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ubbidire. Unde se alcun poeta epico Italiano mantien sempre locuzione e numero eroico, sarà lodevole sempre che imprese ed atti e persone eroiche solamente rappresenti; ma biasimevole, se mutando alle volte le persone e le cose, non cangiasse con loro anche lo stile il quale in questa maniera si opporrebbe alla natura, simile a cui l'arte dee produrre ogni suo germe. Per lo medesimo consiglio e con mirabil felicità l' Ariosto descrive minutamente le cose; dispiegandole a parte a parte, e discoprendole intere. Con che non solo nulla perde di grandezza, ma ne acquista maggiore di chi le descrive in generale, ed accresce più colle voci e col suono, che con la rassomiglianza distinta delle cose grandi, le quali più grande idea imprimono; quanto più per tutte le parti si rappresentano al pari dell' Ercole Farnesiano, che dall' espressione distinta de' muscoli, vene, e nervi diventa maggiore. Che, se descritte le parti della cosa umile e mediocre, la natura loro più comparisce, e più vero concetto, o mediocre o umile, si forma; così conosciute più parti della cosa grande, maggiore e più presente sembianza di grandezza comprendiamo. E questa più si genera, se più proprie sono le parole, colle quali si esprimono, come più alla lor natura vicine, e nate colle cose medesime alle quali sogliono recar maggior luce le parole traslate, purchè contengano l' immagine di quelle, o

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pajono espresse dalla necessità, e siano parcamente adoperate, come l' Ariosto suole, e non accumolate indiscretamente dalla pompa e dal vano ornamento, che in vece di svelare adombra l'oggetto, nè porta seco di grande se non che il rimbombo esteriore; in modo che le cose all' orecchio grandi giungono poi picciole alla mente. A queste virtù principali, delle quali fiorisce l' Ariosto, seminati sono alcuni non leggieri vizj attaccatigli addosso buona parte dall' imitazion del Bojardo. Tal' è il nojoso ed importuno interrompimento delle narrazioni, la scurrilità sparsa alle volte anche dentro il più serio, le sconvenevolezze delle parole e, di quando in quando, anche de' sentimenti, l'esagerazioni troppo eccedenti e troppo spesse, le forme plebee ed abbiette, le digressioni oziose, aggiuntevi per compiacere alle nobili conversazioni della Corte di Ferrara, ove egli cercò esser più grato alla sua Dama che a' severi giudici della poesia. E pure a parer mio con tutti questi vizj è molto superiore a coloro, a' quali in un co? vizj mancano anche dell' Ariosto le virtu; poiche non rapiscono il lettore con quella grazia nativa, con cui l'Ariosto potè condire anche gli errori, i quali sanno prima d' offendere ottenere il perdono ; in modo che più piacciono le sue negligenze che gli artifizj altrui; avendo egli libertà d'ingegno tale e tal piacevolezza nel dire, che il riprenderlo sem

bra autorità pedantesca ed incivile: tutto effetto d' una forza latente e spirito ascoso di feconda vena, che irriga di soavità i sensi del lettore mossi e rapiti da cagione a se stesso ignota. Di tale spirito ed occulta forza quando lo scrittore non è dalla natura armato, in vano s' affanna di piacer collo studio e con l'arte; i cui ricercati ornamenti abbagliano solo quei, che sono prevenuti da puerili precetti e rettoriche regoluzze, le quali stemperano la natura e l'integrità dell' ingegno umano. Da questa ingenua e natural produzione dell' Ariosto scorrono anche spontaneamente le rime, le quali pajono nate in compagnia dello stesso pensiero, e non dalla legge del metro collocate.. Volea l'Ariosto in sul principio il suo poema ordire a somiglianza di Dante in terzine, le quali, potendo l' una nell' altra entrare, non obbligano di terminare il senso in un determinato numero di versi, come l'ottava; ma perchè questa in materie d'amore da' Siciliani prima introdotta e coltivata dal Boccaccio, e poi a più nobile stile dal Poliziano alzata, era ne' tempi dell' Ariosto comunemente nelle narrazioni ricevuta, volle concordare anche in ciò col Bojardo accompagnato dal maggior numero, e l'uso delle ottave abbrac ciare.

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XVII. Ne' medesimi tempi con noTrissino. bile, benchè per colpa de lettori poco

felice, ardire uscì fuori il Trissino, sprezzatore d' ogni rozzo e barbaro freno, e rinnovellatore in lingua nostra dell' Omerica invenzione. Questi nutrito di greca erudizione volle affatto dall' Italiana poesia sgombrare i colori provenzali, e disciogliere in tutto le violente leggi della rima, introducendo, tanto nell' inventare quanto nell' esprimere, la Greca felicità. E dar volle nella sua Italia Liberata alla nostra favella, per quanto ella fosse capace d' abbracciarla, un ritratto dell' Iliade, seguendo co' versi sciolti il natural corso di parlare, e conservando senza la nausea delle rime la gentilezza dell'armonia. E benchè molti luoghi d' Omero interamente nel suo poema trasportasse, e molte similitudini e figure indi di peso togliesse; nulladimeno nel corpo intero, e nella principal' orditura, da nobile e libero imitatore,, senza ripetere l'invenzione d' Omero, inventò quel che avrebbe Omero inventato, se 'l medesimo argomento ne' tempi del Trissino trattato avesse. Onde, siccome Omero volle col suo poema l'arte militare dell' età sua insegnare, così il Trissino insegnò colla sua Italia, per simile perspicuità e diligenza, la milizia Romana, la quale egli nelle opere de' suoi campioni e di quelli eserciti rinnova, traendo dalle antiche ceneri colla poetica luce alla cognizione ed imitazione de' posteri il Latino valore. Descrive Omero i paesi della Grecia, egli dell'

Italia, e particolarmente della Lombardia. Trae Omero in campo i suoi Numi, il Trissino i nostri Angeli, a' quali la forza di que' Numi sotto il governo del vero Dio, come Omero a quelli sotto il governo di Giove, attribuisce. Insegna Omero sotto le favole la vita civile e le dottrine de' suoi tempi; e questi sotto simili figurazioni le nostre, per ridurre al suo vero uso la poesia: per lo che volle non solo con lei soccorrere all' intelletto, ma ancora alla memoria, comprendendo in breve narrazione tutta la serie della Greca e Romana storia, colla menzione de' più celebri eroi, sì nell' armi come nelle lettere, ed accompagnando la lor memoria con elogio prodotto da sano e retto giudizio, per lume e regola de' suoi lettori; a' quali da niuno poema volgare è sì pronta ed esposta la norma degli studj e delle azioni, come da questo, col cui solo esempio si può dallo stile escludere la macchia comune dell' affettazione e del putido ornamento. Imperocchè lo stile del Trissino è casto e frugale ; avendo egli usato tanta temperanza, e posto a se stesso nello scrivere tanto freno, che per non eccedere il necessario, e per non mancare in minima parte alla opportunità, rinunzia ad ogni lode, ́ che raccoglier potrebbe dall' acume e pompa maggiore. Onde tutti i suoi pensieri son misurati colle cose, e le parole co' pensieri; le quali sono perciò semplici e pure, e di quando in quando

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