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con tante vaghe e dolci ballate. Se Oraziano spirito e quasi Pindarico volo desideriamo, l' uno e l'altro scorgeremo nelle tre canzoni degli Occhi, e nell' altre in lode di nobili campioni, e spezialmente del Romano Tribuno. De' nobilissimi e gravissimi Trionfi non parlo, perchè appartengono all' epica, non alla lirica poesia. I quali componimenti fioriscono tutti di scelte e vaghe sentenze, d' espressioni quanto vigorose, altrettanto proprie dal nostro idioma, colte appunto nel tronco, dove la volgare e latina favella uniscono. Le quali espressioni, quantunque da straniero luogo non vengano, pur nuove giungono ed inaspettate all' orecchio, tirando la novità non dalle parole, ma dalla fantasia di cui vanno ripiene. Onde non con introdurre nella nostra lingua locuzioni e numeri e metri, ch' ella rifiuta, ma coll' estro loro producendo e colorando alla medesima luce simil si rende a' Greci ed a' Latini; la cui immagine avrebbe egli nel nostro idioma regenerata intera, s'avesse concepito quell' amore impuro, di cui emendato fu sì dalla nostra religione, come dalla Platonica dottrina che rivoca l'amore dalla servitù de' sensi al governo della ragione.

Dell amore

ovvero Pla

XXVIII. Onde non rappresentò razionale, gli atti esterni della passione ed i piatonico. ceri sensibili, colla qual rassomiglianza i poeti Latini si rendono cari e piacevoli al

volgo, tirato da' ritratti delle proprie voglie e de' proprj diletti: ma delineò e trasse fuori quel che nel fondo dell' animo suo nascea, e che nascer solamente suole in quello de' saggi, dove siccome tutti gli altri affetti, così questa passione si va purificando, e riducendo a virtù. Perciò manca a questo eccelso lirico parte del concorso, che hanno i Latini; i quali agli eruditi al presente, ed al volgo ancora, quando era in uso la lingua, recavan dilettto: nè raccoglie il Petrarca, se non che da' dotti e filosofi, e particolarmente da quelli, che hanno famigliarità con simile amore: senza il quale questo poeta in buona parte rimane ascoso alla cognizione anche de' letterati. Poichè chi esperto non è di questo amore, quantunque goda della dottrina, ingegno, ed ornamento, non può però conoscere la vivezza e verità della rappresentazione. Conciossiachè a coloro che gli stessi affetti in se non riconoscono, quelle del Petrarca sembrino invenzioni sottili più che vere, ed esagerazioni pompose più che naturali; e particolarmente a' fisici e democratici filosofi, onde per sua gloria questo secolo felicemente abbonda. I quali esplorano sì attentamente l' azioni del corpo, che ponendo in obblio quelle dell' animo, trattano questo amore, come una chimera di Socrate e di Platone, o come onesto velame di vietati desiderj. Ma se contemplar vorranno la natura della virtù, la quale è un

moto regolato dell' animo, vedranno che il suo uffizio è tutto rivolto al buon uso de' beni umani, come l'uffizio della liberalità al buon' uso delle ricchezze; l' uffizio della fortezza al buon' uso del vigore; l' uffizio della prudenza al buon' uso della cognizione; l' uffizio della temperanza al buon' uso de' piaceri ; alla qual temperanza e participazione onesta di piacere si riduce questo amore, il di cui uffizio è intorno all' uso della bellezza, traendo da lei il diletto non del senso ma della ragione ; a cui la bellezza serve per occasione e porta da entrar nell' animo della cosa amata, e come chiave a disserrare a lei il suo per comunicazione di scambievole amicizia da somiglianza di onesti costumi alimentata. Imperocchè la bellezza è virtù del corpo, come la virtù è bellezza dell' animo; la quale con quella del corpo conviene in una medesima idea sotto materia diversa, e da simile armonia vien costituita e regolata. Onde incontrandosi l'esterno coll' interno, viene l' animo nobile rapito dalla bellezza, come dalla sua immagine esteriore, e desidera trasfondersi nella cosa amata per mezzo dell' amore scambievole, il quale s'arma d' oneste operazioni, per impetrare dalla ragione l' ingresso nel cuore altrui. E tra questi tentamenti ed agitazioni nascon più calde voglie, e più fine gelosie per il possesso dell' animo che sentano i volgari amatori per il

possesso del corpo. Anzi perchè a proporzion dell' ingegno crescono le passioni quindi avviene che l'ammirazione, la stima, e 'l desiderio del Petrarca sopra la sua donna sormontano ogni credere, e sembran di trapassare il naturale, perchè alla cosa amata non tanta bellezza e virtù contribuisce la natura quanta l' opinion dell' amante, che a proporzion della sua mente e passione l'accresce, e l'innalza sin presso il confine della divinità. Onde affina il suo culto secondo la sottigliezza de' desiderj e pensieri, che men dell' esternó si pascono più indentro lavorano, e più penetranti divengono, come quelli che hanno tutto il commerzio loro coll' anima, e con quella parte del corpo che più dell' incorporeo partecipa, la quale è l'armonia esteriore, cioè la bellezza che in tal maniera governata diventa madre d' oneste voglie e nobili e generose, tutto che non senza pericolo nè libere affatto dagli assalti del senso, al quale colla difesa della ragione si va resistendo. Perciò nel Petrarca osserviamo tante guerre e tante varietà, anzi contrariétà d'affetti e sentimenti che tra di loro combattono, li quali egli sì vivamente espone, che tra di loro combattono, li quali egli sì vivamente espone che sembra scolpire i pensieri, e l'incorporea natura render visibile: tanto in ciò più fino de' Latini, quanto che a coloro da volgar' amore occupati di tai sentimenti la conoscenza o

mancava affatto, o da' Platonici discorsi, come filosofica favola, compariva. E perchè nel Platonico, ovvero Pittagorico, sistema il Petrarca tutto il suo amore stabilì, perciò volle, anche Pittagoricamente secondo la dottrina della trasformazion dell' anime favoleggiare sul nascimento della sua donna: la di cui anima egli trasse dalla medesima Dafne, della quale si accese Apollo, nel cui luogo se stesso pose. Quindi egli non freddamente, come il più de' moderni, ma con sensata allusione scherza non di rado sopra it nome di Laura dal lauro, che Dafne in greca lingua s'appella, col quale significa la persona di quella ninfa nella vita della sua donna risorta. Di Giusto d XXIX. Vicino al Petrarca nell' Conti Roma. no Senatore. espressione fu Giusto de' Conti Romano Senatore; le di cui rime liriche, le quali portano il titolo della Bella mano, son così dolci, sì gentili, sì piene di teneri affetti e leggiadri pensieri, che per ragion ereditaria par' egli entrato in possesso del Petrarchesco candore.

Del Montemagno.

XXX. In simili note, nella medesima età del Petrarca, risonò la lira del Montemagno. E questi ambidue, benchè non spandano sì largamente l'ali, nè puggino a tanta altezza quanto il Petrarca, nè tal dottrina abbraccino e tanta varietà di passioni; pure nella lor linea di gentilezza e tenerezza son tali, che

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