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spirito universale per tutte le favelle particolari d'Italia penetra e discorre.

Fiorentina.

VIII. E questo avviene alla Toscana

Della lingua e repubblica lingua non tanto dall' origin sua, quanto dal cangiamento delle cose civili e dalla sorte della Fiorentina repubblica. Poichè nelle repubbliche popolari, come fu la Fiorentina, la corte abitava per tutto il popolo, ed in mezzo la plebe medesima s'annidava, ove, siccome nel mare i fiumi, sgorgava ogni pubblico affare; di cui non solo gl' ingegni più sottili, li quali per natura loro vogliono di ogni cosa, o grande o piccola o propria o d'altri, essere ugualmente supremi giudici che curiosi osservatori; ma tutti gli altri popoli grossolani, quando popolarmente si governano, facendosi amministratori ed arbitri, son costretti a dar opera al culto e pulito parlare, per tirare nelle concioni all' opinioni loro più dolcemente la moltitudine. Perciò la repubblica Ateniese, la qual in popolar forma si governava, coltivando più che gli altri popoli nelle pubbliche concioni la propria favella, conseguì tra Greci il pregio della lingua cortigiana. Imperocchè l' Attico idioma non solo dalla moltitudine de' retori, onde quel popolo abbondava, si veniva coll'uso ad illustrare; ma discendendo così terso ed ornato negli orecchi della plebe ascoltante, andava insensibilmente emendando la rozzezza naturale del volgo, finchè poi la moltitudine intera sembrava

una corte, e quel foro pareva una scuola di retor e d'oratori. Onde non fia maraviglia se a proporzione, in somigliante maniera, si fosse anche coltivata in processo di tempo più dell' altro resto d'Italia la moltitudine Fiorentina; la quale e dopo aver' ottenuto da Rodolfo I. Imperadore per poca somma l'indipendenza da' prefetti imperiali, volle costituirsi in repubblica popolare, che in poco tempo si cangiò in tumultuaria e sediziosa e volubile ad ogni fumo di sospetto d' invidia e di rabbia, e ad ogni speranza di rapina e d' oppressione che fosse sparsa ne' petti de' contrarj partiti; de' quali uno spento, molti altri a un tratto risorgevano e, come l' idra, si riproducevano in modo che più forme di governo spuntavano nell'anno che non erano le stagioni, e più novità di magistrati che necessità di negozj nascevano, e più mutazione in quella repubblica che nell'istessa luna apparivano; per lo che al dir di Dante, a mezzo Novembre non giungea quel ch'ella d' Ottobre filava. In questa più tosto confusione e tempesta civile, che governo, dove qualsivoglia più temerario e sedizioso col soffio suo e colla voce poteva, come vento australe, commovere a guisa d' onda marina la variabile e leggiera moltitudine, ed al suo capriccio in un momento voltarla; non solo i nobili ma

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i plebei ancora, alla cui violenza spesso la parte migliore piegava, spinti dalla necessità di sostenere la propria opinione e partito, di bene e pronta

mente parlare si studiavano, per incitare meglio colle lor voci, ed avvivare nelle pubbliche e private adunanze le faville dell'odio e del livore, ch'a loro pro voleano tener sempre deste e vive, per sollevare l'invidia e l'avarizia del loro partito contra la dignità e beni dell' altro. Come a noi fanno fede le sediziose e maligne concioni d' uomini anche plebei, de' quali la Fiorentina istoria è ripiena. Nè senza bene esercitarsi nella favella avrebbe quel popolo potuto esercitarsi in tante stragi, violenze, e rapine che coll' infiammate lingue moveano e mossero lungo tempo; finchè un'aura salutare di prisca virtù, dal germe de' Medici felicemente uscita, spirasse tranquilla calma in quell' agitato pelago di sedizioni e discordie, che cominciarono a cedere; dappoichè ascendendo più in alto quell'antica ed inclita famiglia, (col senno di Giovanni de' Medici, e dilatando l'autorità sua colla magnificenza e costanza di Cosimo, e con la gentilezza e mansuetudine di Pietro) sostenne nel suo tronco, ed in più larghi rami distese, il partito migliore : il quale col gran senno e valor di Lorenzo venne a superare e coprire non solo di credito, ma di numero e di forze, ogni tumultuoso ed inquieto seme; che spegnendosi, poi tuttavia dal ben regolato governo de' successori ha recato a tal repubblica sotto l'amministrazione di un solo quella pace che non si gusto mai, nè si poteva sperare dall' arbitrio di molti,

de' quali ciascuno credea egli solo per tutti gli altri insieme valere. Or questa lingua comune, che il nostro Dante prese, per così dire, sin dalle fasce ad allevare e nutrire, sarebbe molto più abbondante e varia, se 'l Petrarca e 'l Boccaccio ed altri di que' tempi, a' quali fu da Dante lasciata in braccio, l'avessero del medesimo sugo e col medesimo artifizio educata ; e non l'avessero dall' ampio giro, che per opera di Dante occupava, in molto minore spazio ridotta. Poichè essendo la lingua prole ed immagine della mente, e nunzia degli umani concetti, quanto più largamente il concetto si distende più la lingua liberamente cresce ed abbonda. Onde perchè Dante abbracciò tutta l'università delle cose tanto in generale quanto in particolare, tanto scientifiche quanto comuni, fu costretto a pigliar parole dalla matrice lingua latina e da altri più ascosi fonti; le quali si sarebbero rese comuni e piacevoli coll' uso domator delle parole, se il Petrarca e 'l Boccaccio avessero preso a volgarmente scrivere di cose alla grandezza del loro ingegno ed alla Dantesca materia somiglianti. Ed avrebbe l' Italiana favella la medesima sorte avuta che la Greca, la quale riuscì sopra ogn' altra copiosa e felice, perchè le parole e formole, o novamente prodotte o dall' antico risvegliate o da altre lingue trasportate nel poema d'Omero, abbracciate poi furono da' seguenti scrittori che tragedie, storie, scienze ed

altre materie grandi s' applicarono a scrivere in lingua natìa. Ma perchè il Petrarca e'l Boccaccio ed altri tutti le scienze e le materie gravi scrissero in Latino, e la volgar lingua non applicarono se non che alle materie amorose; così portati sì dall' imitazione de' Provenzali, sì dalla necessità di aprire il suo sentimento alle lor dame, che sola gli fe' la volgar lingua adoperare, volendo il Petrarca la sua Laura ed il Boccaccio la figliuola del re di Napoli intenerire; perciò le parole introdotte da Dante, le quali sono le più proprie e più espressive rimasero abbandonate dall'uso, con danno della nostra lingua e con oscurità di quel poema ; nel quale era lecito a Dante, sì per la grandezza del suo ingegno, sì per l'infanzia della nostra lingua di cui egli è padre, sì per l' ampiezza e novità della materia, inventar parole nuove, usar dell'antiche, ed introdurre delle forestiere, siccome Omero veggiamo aver fatto.

Della Dan

IX. Considerata la lingua del poeta, tesca frase. e quel che ha comune con gli altri nel fraseggiare, degna è di special riflessione la foggia del fraseggiar particolare dalla comune degl' Italiani poeti distinta. Questa egli trasse non solo dall'imitazion de' Greci, e de' Latini a' Greci più simiglianti, ma spezialmente dagli Ebrei e da' profeti; a cui siccome simile nella materia e nella fantasia, così volle ancor nella favella andar vicino. Lungo sarebbe rincontrar❜ i luoghi

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