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non molto in loro si desidera di quello, onde in questa parte più il Petrarca fiorisce.

Di Franco
Sacchetti

XXXI. Ornò ancora il suo secolo non Fiorentino. solo colle sceltissime novelle, ma colle candidissime rime liriche Franco Sacchetti Fiorentino, il quale a' sublimi onori, che 'l suo antico legnaggio godeva, tanto civili nella sua repubblica, quanto militari sotto i re di Napoli, volle anche innestare la gloria della più culta letteratura, la quale poi, coll' acquisto delle dignità, è in Roma ne' suoi posteri sino all' età nostra discesa.

D'Agostino

XXXII. Nè leggiera è la lode che Staccoli da nel medesimo genere di poesia si meUrbino, e

del Sanazza- ritò Agostino Staccoli da Urbino, il ro, Polizia

no, Bembo e Casa.

quale sostenne le forze dell' Italiana lira, che a i suoi tempi cominciavano a languire, e che furon poi ristorate interamente in Napoli dal Sanazzaro; finchè sotto la genero. sità di Lorenzo de' Medici, nobile egli ancor nella lirica, sotto la scuola del Poliziano, autor di quelle maravigliose ottave, risorgendo tutte le belle arti, potè questo genere di poesia ripigliar colle mani del Bembo la cetra del Petrarca, imitata poi degnamente da stuolo sì numeroso, che non trova quì luogo per se capace, e così noto che niun' oltraggio riceve dal nostro silenzio. Conciossiachè niuno di loro per propria invenzione richieda da noi giudizio distinto, se non che

il Casa; il quale guidato ancor dalla traccia del medesimo Petrarca nel sonetto,

Mentre che 'l cor dagli amorosi vermi;

ed in quello,

Fera stella se 'l cielo ha forza in noi ;

ed in un' altro,

Giunto m' ha Amor tra belle e crude braccia ; tentò coll' esempio del nostro Galeazzo di Tarsia, che poggiò al più sublime grado di magnificenza, nuovo stile più degli altri ad Orazio somigliante, per il maestoso giro delle parole, ondeggiamento di numero, e fervor d' espressione ; benchè di copia, varietà, fantasia, e sentimento ad Orazio ed all' istesso Petrarca inferiore. Il quale non sarebbe, se le sue rime le faville di quella scienza comprendessero che Gregorio Caloprese, mio cugino e maestro, ne' suoi dottissimi comentarj, fatti sopra venti di que' sonetti, ha voluto dalla profondità della sua cognizione verso di loro derivare: non per ascrivere al Casa i sentimenti di quella filosofia chi egli professa, ma per render la filosofica ragione di quegli affetti che il Casa commove. Dell'uso di XXXIII. Sin qui si è brevemente detto intorno alla vera idea della poesia, ed intorno alla ragione donde le poetiche regole e le opere de' migliori autori provennero, parendo ciò lume bastante a condurre spedita

questa ope

ra.

mente gl' ingegni per il corso di questi studj, affinchè per se medesimi possano de' poeti rintracciar tanto la scienza delle cose universali e divine quanto la cognizion de' costumi ed affetti, e delle cagioni, onde le umane operazioni son mosse: in modo che facendo de' poeti buon' uso, e traendo da loro il più sano ed utile sentimento, ed acquistando colla consuetudine loro copia e facilità d'espressione, possano gli uomini diventar eloquenti nella prosa e ne' discorsi familiari, per giovare tanto alle private cose quanto alle pubbliche. Imperciocchè le dottrine e le locuzioni riscaldate dentro la poetica fantasia, ed indi tramandate, penetrano più altamente e con più vigore negli intelletti, li quali da simil calore agitati più efficacemente riscaldano e muovono chi seco tratta; avendo al parer di Platone il furor poetico la medesima potestà che la calamita. Poichè siccome questa a varj anelli di ferro la sua forza comunica, sì anche il poeta di calor divino agitato, agita chi da lui apprende ; e questi col lume e col fervore che ha dal poeta appreso, come con lingua di fuoco, riscalda l'ascoltante. Onde la fiamma da una mente sola uscita deriva e trapassa per gl' intelletti di molti; li quali come a varj anelli dalla virtù divina d' un solo mirabilmente dipendono. E questo vigore non solo è necessario a' profaui dicitori, ma molto più a' sacri, li quali per poter imprimere negli animi sentimenti e moti

celesti, maggior impeto d' affetti, e tropi più sublimi, ed espressioni più vive debbono adoprare; imitando i Profeti, che colla poetica loro locuzione sopra ogni altro s' innalzano. Perciò l'empio Giuliano, volendo fermare il felice corso alla nostra santa Religione, proibiva, più che ogni altro studio, quello degli antichi poeti, per togliere a' nostri oratori di tutte l' umane facoltà la più efficace.

IL FINE.

Dalla Stamperia di Bulmer e Co.
Cleveland Row, St. James's.

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