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corpo a proprio danno combattevano, ridotta vivamente a servire alle soggiogate e da lei trionfate nazioni.

De i Guelfi
e Ghibellini.

XII. Il seme di questo morbo in

Italia fu lo stesso ch' avea tanto tempo prima avvelenata la Grecia, cioè lo sfrenato ed indiscreto disiderio della libertà. La qual passione non solo l' Italia in generale, ma in particolare ogni provincia di lei, ed ogni città, anzi ogni privata famiglia in due fazioni divise, l' una Guelfa, e l'altra Ghibellina appellata. Delle quali l'origine e ragion politica, benchè nota comunemente si crede, pur non è forse al tutto esposta, se non che all' intelligenza di coloro che colla scorta più del proprio giudizio che della divulgata opinione per l' istorie trascorono; conciossiachè l' idee di questi due partiti non tanto dalle cagioni che da gli effetti comunemente si tirano. Erano per l'intervallo, che corse dall' estinzion dell' imperio ne' Francesi alla traslazion sua ne' Tedeschi, disciolte le città d'Italia in varie repubbliche, delle quali ciascuna per se medesima si reggea. Intanto cadde in mente ad alcuni signori potenti della Lombardia di ritener l'imperio allor vacante nel seggio suo primiero, come fu Berengario, Lamberto, Adelberto, li quali, armi e soldati raccogliendo, e città e castelli espugnando, destarono le città libere, e tra esse particolarmente Roma e 'l sacrosanto suo

corpo

capo alla comune difesa contro la violenza di coloro, che col titolo imperiale non dal Papa principe del popolo Romano ottenuto, ma dall' ambizion propria usurpato, andavano in preda dell' altrui libertà. Posatosi poi l' imperio ne' Tedeschi, qualora l'Imperadore non contento del governo generale delle milizie e dell' imperio proconsolare, turbar voleva il governo civile di ciascheduna repubblica, ed a se interamente 'l autorità tutta rivocare, nacquero, siccome nasceano nell'antica Roma tra 'l Senato Romano e 'l militare, contrarj partiti; de' quali l' uno la libertà particolare della sua patria, l' altro la libera ed universale autorità dell' imperio, in tutti i gradi così militari come civili, sosteneva. De' quali partiti quel che combatteva per la libertà della sua patria divisa dall' imperio, Guelfo fu detto ; e l'altro Ghibellino, che la libertà della patria al nodo comune dell' imperio intessea. E presero i nomi dall' antiche fazioni, le quali ardevano nella Germania fra' popoli Svevi, distinte in due gran potenze contrarie, con questi due vocaboli significate, nel tempo degli Arrighi e Federici, sotto i quali alle discordie d' Italia gl' istessi nomi e passioni derivarono, quasi due colonie della Svevia, ove furono introdotti i Ghibellini da' Franconi, quando alla Germania signoreggiarono, ed a' Svevi innestarono questa parte della lor gente chiamata Ghibellina, cui diedero il comando

sopra quella provincia e sopra i Guelfi che in lei prima fiorivano: i quali perciò contro i Ghibellini concepirono quell' odio, le cui faville sì largamente colla partecipazion de' nomi e division de' cuori per l' Italia si sparsero. Duravano adunque in Italia con gran fervore queste due fazioni a tempo di Dante, il quale prima la parte Guelfa con tal zelo seguitava, che vedendola divisa, e perciò infievolita in due altri partiti de' Bianchi e de' Neri, volle egli benchè con vano studio ridurla in concordia. Ma poi mandato in esilio da Corso Donati, uno de' capi della parte Nera, già ritornato in patria, donde Dante cacciato l' avea, con grande amarezza il poeta si vide dal partito suo medesimo ingiuriosamente travagliato. E perchè, dopo replicati sforzi fatti per lo suo ritorno, semfu dall' ingrata patria rifiutato ed escluso, alla fine si voltò al partito Ghibellino ed Arrigo Imperadore seguitò nelle imprese contra i Fiorentini, sperando conseguir colla forza quel che non preghiera ed artifizio non potea impetrare. Il qual disegno anche vano gli riuscì; perchè Arrigo quell'impresa fu costretto abbandonare, e 'l poeta ridotto a macchinar coll' ingegno e colla dottrina e coll' eloquenza, la guerra a' Guelfi in vendetta dell' offesa ricevuta. Onde, per debilitar la parte Guelfa e rinforzar la Ghibellina, oltre gli altri suoi scritti, volle ancor coll' orditura di questo poema, e colle frequenti sue orazioni or' a se or

pre

ad altri attribuite e sparse per entro di esso, insegnare a' Guelfi ed all' Italia, esser vana la speranza di mantener ciascuna città la libertà propria, senza convenire in un capo, ed in un comune regolatore armato ; per mezzo del quale l' Italia lungo tempo a tutto il mondo signoreggiato avea: insinuando che per mezzo della universale autorità e forza sua, tanto militare quanto civile, poteva e dalla invasione straniera e dalla divisione interna esser sicura; in modo che, le sue forze e 'l talento non contra di se ma contra le nemiche nazioni rivolgendo, sperasse l'antico imperio sopra tutte le nazioni ricuperare. Nè lasciò coll' esempio allor presente di persuadere, che la voglia di mantener ciascun paese la sua libertà, senza la dipendenza da una potestà superiore a tutti, commettea discordia tra le città e le urtava in perpetua guerra, la quale gl' Italiani colle stesse lor forze consumava. Sicchè non volendo soffrire una somma potenza regolatrice, alla quale era lecito ad ognuno di pervenire, e che non altronde se non da Roma il titolo e l'autorità, come dalla sua sorgente, traeva; verrebbero poi a cadere sotto il dominio di più potenze straniere, alle quali che il legnaggio dominante non potesse aspirare. Donde si sarebbe sotto nazioni lungo tempo a lei soggette in varie provincie divisa quella, che il mondo intero avea per sua provincia nel corso di mille anni tenuto; ed

avrebbe tollerato barbaro giogo quella, che coll' armi e leggi sue avea di dentro gli acquistati popoli la barbarie discacciato. Con tai forze d'ingegno sperava Dante accrescer concorso al suo partito, e scemarlo al Guelfo per potersi con la caduta di questo vendicare. Quindi egli pigliando occasione dagli abusi de' suoi tempi nell' età nostra felicemente rimossi, morde lividamente la fama di quei Pontefici, che più al suo disegno si opponevano. Conserva però sempre intera l'autorità e rispetto verso il Ponteficato, significando in più luoghi che dall' Italia, per legge di Dio e merto della Romana virtù, nasceano, a scorta e regolamento comune della religione delle leggi e dell' armi, due luminari Ponteficato ed Imperio. Della Morale, XIII. Ma tempo è già d' entrare nel e Teologia di sentimento morale e teologico di questo poema; qual sentimento se io per le sue parti volessi esporre, verrei sopra il solo Dante a consumar interamente l'opera mia. Onde intorno al tutto ed al fine generale unicamente ci volgeremo. E, cone ognun sa, diviso questo poema in tre cantiche, cioè dell' Inferno, del Purgatorio, e del Paradiso, i quali sono i tre stati spirituali dopo morte corrispondenti a' tre stati spirituali della mortal vita, che il poeta anche ha voluto figurare sotto i tre stati spirituali, i quali in questo poema fanno l'uffizio di verità e d'immagine, cioè di significato e signi

Dante.

M

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