« Εις ορος ὅχ χ' ἕρπεις, μὴ ἀνάλιπος ἔρχες, Βάττε. (1) e il tutto si compie col rifilare concordemente il mantello all'assente Egone. E questo idillio, che non ha pure il vanto di essere preferibile a quanti ne scrisse il soave figliuolo di Prassagora e di Filina, tregua apportò alle affannose mie cure, e ridestommi in cuore la fioca lampa di speme, che tremolava presso a spegnersi. Oh! la consolazione che apporta a un animo depresso l'udire Θαρσεῖν χρὴ . . . ..... τάχ' αὔριον ἔσσετ' ἄμεινον: « Ελπίδες ἐν ζωδισιν, ἀνέλπισοι δὲ θανόντες « Χ ὡ Ζεὺς ἄλλοκα μὲν πέλει αἴθριος, ἄλλοκα δ' ύει. (2) » Ah! questo, io dissi, è l'insegnamento del sommo lirico al turbolento Licinio: (3) Sperat infestis, metuit secundis >> Alteram sortem bene praeparatum ་ Iupiter, idem >> Summovet: non si male nunc, et olim (1) (2) « «Se al monte vai, non v’andar, Batto, scalzo. » « Lux melior; vivo spes plurima, nulla sepulto: (3) Od. X lib. II. G.A.T.CXXV. 15 « Suscitat musam, neque semper arcum « Tendit Apollo. (1) » Questo pensiero servì mirabilmente a riempire un gran vacuo nell'abbattuto mio cuore. Ma sta pure à me riempire altro vacuo in queste pagine col chiamare ad esame le seguenti inestimabili produzioni di questo genio. L'esordio del quinto idillio è, se a Dio piace, fitto pacificó, é spirante la bella semplicità del sognato evo di Saturno. I pastori, pecorai e caprai, la fanno da quello che sono al dì d'oggi, e quali, se l'umana natura non aveva diverse tempre, si erano all'epoca di Teocrito e di Virgilio. Aveva un bel cantare Opico, essere avvenuto nella prisca età, che (1) Con molta grázia imitává tali sentimenti il napolitano Gabriele Rossetti nella salmodia intitolata Iddio e l'uomo: «Non si potea l'un uom ver l'altro irascere: Ond'avvien ch'ogni guerra e mal si germini. «Non si vedean queste rabbiose insanie; « Le genti litigar non si sentivano, Per che convien che l'mondo or si dilanie. « I vecchi, quando alfin più non uscivano «Per boschi, o si prendean la morte intrepidi, O con erbe incantate ingiovanivano. «Non foschi e freddi, ma lucenti e tepidi « Erano i giorni, e non si udivan ulule, Ma vaghi uccelli dilettosi e lepidi, «La terra che dal fondo par che pulule Atri aconiti, e piante aspre e mortifere, «Era allor piena d'erbe salutifere, «E di balsamo e'ncenso lacrimevole, « Di mirre preziose ed odorifere. (1) » Ma bene era stato avvertito dal vecchio genitore il credulo garzonetto, che queste cose accaddero << Ne' tempi antichi, quando i buoi parlavano. (2) » Qui poi ascolta il bel saluto, che fa Comata a Lacone : (1) Sannaz. Arcad. ecl. VI v. 73 e segg (2) Ivi v. 68. Αἶγες ἐμαὶ τῆνον τὸν ποιμένα τὸν Συβαρίταν Φεύγετε τὸν Λάκωνα τὸ μευ νάκος ἐχθὲς ἔκλεψεν. (1) Botta, risposta: Lacone con altrettanta grazia guiderdona il capraio : « Οὐκ ἀπὸ τῆς κράνας σίττ ̓ ἀμνίδες; οὐκ ἐσορῆτε μευ τὰν σύριγγα πρώην κλέψαντα Κομάταν; (2) » (( Tòソ In tal modo seguitano a regalarsi a vicenda di belli titoli. Si nominan furti di diversi pastorali oggetti: depongono, dietro poetica disfida, Comata un becco, ed un lanuto agnello Lacone: cantano alternativamente di tante svariate cose, che lungo fora il catalogo a solo noverarle. Ma nulla al nostro proposito. Ciò che degno sembra di riflessione è il farvisi parola di colombi silvestri, di volpi e di scarafaggi. Comata dice di avere in odio le volpi, perchè « . . . αἱ τὰ Μίκωνος « Αἰεὶ φοιτῶσαι τὰ ποθέσπερα ῥαγίζοντι. (3) » E Lacone soggiunge sperimentare anche egli l'avversione medesima per gli scarafaggi, i quali (1) Heus fugite o Sybaritam illum Lacona, capellae . . . τὰ Φιλώνδα « Σύκα κατατρώγοντες · ὑπηνέμιοι φορέονται. (1) » Dei colombi poi ragiona due volte il capraio; ma la sua caccia non lo diverte punto dalle rusti cane occupazioni, poichè avendo loro nido sopra umile ginepro, ei vi ascendeva a torli per la sua Alcippe; Alcippe cui dice una fiata scherzando di non amare, ὅτι με πρὸν οὐκ ἐφίλασε « Τῶν ὤτων κατελοῖσ ̓ (2) » Dunque neppur quinci evvi argomento a sgomentarne dal sostenere l'assunto. Quel che segue è l'idillio « I Bucoliasti » diretto ad Arato, ossia il dotto poeta, di cui abbia→ mo « I fenomeni » o altri di questo nome, amico di Teocrito, che ne fa menzione anche altrove. Gl'interlocutori Dameta e Dafni ་ « presso una certa fonte Seggendosi di state in sul meriggio << Cantaro (3) ed il loro argomento furono gli amorosi scherzi di Polifemo e Galatea, mentre « Qui miseri ficos vastant, fugiuntque per auras. » Id. ibid. (2) « . . . Nam non dedit oscula captis « Auribus. » Id. ibid. (3) Torelli nella vers. di questo idil. |