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Merlin (1) nelle loro requisitorie, e seguita poi dal Toullier (2). Teoria inaccettabile, poichè se la presunzione della legge ammette prova contraria tranne i casi eccezionali determinati espressamente nel codice se le presunzioni semplici sono una prova (3), e tale prova che può invocarsi ogni qualvolta possa invocarsi la testimoniale (4), segue per logica e necessaria conseguenza che nei casi in cui le testimonianze sono ammissibili contro una pre

quale è la prova che il diritto permette che le sia opposta? » E risponde: « La presunzione capace di attaccare quella della legge dev'essere scritta nella legge stessa, dev'essere fondata sopra un principio infallibile per poter distruggere una probabilità così grande come è quella che serve di fondamento a questa prova ». Il che vuol dire: presunzioni semplici non si ammettono contro presunzioni legali. Poi il D'Aguesseau prosegue: « Ora è manifesto che, aderendosi a questi principi, non si possono trovare che due eccezioni alla regola generale, fondate tutte e due sopra una impossibilità fisica e certa di ammettere questa presunzione. Esse sono proposte nella legge, la quale definisce che cosa è un figlio legittimo. Filium eum definimus qui ex viro et uxore eius nascitur: sed si fingamus abfuisse maritum, verbi gratia, per decennium... vel si ea valetudine fuit ut generare non possit, hunc qui in domo natus est, licet vicinis scientibus (videtur) filium non esse ». (L. 6, D., De his qui sui, ecc., I, VI). Non vi sono dunque che due prove contrarie, le quali possono essere opposte ad una presunzione così favorevole: la lunga assenza del marito..., l'impotenza o perpetua o passeggera... » (loc. cit.).

(1) Merlin, Recueil alphabétique des questions de droit qui se présentent les plus fréquemment dans les tribunaux. Paris, MDCCCX. Tom. II, voc. douanes, § 12, 6: « Non vi ha che una prova contraria propriamente detta che possa far tacere la presunzione di diritto, a meno che la legge non istabilisca essa stessa altre presunzioni che possano operare questo effetto ». Ma in tal caso, osserviamo noi, la cosa non sarebbe tanto semplice quanto mostrano di crederla il D'Aguesseau ed il Merlin, perchè si avrebbe un conflitto di presunzioni legali. V. parte I, cap. V; parte II, cap. VI.

(2) V. lib. III, tit. III, sez. III, § 1.
(3) Art. 1349; v. parte III, cap. II, § 1.
(4) Art. 1354.

sunzione legale, siano ammissibili anche le presunzioni semplici. Così, per citare tuttavia l'esempio classico, essendo rilasciata quitanza pel capitale senza riserva degli interessi, la presunzione del loro pagamento (1) quando non eccedono l'ammontare di cinquecento lire potrà essere combattuta colla prova testimoniale (2), dunque anche con presunzioni dell'uomo (3). Sostenere l'opposto è introdurre nella legge una restrizione puramente arbitraria.

Notevole poi che sia il Merlin come il Toullier citino in favore della propria dottrina questo passo del Voet che non la suffraga in nessun modo:

« Juris praesumptio dicitur quae ex legibus introducta est, ac pro veritate habetur donec probatione aut praesumptione contraria fortiore enervata fuerit: cumque ex ipso jure descendat in potestate vero judicis, facti quidem quaestio sit, non juris auctoritas, consequens est eam (praesumptionem juris) ab arbitrio judicis haud dependere » (4).

Qui anzi tutto si afferma che la presunzione legale può essere vinta da una più forte presunzione contraria, ma non è detto che anche questa debba essere juris e non possa essere hominis. Poi si aggiunge che la presunzione legale « non dipende dall'arbitrio del giudice » perchè « in potere del giudice (rimessa al suo prudente discernimento) è bensì la questione di fatto, non l'autorità del diritto »; cioè: la presunzione legale dev'essere accolta senz'altro dal magistrato perchè egli non ha alcuna ingerenza in ciò che è stabilito dalla legge (5). Il Merlin ed il Toullier debbono avere intese quelle parole « ab arbitrio judicis

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(1) Art. 1834.

(2) Art. 1341.

(3) Art. 1354 comb. col 1341; v. parte II, cap. V, § 5, in fine. (4) Voet, ad tit. De prob. et praes., 15.

(5) V. parte II, cap. II, § 6.

haud dependere » nel senso che la praesumptio juris essendo scritta nella legge non possa essere vinta da presunzioni hominis le quali sono rimesse al criterio del giudice. Ma che tale non sia e sia invece quella da noi sostenuta la giusta interpretazione si fa manifesto leggendo alcune parole del Voet che precedono immediatamente le altre sopra trascritte ed il passo del Menochio al quale lo stesso Voet rinvia il lettore.

Le parole cui alludiamo sono:

<< Dependent ergo potissimum ab arbitrio judicis praesumptiones hominis, quantam nempe iis vim quantamque fidem secundum animi sui religionem tribuat ».

Dunque il dire che le presunzioni hominis « dependent ab arbitrio judicis » è come dire che il giudice può « secundum animi sui religionem » prestar loro poca o molta fede ed attribuire maggiore o minore forza probante. E se questo è il significato dell'espressione affermativa, il contrario sarà quello della negativa. Cioè « praesumptionem juris ab arbitrio judicis haud dependere » significa che della praesumptio juris il giudice non può apprezzare il valor probatorio « secundum animi sui religionem » perchè questo valore è già stabilito dalla legge. Il passo del Menochio è il seguente:

<< Quaero... an praesumptio, sicuti et probatio, a judicis voluntate pendeat? Hac in re distinguendi sunt tres casus, quemadmodum et tres species praesumptionis sunt. Primus est casus cum agitur de praesumptione juris et de jure. Hoc quidem in casu nulla est judicis voluntas, nullum eius arbitrium circa eum, quandoquidem a lege ipsa ita firmata est praesumptio ista ut recedi ab ea nullo modo possit, non enim esse arbitrarium quod a lege expresse sancitum est iam scripsimus... Secundus est casus cum agitur de praesumptione juris tantum. Haec quoque non pendet a judicis voluntate, cum et ipsa iam sit a lege firmata et constabilita... Tertius est casus cum agitur de praesumptione hominis. Haec sane vere pendet a judicis vo

luntate et arbitrio, sicuti indicia quibus accusatus de crimine vel inquiri vel quaestionibus subiici potest in judicis arbitrio esse posita scripsi ... » (1).

Si rileva anche da queste parole che le frasi « non pendere a judicis voluntate », « ab arbitrio judicis haud dependere » significhino non già essere inammissibili presunzioni hominis contro una presunzione juris, ma essere questa al coperto dall'arbitrio del magistrato, il quale benchè moralmente convinto del contrario la deve accettare quale si trova nella legge e le deve attribuire quel valore che la legge le attribuisce, mentre per contrario le presunzioni hominis sono totalmente abbandonate al criterio discrezionale del giudice (2).

Teniamo dunque per fermo colla prevalente dottrina (3) e colla giurisprudenza (4) che la prova contraria alle presunzioni legali relative può darsi con presunzioni semplici in tutti i casi in cui queste sono ammissibili. E poichè il valutare nei singoli casi la efficacia delle presunzioni semplici è rimesso alla discrezione del giudice e costituisce un incensurabile apprezzamento di fatto, è certo che « nell'attrito fra la presunzione di diritto e quelle dell'uomo spetta al magistrato di merito cribrare la forza probante... E se il giudice attingendo dalla propria coscienza le sue ispirazioni si chiamò convinto in un modo anzichè in altro,

(1) Menochius, lib. I, q. XLIV.

(2) Per l'intelligenza delle espressioni non pendere ab judicis voluntate, ab arbitrio judicis haud dependere, confronta: 1. 1, § 4, D., Ad S. C. Turpill., XLVIII, XVI; 1. 15 pr., D., Ad municip. et de inc., L, I; 11. 131, § 1, 244, D., De verb. signif., L, XVI.

(3) Bonnier, 738; Larombière, 111, art. 1352, 8; Zachariae, 111, § 766; Marcadé, 111, art. 1352; Laurent, XIX, 616; Mattirolo, 111, 352. (4) C. Napoli, 22 dicembre 1879, Notari c. Carnevale, Giur. it., 1880, 401; C. Torino, 19 agosto 1882, com. Casorezzo c. Della Porta, Legge, 1883, 1, 82.

non può la corte regolatrice sindacarne il pronunziato appunto perchè manca la violazione della legge » (1).

Concludendo, l'ammissibilità della prova contraria alle presunzioni legali è regolata da questi tre canoni :

1° Quando la legge riserva semplicemente la prova contraria ad una presunzione (2) è ammessa qualunque prova secondo i principi generali.

2° Quando la legge tace sull'ammissibilità della prova contraria (3), non è ammessa veruna prova se si tratti di presunzione appartenente alle due categorie delineate nell'articolo 1353 (4); è ammessa qualunque prova secondo i principi generali se si tratti di presunzione che non appartenga a quelle categorie (5).

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Quando la legge riserva certe prove in contrario non

se ne ammettono altre (6).

(1) C. Napoli, sent. cit. nella nota preced.

(2) Es.: art. 448, 568, 569 cap. 1o, 674 pr., 687 pr., 687 cap., 691, 692, 702, 896, 924, 1175, 1586, 1723, 1739, 1834 del codice civile; 40, 55 cap. 2o, 370 cap., 384 cap., 399 cap., 709 del codice di commercio.

(3) Es.: art. 20, 160, 724 cap., 773 cap., 832, 874, 898 pr., 1196, 1197, 1279, 1350 n. 3°, 1453, 1592, 1607, 1608 pr., 1608 cap., 1610, 1622 pr., 1622 cap., 1638, 1664 pr., 1664 cap., 1708 del cod. civ.; 46, 64 pr., 65, 75, 112 cap., 272 pr., 275 cap., 345 n. 1o, 393, 588 pr. del cod. comm.

(4) Es.: art. 160, 773 cap., 1279, 1350 n. 3° del cod. civ.

(5) Es.: articoli citati nella nota 3, meno quelli fra essi che si sono ripetuti nella nota 4.

(6) Es.: art. 159 (comb. cogli art. 162 a 165), 546, 565, 1127, 1437 del cod. civ.; 4, 13 cap. del cod. comm.

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