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2,2), così il diritto vieta o tronca indagini nocive alla riverenza dovuta al coniugio.

21. Rimangono le cosi dette presunzioni di premorienza. A tale proposito devesi prima di tutto osservare, che non tutti i testi citati ordinariamente (Gadeke, de iure commorientum [1860] passim; Mühlenbruch Archiv für die civ. Pr. [1a s°] IV pag. 400 et al.; oltre i pandettisti) contengono deviazioni dalle norme consuete. Papiniano nel quarto libro dei suoi responsi (fr. 26 pr. D. 23, 4) tratta il caso, in cui siasi convenuto fra il suocero e il si filia mortua superche genero stitem filium habuisset, dos ad virum pertineret; quod si vivente matre filius obisset, vir dotis portionem uxore in matrimonio defuncta retineret., Avviene che mulier naufragio cum anniculo filio periit. Il giurista decide non essersi verificata la condizione di premorienza della madre e quindi dovere il marito contentarsi della portio. Ora ciò è l'unico possibile trattamento secondo i principî generali. Per far valere l'exceptio pacti contro l'azione del suocero che ridomanda la dote, [Ulp. 6, 4], il marito deve dimostrare che del patto si è avverata la condizione e cioè che il figlio è sopravissuto alla madre e appunto tale dimostrazione egli non può fornire. Non può dunque retinere e deve restituire la dote, salvo la portio, che secondo la convenzione in ogni evento gli compete. Non si vedrebbe dunque a che scopo siasi invocata una presunzione di premorienza, se non fosse per l'inciso, che ora leggesi nelle Pandette, "quia verisimile videbatur ante J matrem infantem perisse. Quest'inciso è molto importanteper conoscere lo spirito del diritto giustinianeo; ma a Papiniano (come risulta dalle osservazioni ora fatte) non può ap-partenere. Anche la forma (quia-videbatur-placuit) attesta la mano dei compilatori. Assai istruttivo è il commento di Stefano ad h. 1., che io traduco cosi: "Perchè sembra verosimile che nel naufragio il figlio sia morto prima della madre? Per la ragione, che è naturale che la madre più matura di consiglio e più atta a valersi di spedienti per la salvezza abbia preso una tavola o altro arnese di quelli che si trovavano nella nave e così abbia potuto alquanto resistere sperando salvarsi. Il figlio invece inetto a immaginare tali

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spedienti, anzi ignaro di quanto accadeva, nella ignoranza del caso [è naturale] che siasi abbandonato a morte più celere., Siffatti ragionamenti ben degni dei bizantini, ma indegnissimi di Papiniano (il quale, almeno, ove fosse sceso in questo campo così poco giuridico non avrebbe trascurato l'amore di madre che preferisce la salvezza del figlio alla propria) dimostrano sempre meglio l'origine dell'inciso. Trifonino [21 disp.] tratta l'ipotesi, che il liberto intestato e il figlio di lui sieno periti nella stessa circostanza [fr. 9 § 2 D. 34, 5], senza che si sappia chi sia premorto. Il giurista decide "patrono legitima defertur hereditas. „ La decisione è perfettamente consona ai principî generali. Infatti chi potrebbe contestare al patrono la successione del liberto se non quelli che sarebbero gli eredi del figlio? Ma come possono costoro sostenere tale diritto, se non provano che il loro autore le ha quesito e perciò trasmesso? Il patrono quindi non avrà niun ostacolo a ottenere l'eredità del liberto. Ora leggiamo ne' Digesti "nisi probatur supervixisse patri filius: hoc enim reverentia patronatus suggerente dicimus. Tutto ciò, è, come la sostanza e la forma chiaramente provano, emblema. Inutilissima la prima frase; giacchè si discute appunto del caso, che dimostrazione di premorienza non possa darsi; vana la seconda, poichè non è la riverenza del patronato che detta la decisione, bensì la natura stessa delle cose. Anche la questione trattata nel § 3 del frammento stesso è risolvibile coi principî generali. Marito o moglie muoiono simul (ossia nell'occasione medesima): circa la ripetizione della dote (totale o parziale) si osserverà quanto fu stipulato pel caso, che la moglie in matrimonio decesserit'o quanto fu stipulato pel caso in cui essa sopravivesse al marito? Evidentemente quelli, a cui favore le stipulazioni furon conchiuse, non possono provare che siasi avverata la condizione, donde pende la stipulazione più lata le cose devon dunque necessariamente regolarsi secondo l'ipotesi più favorevole al marito, risp. a' suoi eredi: l'ipotesi cioè che mulier in matrimonio decesserit. Alquanto diversa è l'ipotesi discussa da Ulpiano nel 2° libro fideicommissorum: fr. 18 § 7 D. 36, 1. Un fedecommesso si deve post mortem del fiduciario, se costui sine liberis decesserit. La quale clausola, come è noto

xisse.

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(p. e fr. 26 § 2 D. 28, 4) s'intende nel senso che la persona muoia senza lasciare figli superstiti. Il giurista si domanda che cosa debba dirsi nel caso di vera commorienza, quando cioè il fiduciario e l'unico suo figlio muoiono insieme, senza intervallo umanamente misurabile, p. e la stessa pietra gli schiaccia entrambi, contemporaneamente vengono uccisi in guerra etc. E correttamente decide che qui è adempiuta la condizione del fedecommesso, poichè "non est verum filium eius superviAppunto questa frase dimostra che il giurista pensa ad una effettiva e provata commorienza; egli non dice " perchè in questo caso non è provata, dimostrata la premorienza del padre,; ma dice addirittura "perchè NON È VERO che il padre sia sopra vissuto." - E così appare (per l'evidente contraddizione) fattura, almeno parziale, dei compilatori la chiusa: "aut igitur filius supervixit patri et extinxit condicionem (sic) fideicommissi, aut non supervixit et extitit condicio: cum autem quis antea et quis postea decesserit non apparet, extitisse condicionem fideicommissi magis dicendum est.„ Ma Ulpiano non aveva fatto le 3 ipotesi: che il figlio fosse premorto, fosse sopravissuto, che fosse incerto se premorto b sopravissuto; ma che fosse morto prima, morto dopo, morto insieme. Appare quindi dai citati testi, che i classici in questa materia non deviavano dalle regole generali. Il che non toglie che in qualche caso i principi, per costituzione personale, in via di favore e privilegio, considerassero come premorto o sopravissuto taluno, della cui premorienza si era incerti. Così lo stesso Trifonino fr. 9 § 1 c'informa che essendo morti padre e figlio nella stessa guerra, senza che si sapesse chi prima e chi dopo, e insistendo da una parte la madre, quale erede del figlio successore a sua volta del padre e dall'altra gli agnati paterni, quali eredi del padre, in via eccezionale concesse alla madre la successione: divus Hadrianus credidit patrem prius mortuum. — Ma tali disposizioni eccezionali non mutano lo stato del diritto, finchè i principî si limitano a concedere semel iterumque; niuno è autorizzato a seguire tali sentenze, che si ispirano alle specialissime circostanze del caso, p. e. la povertà della madre etc.

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22. A queste risultanze si oppongono tre passi, contenuti tutti nel titolo de rebus dubiis, che qui trascriviamo:

fr. 9 (10) § 4: si Lucius Titius cum filio pubere, quem solum testamento scriptum habebat, perierit, intellegitur supervixisse filius patri et ex testamento heres fuisse et filii hereditas successoribus eius defertur, nisi contrarium approbetur; quod si impubes cum patre filius perierit, creditur pater supervixisse, nisi et hic contrarium approbetur.

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fr. 22 (23) Jav. 5 ex Cassio Cum pubere filio mater naufragio periit; cum explorari non possit, uter prior extinctus sit, humanius est credere filium diutius vixisse.

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fr. 23 (24) Gai, 5 ad l. I. et P. Si mulier cum filio impubere naufragio periit, priorem filium necatum esse intellegitur.

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È veramente difficile il credere che i passi sieno fattura genuina dei classici. Si cominci ad osservare la forma del primo testo, ove il duplice approbetur risveglia i sospetti. Se Lucio Tizio sia morto etc. Quando mai i giuristi classici hanno esposto in tal guisa la fattispecie? Essi dicono così: "Lucius Titius cum filio pubera periit, filius patri supervi xisse intellegitur ; ovvero "Si pater cum filio pubere etc. Ma quando si trova usato il nome proprio in una formola, come quella che ci sta davanti, senza che preceda l'esposizione del caso a mo' di narrazione? Veniamo al secondo testo. Per qual motivo è più umano credere che il figlio pubere sia sopravissuto? Non si vede che ciò possa essere per gli effetti successorî. Per intrinseca verosimiglianza? Non ve n'è alcuna. Se un figlio quattordicenne subisce naufragio col padre trentenne, è meno improbabile che sia sopra vissuto il secondo, per maggiore energia e robustezza.

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Regole simili non possono avere altro fondamento che l'arbitrio di un legislatore; i giuristi romani (humanius est credere) avrebbero potuto stabilirle? Ma vi hanno ben più gravi considerazioni. Se queste regole fossero cosi antiche (le avrebbe già conosciute Cassio o almeno Giavoleno), come mai la questione è stata portata avanti ad Adriano, che la risolve come un caso specialissimo, come se niuna norma preesistesse [fr. 9 § 1 h. t.]? Come mai a proposito del caso, in cui il liberto muoia col

figlio, Trifonino ignora affatto la regola, che poi propone? Tra § 1, 2 e 4 del fr. 9 non regna contraddizione? Anche Ulpiano nel fr. 18 (17) § 7 cit. non potrebbe ignorare tale distinzione, se i testi quali oră si leggono fossero genuini; ma appunto, perchè assumendoli come genuini si avrebbero insolubili difficoltà, si riprova quello che per altra via risulta, che cioè i compilatori hanno introdotta una dottrina alle antiche fonti straniere. La distinzione tra puberi e impuberi si poteva trovare in queste, ma per ben altro motivo. Nel caso che morisse col padre un figlio impubere e s'ignorasse la relativa cronologia delle morti, a pretendere l'eredità poteva sorgere il sostituto; giacchè delle due l'una: o il figlio era sopravissuto al padre e il sostituto ne chiedeva la eredità ex capite substitutionis pupillaris o il figlio era premorto e il sostituto domandava l'eredità paterna capite ex substitutionis vulgaris implicita nella prima. Siccome nella ipotesi attuale il figlio non avrebbe potuto avere altri beni fuorchè i paterni, cosi tornava indifferente al sostituto l'una o l'altra delle due possibilità. Non cosi quando si tratta degli eredi proprî del figlio, come sempre se il figlio ha raggiumto la pubertà; qui, se gli eredi di lui non provano la premorienza del padre, nulla possono ottenere. Ben può quindi Trifonino avere statuita la distinzione, che poi dai compilatori fu adibita a altro fine. Non è invece da credersi che i classici facessero uguale distinzione nel caso che il figlio morisse colla madre; giacchè in tale ipotesi non c'era veruna differenza per gli effetti successorï, se il figlio morisse prima o poi. Infatti nè l'eredità della madre avrebbe potuto trovarsi in quella del figlio, nè viceversa; poichè, ancorchè vi fosse stata delazione, non poteva esservi acquisto. È anche questa una ragione, per cui non intendo come il giurista potesse scrivere "humanius est credere filium diutius vixisse I due passi (fr. 22, 23) si saranno riferiti a qualche fattispecie, che ora ignoriamo e avranno contenuta ben diversa soluzione; se infatti i giuristi si fossero proposta la questione in astratto, non è credibile che si limitassero a esaminare solo l'una delle due categorie.

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23. Concludendo il presente esame noi arriviamo al r

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