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tutti alla poetica frase corrispondenti, de' quali è il suo poema non solo sparso, ma strettamente tessuto ; come tela che si dilata e si spande dentro una fantasia commossa, se non da sopranaturale, pur da straordinario furore e quasi divino, il quale fervendo ne' sublimi poeti acquistava loro appo i gentili l'opinione di profezia, dalla quale traevano il nome. Oltre questa selva di locuzioni dal proprio fondo prodotte, vengono incontro molte le quali egli ha voluto a bello studio nella nostra lingua trasportare, come per tacer d' innumerabili, può in esempio addursi quella di Geremia: Ne taceat pupilla oculi tui ; dal poeta imitata e trasferita nella descrizion di un luogo oscuro dicendo,

ed altrove,

Mi ripingevà là, dove il Sol tace;

Venimmo in luogo d' ogni luce muto.

E siccome il parlar figurato e sublime de' Profeti non tolse loro la libertà d' usare il proprio, e d' esprimere con esso tanto le grandi quanto l'umili e minute cose, quando il bisogno di loro veniva ; così Dante volle le parole alle cose sottoporre, e queste, quantunque minime, si studiò co' proprj lor vocaboli d' esprimere, quando la ragione e la necessità ed il fine suo il richiedea; donde il suo poema divenne per tutte le grandi mediocri e picciole idee di locuzioni, tanto figurate quanto

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proprie, abbondante e fecondo. E perchè ambì egli per suoi ascoltanti solo gli studiosi e non il volgo, al quale Omero volle anche farsi comune col sentimento esteriore, benchè l' interiore a soli saggi dirizzasse; quindi avviene che Dante, simile ad Omero con la vivezza della rappresentazione, si è reso però dissimile collo stile suo contorto acuto e penetrante; quando l' Omerico è aperto ondeggiante e spazioso, qual convenne a chi dietro di se tirar dovea l' applauso e gli onori di tutte le città di Grecia, dove la plebe, per la parte che avea nel governo civile, non era meno arbitra degli onori che gli ottimati. Per qual parte Dante rimane, se non d' altro, di felicità e di concorso inferiore ad Omero; benche non si possa d' oscurità riprendere chi non è oscuro, se non a coloro co' quali non ha voluto favellare. Perciò non si è astenuto da' vocaboli proprj delle scienze e di locuzioni astratte, come colui che ha voluto fabbricar poema più da scuola che da teatro.

Del titolo

dato al Poe

X. E per contemplare più oltre la ma di Dante, forma esteriore di quest' opera, non sono ignaro delle dispute e contese, delle quali son pieni i volumi interi degli eruditi nostrali, sopra il titolo di Commedia, dato dall' autore al suo poema. Sul che senza l' ardire di decidere sarò contento d' esporre ingenuamente il mio parere, Chiunque imita e rappresenta gli uomini

al vivo, ed esprime i lor pensieri ed azioni talmente, quali non dalla grazia ma dalla natura procedono, necessariamente viene con le virtù a scoprire anche i vizj non di rado mescolati nelle virtù dalle umane passioni, le quali penetrano negli atti nostri anche quando son guidati dalla ragione, se questa non è dalla divina grazia sopra la natural condizione esaltata. Quindi siccome gli uomini da Omero imitati, così anco i rappresentati dal nostro Dante in parlando ed in operando talvolta gli altrui, talvolta i proprj difetti producon fuori; essendo l'uomo quanto proclive ad errare tanto diligente ad osservar gli errori altrui. E perchè Dante rassomiglia non solo i grandi, ma i mediocri e i piccioli ed ogni genere di persone; perciò è riuscito quel poema simile a quella di Aristofane, e d' altri del suo tempo antica comedia, emendatrice de' vizj e degli altrui costumi dipintrice, da cui Dante così la natura come il nome tolse del suo poema; il quale più del drammatico che del narrativo ritiene: perchè più frequenti sono le persone introdotte a parlare che quella del poeta medesimo, e perciò ragion maggiore acquista al titolo di commedia ch' a quello d' epica poesia.

Della politica

di Dante.

XI. Or dall' esterna figura passere

mo alle parti interne, e gireremo per entro il sentimento e fine generale, tanto politico quanto morale e teologico, di questo poema. E

rivocando a mente quel che nel primo discorso abbiamo degli antichi poeti dimostrato, sono eglino stati maestri dell' umana vita e civil governo, non solo colle parti del poema loro ma eziandio col tutto. Vedendo, come nel primo discorso abbiamo accennato, il divino Omero tutta la Grecia divisa in tanti piccioli corpi e governi particolari, de' quali ciascheduno a se medesimo era sottoposto ed indipendente dall' altro, conobbe che la libertà disseminata e sparsa potea esser volta in servitù da qualche forza esterna maggiore, quando le città Greche, le quali ciascheduna da se inferiori erano alla forza straniera, non acquistassero potenza a quella eguale o superiore alla loro unione. Onde mostrando prima i Trojani vincitori per le gare de' Greci, e per la disunione d' Agamennone e d' Achille, e poi dalla riunione di questi due facendo i Trojani vinti ed i Greci vincitori apparire, diede alla Grecia la norma, sì poi con pubblico suo danno da lei negletta, da mantener la libertà in ciascu na repubblica contro l' assalitore, o particolare o comune, per via della cospirazione ed unione di tutte. Per lo che quando le due gran repubbliche, le quali erano il nodo dell' altre, Sparta ed Atene furono legate in concordia tra di loro dal timore di Dario e di Serse; e dalla forza Persiana non solo la Grecia non cadde, ma

fe' crollare ancora il tronco della Persiana monarchia, e potè contra di lei porgere anche la mano all' Egitto. Ma partendo con la fuga dell' esercito Persiano il timore dalle due repubbliche, e succedendo in luogo della paura negli animi Ateniesi l'ambizione della potestà suprema in tutta la Grecia; nacque giustamente ne' cuori Spartani il sospetto e la gelosia non solo del dominio ma della propria libertà. Onde si consumarono tra di loro gli Spartani e gli Ateniesi in lunghe guerre, nelle quali superati al fine gli Ateniesi trasser nella rovina loro la metà di quella forza ch' avea prima per la Greca libertà combattuto, ed apersero la strada alla nuova e non mai, per l'antica sua ignobiltà, sospettata potenza de' Macedoni; i quali estinsero nella Grecia le discordie con estinguerne la forza e rapirle la libertà, sì ben prima difesa e mantenuta contra la potenza Asiatica, alla quale gl' istessi Macedoni aveano servilmente obbedito. Simil morbo nell' età di Dante serpeggiava per entro le viscere dell' antica e legittima signora delle genti, ed era l' Italia dalle proprie discordie e dalle forze e fazioni straniere sì miseramente lacerata e divelta; che quella, la quale con se medesima consentendo ripigliar poteva il comando de' perduti popoli, fu poi per contrarietà d' umori, che dentro il suo maestoso

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