può anche constatare, ed è forse desiderabile, riguardo a quelle norme giuridiche, le quali per ragion di espressione vestono l'abito di presunzioni legali, ma non ne hanno intrinsecamente il carattere. Vedemmo altra volta due di queste norme. Sono gli articoli 924 e 1326 del codice civile (2). « Quando la somma espressa nel corpo dell'atto è diversa da quella espressa nel buono, si presume che l'obbligazione sia per la somma minore, ancorchè l'atto, come pure il buono, siano scritti per intero di mano di colui che si è obbligato, ove non si provi in qual parte sia precisamente l'errore » (3). Ma nel codice di commercio troviamo lo stesso concetto giuridico che ha già smessa la veste di presunzione ed ha assunto forma imperativa così: «Se la somma da pagarsi è scritta (nella cambiale) in lettere ed in cifre, in caso di differenza deve pagarsi la somma minore » (4). Vedemmo anche l'articolo 924: « Se fra due o più chiamati rispettivamente a succedersi sia dubbio quale abbia pel primo cessato di vivere; chi sostiene la morte anteriore dell'uno o dell'altro dovrà darne la prova; in mancanza di prova

(1)« Se i contraenti si accordarono su tutti i punti essenziali, il contratto si presume obbligatorio, non ostante la riserva circa alcuni punti secondari. Non intervenendo alcun accordo su questi punti secondari, il giudice decide sui medesimi secondo la natura del contratto». Codice federale (Svizzero) delle obbligazioni, 14 giugno 1881 (ediz. offic.). Berna, 1881; art. 2.

(2) V. parte I, cap. III, § 1.

(3) Art. 1326.

(4) Cod. comm., art. 291.

si presumeranno morti tutti ad un tempo, e non avrà luogo trasmissione di diritto dall'uno all'altro ». Probabilmente questo articolo, che stabilisce una nuda applicazione dei principi generali, ai quali bisogna ricorrere in ogni modo ove la legge non deroghi, è destinato a sparire. Ma se non debba sparire, perderà forse quella espressione della quale conoscemmo il valore puramente formale, rimanendo così: «< In mancanza di prova non avrà luogo trasmissione di diritto dall'uno altro » (come se i chiamati a succedersi fossero morti tutti ad un tempo).

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Ha conseguenze di molto rilievo la esclusione di certe norme giuridiche dal campo delle presunzioni legali. Queste, per quanto numerose e multiformi, sono sempre casi particolari che rientrano in una grande teoria regolata nella legge da principi superiori. Ai quali sfuggono per necessità tutte le disposizioni che non siano vere presunzioni legali, quantunque abbiano a fondamento ipotesi logiche, ed ancorchè rappresentino la forma ultima di un concetto che in origine e, per così dire, allo stato naturale, sia una presunzione.

Si consideri, per esempio, l'articolo 892: l'alienazione o la radicale trasformazione della cosa legata revoca il legato (1). Se fosse una presunzione, come crede taluno (2), ammetterebbe in contrario la prova che, pure alienando o trasformando quella cosa, il testatore non volle revocare il legato. Ma l'art. 892 non è una presunzione, è un disposto imperativo: dice che l'alienazione della cosa revoca il legato e che lo stesso avviene per la trasformazione; non dice che si presuma la volontà di revocare. Non è dunque nemmeno concepibile una prova contraria. Prova contraria a che? Ad una presunzione che non esiste?

(1) V. più indietro, § 6 di questo capo, pag. 118.
(2) Aubry et Rau su Zachariae, III, § 725, nota 21.

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