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tutte in un corpo le discordi membra d' Italia, e farle, quasi raggi, nel comun centro d' una moderatrice suprema Potestà convergere. Vedea Dante tornar vana la speranza che ogni singolo italiano municipio mantener potesse la propria libertà e indipendenza senza convenire in un Capo, cui afforzassero l'autorità delle leggi e la potenza dell'armi. Ond'è ch' ei ripeteva quella sentenza de' sacri libri, che ogni regno in se diviso sarà desolato; ed amantissimo, siccome egli era, delle antiche glorie italiane e della grandezza del nome romano, ei considerava che soltanto pel mezzo d' una general forza ed autorità poteva l'Italia dalle interne contese e dalle straniere invasioni restarsi sicura, e recuperare l'antico imperio sopra tutte le genti. Coll' esempio allora presente non lasciava di persuadere, che la divisione in tanti piccoli Stati, senza una potestà a tutti superiore, era la causa che commettea discordia tra le città, e le urtava fra loro in perpetua guerra, le proprie forze invan consumando. Sicchè, non volendo l'Italia soffrire un' alta potenza regolatrice, verrebbe in breve a cadere sotto il dominio straniero; e così a nazioni un tempo già a lei soggette resterebbe sottoposta quella, che pel corso di mille anni era stata la signora del mondo. Per questo appunto nella sua grave Epistola, indiritta, nella venuta d' Arrigo, a' Principi e Popoli Italici, esclama: Rallegrati oggimai, Italia, di cui si dee avere misericordia, la quale incontanente parrai per tutto il mondo essere invidiata, perocchè il tuo sposo, ch'è letizia del secolo e gloria della tua plebe, il pietosissimo Arrigo, alle tue nozze di venire s'affretta. Asciuga, o bellissima, le tue lagrime, e gli andamenti della tristizia disfà, imperocchè egli è presso colui che ti libererà dalla carcere de' malvagi. E mentre Dante invita gl' Italiani a riconoscere in Arrigo l'unico loro Regolatore, non esige però che essi pongano nel di lui arbitrio le loro libere costituzioni: Vegghiate tutti (egli dice), e levatevi incontro al vostro Re, o abitatori d'Italia, e non solamente serbate a lui ubbidienza, ma come liberi il reggimento. A questo

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<< La costituzione di Roma, succeduto alla Repubblica l'Impero, divenne una repubblica militare; ma in questa repubblica i municipii avevano un'indipendente esistenza politica. Erano essi autonomi: il popolo partecipava al potere legislativo, eleggeva nel proprio seno magistrati a guisa della repubblica madre; la rappresentanza municipale regolava le

dunque eran volte le mire e gli sforzi del magnanimo Ghibellino, di procurare il riordinamento, l'unione e la gloria d'Italia; e nella dolce lusinga che ciò fosse per accadere vicino, ed allo scopo di preparare la sospirata riconciliazione fraterna, e far tacere le ire intestine ognor rinascenti, scriveva appunto quella Epistola, e pateticamente gridava: Perdonate, perdonate oggimai, carissimi, che con meco avete ingiuria sofferta.

Nè soltanto al vantaggio d'Italia, ma al ben essere di tutta l'umana generazione pensava Dante che fosse necessaria l'universal Monarchia. Un solo principato (dic' egli nel Convito, tratt. IV, cap, 4) è uno Principe avere, il quale tutto possedendo, e più desiderare non possendo, li re tenga contenti nelli termini delli regni, sicchè pace intra loro sia, nella quale si posino le cittadi. E questo principio egli ripete ed a lungo sviluppa nel primo libro della presente operetta. Laddove pertanto è pace, quivi si trova pubblica felicità; ma quivi solo è pace laddove è giustizia. Ond'è che in effetto tanto più ampiamente dominar deve giustizia, quanto più sia potente l'uom

pubbliche imposte, all' esazione delle quali vegliavano i Decurioni; finche nel declinar dell'Impero divennero debitori in proprio delle somme che il dominatore politico domandava. Gl'Imperatori fino ai tempi di Adriano rispettarono tanto l'indipendenza de' municipii, che non sdegnarono, sebbene signori del mondo, di accettare le cariche municipali del paese ov' eran nati.

» Non si può far dunque il rimprovero alla teoria politica dell'Alighieri d'aver sacrificati all' amore di parte i sacrosanti diritti dell'umanità, quelli di cittadinanza, e le pubbliche libertà. Egli vuol difesi, e non alterati dal monarca i diritti naturali dell'umanità nell'individuo; quelli delle affezioni del sangue nella famiglia; quelli della socialità nel municipio; quelli dell' interna ed esterna difesa colla riunione delle forze di più municipii nella città; quelli finalmente di nazionalità nelle relazioni reciproche di più città tra loro in un regno. Egli ha calcolati i diversi bisogni de' climi, delle località e delle industrie. L'Alighieri non fa dei cittadini della sua Monarchia una mandra, la quale alla rinfusa ammucchiata obbedisca alla verga del pastor che la guida, e alla mano che la munge, la tonde e la scanna. La Monarchia dell' Alighieri conosce ed apprezza tutte le esistenze morali e civili, che nella loro ordinata gerarchia compongono i corpi politici. Il monarca è l'autorità direttrice suprema, e garante della fedele ed esatta amministrazione della giustizia e della pace, e della concordia reciproca tra tutti i municipii, le città ed i regni che cuoprono la terra, indipendenti tra loro nella gestione de loro sociali interessi. » (CARMIGNANI, loc. cit.)

DANTE. 2.

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giusto preposto ad amministrarla: dunque la miglior guarentigia della pubblica felicità risiede nella massima potenza del supremo imperante. E poichè tolta la cupidigia, nulla rimane d'ostacolo alla giustizia, il Monarca, il quale nulla abbia a desiderare, esser deve giustissimo per necessità. Desso è causa utilissima, causa massima all'ottimo vivere delle genti: dunque a conseguire un tanto effetto è necessaria al mondo una tanta causa. Se non che a far pieno e inconcusso il suo teorema, Dante vuole un Monarca necessitato dal propostosi fine di dare e serbar sempre giustissime leggi; quindi Monarca afferma solamente colui, che disposto sia a reggere ottimamente, e così argomentando fa vedere che non il Popolo solo si uniforma alla volontà del Legislatore, mentre il Legislatore stesso, egualmente che il Popolo alle leggi obbedisce. Conchiude poi che sebbene il Monarca, riguardo ai mezzi, sembri il dominatore delle Nazioni, in quanto però al fine, altro egli non è che il loro Ministro, perciocchè non il Popolo pel Re ma il Re pel Popolo è creato: Non enim gens propter Regem, sed e converso Rex propter gentem (lib. I).

Nel secondo libro, che s' aggira tutto in provare come l'Impero appartien di diritto all' Italia ed a Roma, fassi dapprima l'autore a

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« Il bello ideale che Platone dette alla sua Repubblica, l'Alighieri lo die al suo Monarca: con questa differenza però, che un uomo, sebbene investito del potere supremo, può sentire ed agire come Dante s'imagina, mentre una moltitudine d' uomini non potranno mai vivere col regime che loro ha proposto Platone. Dante ravvisa il Monarca universale, per la sua posizione, un'autorità tutelare ed inoffensiva: egli pensa essere nel naturale ordine delle cose, che un uomo, il quale ha eguale autorità sopra tutti, debba e possa essere eguale con tutti; lo che deve renderlo scevro d'ogni cupidigia, imparziale e giusto con tutti, e verso tutti amorevole: il qual concetto fu da Cassiodoro espresso come teoria comune a tutti gli uomini investiti di potere sovrano, dicendo: disciplina imperandi est amare quod omnibus expedit. Ammirabile sentenza, se chi dee praticarla non avesse mai dall' amor di se stesso, e dalla prestigiosa azion del potere, ottenebrati gli occhi per leggerla; o sivvero tal debolezza di mente da dimenticarla o spregiarla, avendola letta! Questo nobile e generoso amor del Monarca per gli uomini era, per così dire, il cardine sul quale aggiravasi la teorica politica dell'Alighieri; e questo supposto amore non era ne ghibellino nè guelfo, perchè abbracciava l'umanità, nell'interesse della quale egli si era proposto di scrivere. » (CARMIGNANI, loc cit.)

mettere in vista la serie de' prodigi operati dal Cielo per istabilire, promuovere e conservare la sovranità del popolo Romano. Dopo di che egli dice, che quello il quale alla sua perfezione è da' miracoli aiutato, è da Dio voluto, ed è perciò di diritto. Adunque l'Impero di Roma, che nella caduta dello scudo celeste, nel gridare delle Oche della Rocca Tarpeja, nella mala final riuscita delle vittorie d' Annibale, appare conservato e cresciuto per mezzo di soprannaturali prodigi, è certo essere e starsi di diritto, dappoichè Dio così volle e dispose. 1 Indi l' Alighieri in cotal guisa i suoi argomenti prosegue: Chi ha per iscopo il fine della Repubblica tende a conseguire il vero fine della giustizia. I Digesti non definirono la giustizia quale si è veramente in se stessa, ma quale appare nel suo pratico esercizio. Il giusto consiste nella reale e personale proporzione dell' uomo verso l'uomo, la quale conservata conserva, e corrotta corrompe la società. Ond'è che non sarà mai diritto quello che non tenda al comun bene de' soci, ed è per ciò che Tullio nella sua Rettorica afferma che le leggi si deggiono sempre interpretare secondo l' utilità della Repubblica. Ora il Romano popolo colle sue gesta dimostra come nel

1 « L'idea di Dante era classica: ella era quella di veder restaurato l'Impero romano colla costituzione, che buoni imperatori conservarono e rispettarono sempre, dicendosi i generali d'una Repubblica obbligata dalla sua posizione e da' suoi precedenti a mantenersi colle armi dominio del mondo. Egli avea davanti agli occhi la lunga pace del regno d'Augusto, e compiacevasi a ripetere con Virgilio: Jam redit et virgo, redeunt Saturnia regna..... Questo desiderio di veder restaurato l'Impero romano non era a'tempi dell'Alighieri nuovo in Italia: stava sempre l'ombra del gran nome di Roma antica e gloriosa, rappresentante dell'italiano primato tra le antiche nazioni. Gl'Imperatori, che aveano capitanato le vittoriose sue armi, nati in Roma nel principio, vennero in seguito da straniere nazioni; ma divenuti imperatori, si dichiararono romani, e fino a Costantino stabilirono in Roma la permanente lor sede. Era questo sistema, che da non pochi in Italia invocavasi, sebbene i desiderii fossero rivolti a Imperatori germanici, ed era fra questi desiderii pur quello di riveder Roma sede e centro dell'Impero del mondo, e l'Italia tornata ad essere la regina delle nazioni. » (CARMIGNANI, loc. cit.)

« Le idee dell' Alighieri sulla nozione del diritto razionalmente considerato, sulla libertà, sulla giustizia, sulla legge come espressione della mente e della volontà sociale, sono d'una maravigliosa esattezza, e d'una più maravigliosa originalità. Gli Scolastici non seppero immaginare un diritto, che dalla volontà d'un superiore e da una legge preesistente non

conquistare l'intero mondo, pose in non cale gli agi propri e solo provvide alla salute dell' uman genere. L' Impero della Romana Re

derivasse. Dante lo ravvisa nella ragione e nelle sue leggi, perchè per queste sole leggi son conosciute ed esistono le proporzioni, definendolo una personale o reale proporzione da uomo a uomo, osservata la quale havvi relazione sociale tra loro. Nella quale definizione cinque grandi verità si ravvisano. La prima è, che non potendo la definizione convenire al principio morale, per cui un'azione è buona o cattiva in se stessa, senza relazione ai diritti d'alcuno, bisogna concludere che l'Alighieri concepi la differenza razionale tra la morale e il diritto. La seconda è, che, nel sistema suo, il diritto non è una facoltà, la quale è forza inerente alla volontà, ma è una nozione, la quale spetta all'ufficio dell' intelletto. La terza, e segnalabile, è che il diritto, come nozione, ha un'esistenza propria, indipendente da quella d'una obbligazione che vi corrisponda; ed infatti egli d'obbligazione non parla. La quarta consiste nel dare al diritto per origine e titolo l'eguaglianza di ragione, la quale si converte in eguaglianza in faccia alla legge, in quanto che non potrebbero i diritti stare in proporzione tra loro se eguali non fossero. La quinta finalmente è, che diritto non può concepirsi tra gli uomini che nel loro stato di società, il quale solo gli pone in relazione gli uni cogli altri.

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>> Dante sagacemente soggiunge, essere una vanità il cercare il fine del diritto senza conoscerlo, essendo il diritto il vero e solido fondamento dell'ordine; e giustamente gloriasi della originalità della nozione del diritto posta da lui, ed osserva che ne' Digesti filosofica nozione del diritto non vi è, nè altra notizia ve ne ha che quella che ne fornisce il suo uso. È osservabile che Dante, a differenza della comune de'moderni scrittori di filosofia del diritto, e delle più celebri politiche epigrafi, pone il diritto avanti la libertà, non la libertà avanti il diritto; e, come alcuni filosofi praticarono, non definì il diritto per la libertà. Egli la considera al diritto inerente; diguisachè senza diritto parlar non si possa di libertà. Egli distingue sagacemente la libertà giuridica dal libero arbitrio, distinzione non avvertita dai parteggiatori del principio della utilità, tutto il sistema de' quali riposa su questo gravissimo errore. La libertà giuridica è, nel sistema dell'Alighieri, la facoltà che compete ad ogni uomo di giudicare della rettitudine delle sue azioni: il libero arbitrio è dagli appetiti determinabile; dai quali appetiti la libertà giuridica non dee mai, per esser tale, prendere il proprio carattere. Definita per tal modo la libertà, egli la considera lo stato ottimo del genere umano.

>> La società civile è considerata dall Alighieri, nel suo vero filosofico punto di vista, il mezzo necessario a promuovere la civiltà umana, che egli fa consistere nel maggiore sviluppamento possibile dell' umano intelletto. La legge ne è il comento, e se tale non è, non merita il nome di legge la quale proposizione, riferendola alla definizione da lui data al diritto e alla libertà, significa che la legge è la espressione delle proporzioni o personali o reali tra gli uomini conviventi in società civile tra loro. >> (CARMIGNANI, loc. cit.)

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