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quasi che la qualità d' eroico, che deriva separatamente da un solo, non possa da molti insieme derivare ?

Del Bojardo. XV. Dovendo adunque trattare degl' Italiani poemi, sceglieremo, come de' Latini ab'biam fatto, i più degni ed utili più a regolare il gusto, e piglieremo a considerare il Bojardo, come fonte, onde poi è uscito il Furioso. Credono molti, che 'l Bojardo avesse ordito il suo poema ad imitazion de' Provenzali, perchè l' ombre e i nomi di quegli eroi per esso veggon trascorrere. Ma da molto più limpida e larga vena trasse egli l'invenzione e l' espression sua, cioè da' Greci e Latini, nel cui studio era versato, senza che a' torbidi torrenti Provenzali dovesse ricorrere; e si servì de' nomi e fatti di quei Paladini, perchè da' Provenzali ed altri antichi romanzi alla volgar conoscenza erano usciti. Onde per essere più grato, e maggiormente applaudito, volle servirsi dell' idee di cui già trovava nel volgo l'impressione. Per lo che siccome Omero e gli altri poeti Greci ebbero per campo delle loro invenzioni l'assedio Trojano, di cui la fama largamente per la Grecia trascorrea; così il Bojardo ebbe per seminario delle sue favole il rinomato e per molti libri celebrato assedio di Parigi, seguendo il genio, che albergava ne' più antichi favoleggiatori della Grecia, i quali attribuirono a loro Eroi e suggetti dote sopranna

turale, con cui da essi Ercole, Teseo, Capaneo, Achille, Anfiarao, Orfeo, Polifemo, e simili son rappresentati. Alla qual idea son creati gli Orlandi, i Ferraù, i Rodomonti, gli Atlanti, i Ruggieri, l' Orco, ed altri prodigiosi personaggi, ch' esprimono ciascuno la sua parte del mirabile, a similitudine de' greci eroi e suggetti, a ciascuno de' quali potremmo porre uno de' novelli all' incontro, se la brevità di quest' opera il tollerasse. E siccome i Greci salvavano il verisimile colla divinità, che in quegli eroi operava; così il Bojardo con le Fate e co' Maghi, in vece degli antichi Numi sostituiti, le sue invenzioni difende: e sotto le persone da lui finte i vizj esprime e le virtù, secondo la buona o cattiva figura di cui son vestite, non altramente che delle loro deità ed eroi si servivan gli antichi. Colla qual' arte ha egli, ad esempio de' primi favoleggiatori, prodotto a pubblica scena, in figure ed opere di personaggi maravigliosi, tutta la moral filosofia. Parimente siccome i Greci per significare la debolezza dell' animo umano, che alle discordie, alle stragi, ed alle rovine da leggierissime o vilissime passioni è per lo più trasportato, trasser da Elena gli eventi di tante battaglie e sì funesta guerra che la Grecia vincitrice, non men che l' Asia vinta, coprì di travagli e miserie; così il Bojardo per ripetere a noi il medesimo ammaestramento, dalla sola Angelica eccita di lunghe

contese e d'infinite morti l'occasione. Quindi questo poema, che di tante virtù riluce, sarebbe da molte nebbie libero, se fusse stato condotto a fine, ed avesse avuto il debito sesto nel corpo intero, e la meritata cultura in ciascuna sua parte, colla quale si fussero tolte l'espressioni troppo alle volte vili, e si fusse in qualche luogo più col numero invigorito; affinchè, siccome rappresenta assai felicemente il naturale, avesse avuto anche gli ultimi pregi dell' arte, e fusse rimasto purgato di que' vizj per li quali il Berni, colla piacevolezza del suo stile, l' ha voluto cangiare in facezia.

Dell' Ariosto.

XVI. Ma sorgendo dal medesimo nido spiegò l'ali a più largo e più sublime volo l' Ariosto, il quale, producendo alla sua meta la cominciata invenzione, seppe a quella intessere e maravigliosamente scolpire tutti gli umani affetti, costumi, e vicende, sì pubbliche come private; in modo che quanti nell' animo umano eccita moti l'amore, l'odio, la gelosia, l' avarizia, l' ira, l' ambizione, tutti si veggono dal Furioso a luoghi opportuni scappar fuori, sotto il color proprio e naturale; e quanta correzione a' vizj preparano le virtù, tutta si vede ivi proposta sotto vaghi racconti ed autorevoli esempj, su i quali sta fondata l'arte dell' onore, che chiaman Cavalleria, di cui il Bojardo e l' Ariosto sono i più gravi maestri. Tralascio i sentimenti di filosofia

e teologia naturale in molti luoghi disseminati, e più artificiosamente in quel canto ombreggiati, ove S. Giovanni ed Astolfo insieme convengono. Non potevano nè l' Ariosto al suo fine, nè i posteri all' utile che si aspetta dalla poesia, pervenire, se questo poema non esprimea tanto i grandi universalmente quanto in qualche luogo i mediocri e i vili: acciocchè di ciascun genere la passione e l' costume si producesse, ed apparisse quel che ciascuno nella vita civile imitar debba o correggere, secondo la bellezza o deformità delle cose descritte. La quale mescolauza discreta di varie persone introdotte dall' arte, siccome rassomiglia le produzioni naturali, che non mai semplici ma sempre di vario genere composte sono; così non è sconvenevole all' eroiche imprese le quali, come altrove si è detto, quantunque grandi, sono ajutate sempre dagli strumenti minori; conciossiachè a qualsivoglia eccelsa azione d'illustre padrone sia involta l' operazion de' servi, i quali colla bassezza dello stato loro non toglion grandezza al fatto, perchè alla promozion della grand' opera sono dalla necessità indirizzati. Per lo che, siccome ad Omero, così all' Ariosto nulla di sublimità toglie l'uso raro e necessario di basse persone. A tal varietà di persone e diversità di cose vario stile ancora, e tra se diverso, conveniva; dovendo l'espressione convenire alle materie di cui ella è

l'immagine. Onde siccome ogni miglior' epico, così l' Ariosto, che più cose e varie mescolò nel suo poema, usò stile vario, secondo le cose, passioni, e costumi che esprimea. Ed in vero muove compassione l'affanno, che molti tollerano in cercando, che nota convenga al poeta epico, se la grande, la mediocre, o l'umile, per dar qualche uso a' precetti, che si ascrivono al Falereo, e che per lo più s' abbracciano per leggi di natura universale. Poichè se il poema contiene, come deve contenere, principalmente imprese grandi, chi può dubitare, che generalmente debbasi adoperare lo stil sublime; e che dove poi cadono delle cose mediocre ed umili, debbasi a quelle materie incidenti stile mediocre ed umile applicare? non altramente che degli oratori si dice, de' quali quegli al giudizio di Cicerone è il perfetto, che le cose grandi grandemente, le mèdiocri con mezzano stile, e l'umili sottilmente sappia trattare. Per qual virtù l' Ariosto, siccome non cede ad alcuno, così a molti è superiore. La medesima ragione e misura, che si dee secondo la natura delle cose distribuire, usò l'Ariosto anche nel numero de' versi: il qual numero da lui a proporzione della materia o s' innalza, o si piega, o pur si deprime, dovendo il numero al pari della locuzion poetica consentire alle cose; alle quali dee ogni stile tanto di poeta, quanto d'istorico e d'oratore puntualmente

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