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liberalità della casa d' Este. Scelti pertanto fra i suoi studi parecchi mottetti a 5. 6. 8. voci li fece imprimere in Roma il 1574. per Alessandro Gardano, e nominolli al ridetto Duca Alfonso II. L'edizione fu terminata sul bel principio dell' anno 1575., ed ha per titolo : Ioannis Petraloysii Praenestini mottettorum, quae partim quinis, partim senis, partim octonis vocibus concinantur liber tertius. Romae ap. Alexand. Gardanum 1575.

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La dedica di questo terzo volume di mottetti, che porta in fronte Alfonso secundo Ferrariae, Mutinae, et Regii Duci, etc. merita di essere ponderata, non solo perchè Giovanni vi asserisce di aver servito parecchi anni il defonto cardinal Ippolito, siccome è stato altrove indicato: (V. sez. 2. cap. 12.) non solo perchè vi esterna con forza indicibile, com'è detto di sopra, i sensi della sua gratitudine alla memoria del ridetto suo mecenate e per estensione di cuore veramente singolare anche ai di lui consanguinei: Cum multos annos Illustriss., ac Reverendiss. cardinali fel. rec. Hippolyto quanta potui veneratione ac diligentia inservierim, incredibilem quamdam observationem me amplissimo nomini Estensi debere non obscure cognosco. Quapropter et inde usque ardebat animus studio declarandi aliquo testimonio summam meam in Te observantiam; quod cum alia ratione facere non posse viderem, haec. . . . in Tuo Nomine publicum accipere volui etc. Non solo dissi per questi due riflessi merita di essere ponderata, ma molto più, perchè con imparziale giudizio vi fa egli stesso Giovanni il carattere dell'opera come inferiore non poco di merito agli altri suoi lavori.

Di fatto quel Pierluigi, che parlando altre volte delle sue produzioni non ebbe difficoltà di chiamarle candidamente opere d'arte, e d'ingegno, modi più squisiti, maniere nuove, e che sempre di mero suo beneplacito le aveva fatte imprimere, quì, mutato linguaggio, si contenta di dire, che sono mottetti intorno a' quali aveva già per l'addietro travagliato con molto studio: Haec, quae a me summo studio elaborata erant: confessa di darli alla luce vinto dalle istanze degli amici: Amicorum rogatu in lucem edere decrevi: e li rassomiglia a quella poca acqua che offerì al re Artaserse un uom di conta

do: hoc meum minus quantulumcumque est, accipias, neque enim potentissimus persarum rex Artaxerses puram fluminis aquam rustici hominis manibus oblatam aut respuit, aut neglexit. Questa diversità di concetti mi pose in curiosità di esaminare attentamente siffatti mottetti, e debbo per la verità affermare, che li tre soli di essi : Fuit homo missus a Deo a 5. voci: Haec dies quam fecit Dominus, ed O bone lesu exaudi me a 6. voci hanno alcun grado nella scala del bello: tutti gli altri a 5. e a 6. voci sono di lunga mano infèriori ai mottetti del primo, e del secondo volume. Non intendo già per questo, che siano indegni del Pierluigi, non dico nemmen, che possano essere parto di altra penna: vi balena troppo chiaramente e la sua maniera, è la sua regolarità, e la chiarezza degli artifizi naturalezza delle melodie, e l'uguaglianza del tutto insieme, niente di stentato, niente di niente di secco, fluidi, gravi, variati: ma che? Freddi, insensibili, gelati, privi del tutto di quel fuoco animatore, che investe negli altri volumi gli esecutori, e l'uditorio e come il solo Pierluigi ne potè esserc l'autore, prima di divenire il grande imitator della natura, così a niun patto si potrebbero menar buoni a lui stesso divenuto oggimai l'Omero principe della musica .

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Ed affinchè il lettore persuadasi intimamente del mio dire, io non gli nominerò il Pater noster, è l' Ave Maria posti in musica à 5. voci sopra i medesimi soggetti, e le stesse fughe, che ricavarono dal canto gregoriano prima Jusquin del Prato, e quindi Adriano Willaert; queste due composizioni di Giovanni sono più regolari: le parti vi cantano aggiustatamente: la successione delle idee non è mendicata: avanzano per certo di molto il Pater e l' Ave dei due nominati fiamminghi, e di tanti altri predecessori e coetanei dello stesso Pierluigi, che pure scrissero armonicamente l'orazione domenicale, e la salutazione angelica; ma non sono in fine che note, e note insignificanti, forse più belle per essere eseguite sopra gl' istrumenti alla foggia di que' tempi, che per essere cantate. Passerò anche sotto silenzio tutti gli altri mottetti inferiori agli altri due indicati, e mi restringerò solo a dire alcuna cosa sopra i due mottetti a 5. voci: Quid habes Ester, e Vidi te Domine, che si conosce, essere stati posatamente composti. Le parole

sono tratte dal cap. 15. v. 12. e seg. del sagro libro di Ester là ove Assuero blandisce la sua sposa venuta meno, onde confortarla. Quid habes Ester? Ego sum frater tuus, noli metuere. Non morieris: non enim pro te; sed pro omnibus haec lex constituta est. Accede igitur, et tange sceptrum. Ester tace, ed il re impaziente per amore le pone lo scettro sul collo, e con entusiasmo baciandola, le chiede: cur mihi non loqueris? Tornata la regina all' uso de' sensi si fa un dovere di tosto rispondergli: Vidi te, Domine, quasi Angelum Dei et conturbatum est cor meum prae timore gloriae tuae. Valde enim mirabilis es, Domine: et facies tua plena est gratiarum. A fronte di tanto patetico, sia il primo mottetto che contiene le parole di Assuero, sia il secondo con le parole di Ester, non presentano che una zolfa di rrote assiderate: ed un fantasma di vivacità, che si è preteso di dare sul fine del primo mottetto, fa compassione. Imperciocchè si giunge in esso con l'agghiacciata zolfa insignificante alle parole, cur miki non loqueris? Qui le parti disperse nelle varie fughe, attacchi, imitazioni, di cui v' ha grande abbondanza, si riuniscono, e con alquanto di forza sollecitamente a nota e sillaba proferiscono il cur mihi non loqueris? Quindi tacciono tutti per una battuta e mezza; e di nuovo, cangiando tono, o modo, ripetono, cur mihi non loqueris? Segue una pausa in tutte le parti di due intere battute, e così termina il mottetto. Questa, come io diceva, è una idea d'espressione degna d' essere compatita, perchè contraria al senso, ed al buon senso. Assuero per il sagro testo si tacque dopo le parole: accede igitur et tange sceptrum e siccome Ester non si mosse, ei le si lanciò al collo, e le disse: almeno cur mihi non loqueris? Onde la pausa assai meglio prima delle ridette parole sarebbesi gustata, che non dopo. Inoltre il re una sola volta, e non due; e non con diverso tono dimandò alla sua sposa che gli parlasse. Da ultimo, che fanno mai quelle due battute di pausa, terminato il canto del mottetto? Se si pretende (benchè contro l'espresse parole del sagro testo) che Ester dopo il prie dopo il secondo ( indebitamente supposto) cur mihi non loqueris, sospendesse ancora per poco la risposta, e che il re con invitta pazienza la attendesse, il modo scelto onde mostrarlo, non e per

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mia fè, sufficiente; giacchè gli uditori i quali non sanno, non veggono, non sentono le pause citate, non possono raccorre dalle medesime veruna idea: come appunto ridevolissimo in egual forma si era il ritrovato di colorir sulla carta le note di rosso, o di verde, o di violaceo, o di azzurro (V. il cap. 3. della sez. 2. e la no. 154.) onde i predecessori ed i contemporanei del Pierluigi sognavano di esprimere adequatamente gli analoghi concetti . In una parola il mottetto è compito, si tacciono gli esecutori, e l'uditorio non rimane certamente sospeso per le pause scritte nella carta, ma si riposa. Verrà però, verrà fra poco il momento in cui Giovanni, farà conoscere quanto diversamente dalla prima sua età, cui appartiene questo scipito mottetto, ei sappia all'epoca presente filosofare: ed in qual foggia maneggiar si convenga nei mottetti della Cantica il patetico finissimo non degli umani, ma de' divini amori di due teneri sposi .

Persuaso come io son d'avviso, il lettore della mancanza di vero bello, di esatta imitazione della natura nei mottetti a 5. e 6. voci di questo terzo libro, torniamo ad osservare le parole di Giovanni. Amicorum rogatu ei s'induce a dare alle stampe mottetti siffatti: gli amici poco filosofi incantati dalla soavità delle armonie e dalla naturalezza dello stile lo hanno indotto a far pubbliche queste prime secrezioni del suo talento e dissi avvedutamente prime, dandomene argomento il medesimo Pierluigi con 'la me elaborata erant, ond' ei ben ne conosceva la imperfezione, e la mancanza di vero bello; perciò soppresse candidamente, di tali mottetti parlando, il perfectum ingenio; elogio, che lor non si doveva, e si contentò dell' elaboratum industria, confessando che summo studio elaborata erant; e così non li chiamò o di fuoco, o fusi in erogiuolo da espertissimo fonditore, ma fresca acqua di fonte nelle ruvide mani di un rustico da zappa.

Fin qui il Pierluigi stesso con la sua dedica ci ha fatto parlare de' suoi mottetti a 5. e 6. voci. Vi sono però nello stesso volume anche sei mottetti ad 8. voci, i quali non debbono assoggettarsi allo stesso giudicamento. Essi non solo sorpassano di gran lunga i sette mottetti ad 8. voci del secondo volume, ma la loro maniera è tale, che compensano abbondantemente la freddezza dei testè menzionati, e sono fiVOLUME II.

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gli più del genio che dell' arte. Quattro di questi mottetti cioè le due sequenze, o inni: Lauda Syon Salvatorem, e Veni Sancte Spiritus, l'Ave Regina coelorum, e l' Hodie Christus natus est, presentano una divisione dei due cori nuova affatto, e di mirabile effetto. Un coro è composto di due soprani, un contralto, ed un baritono; l'altro consta di un contralto, due tenori, ed un basso. L'alternativa di due cori siffatti sorprende, la riunione rapisce. Sé questa foggia di comporre non esigesse una finezza di gusto squisito, un singolarissimo genio, sarebbe stata, io diviso, adottata eziandio dai contemporanei del Pierluigi, e dai seguaci ma la difficoltà dell' impresa sgomentò que' pochi che con miserabile effetto vi si cimentarono: e questi quattro mottetti rimangono il prototipo di cotale specie. Con di più, che a lasciar segnata la via a qualsivoglia più erto cammino compose Giovanni anche una intera messa ad 8. voci sopra uno di questi mottetti: Hodie Christus natus est, conservando la stessa divisione di cori, siccome vedrassi a suo luogo.

Gli altri due mottetti ad 8. voci hanno la distribuzione nota delle parti, e dei cori. Il mottetto: Iubilate Deo omnis terra è molto vago, variato, semplice, e nobile. Il mottetto poi surge, illuminare Ierusalem è il capo d'opera dei mottetti a due cori del Pierluigi. V' ha in esso sentimento, forza, brio, chiarezza, semplicità, grandiosità impareggiabile. Se gli si tolgono le parole, la musica sola annunzia per ciascun inciso, ciò che vuole esprimere. Qual' invito grazioso insieme ed efficace nel surge, che sollevandosi ti solleva! Quanta chiarezza nell' illuminare ! La forza del quia venit lumen tuum è robusta; l'et gloria Domini super te orta est, riempie di giubilo: non ha esempio, e sempre mai rimarrà ammirabile la squisitezza del genio, con cui si da tanto contento al seguente rabbruscamento, nel quia ecce tenebrae operient ter ram: i vortici della caligine, et caligo populos sembra, che ne circondino nel più folto del bujo: quand' ecco s' ingrandisce nelle figure, e richiama a nuova attenzione super te autem: il ripete con maggior quantità di armonia super te autem; e quì con indicibile dolcezza s' innalzano le parti, dal basso il tenore, dal tenore il contralto, e da questo il soprano cantando orietur Dominus: e rotti gli argini del torrente della gioja, ma diguitosa, ma nobile, ma grandiosissima sublime

passa

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