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IV.

Qualem ministrum fulminis alitem
Cui rex deorum regnum in avis vagas
Permisit expertus fidelem

Iuppiter in Ganymede flavo,

Olim iuventas et patrius vigor

Nido laborum propulit inscium

che io godo (quod placeo) », poichè quod è oggetto dell'uno e dell'altro verbo. Spiro e spiritus (cf. Carm. II, 16, 38) in questo senso sono metafore passate alla poesia dalla musica auletica, veramente spirante per gli esili fori del flauto. si placeo: correzione modesta e graziosa.

tuum: « tuo merito ».

IIII. Questa, pel suo svolgimento e per la robustezza della sua concezione una delle maggiori odi di Orazio, fu scritta per comando d'Augusto a celebrare le vittorie di Druso sui Reti e sui Vindelici nel 739 (Cf. Carm. IIII, 14). I Reti, un popolo il cui nome avanza anche oggi in quello di Alpi Retiche, abitavano presso a poco il moderno Tirolo, venendo però alquanto più in giù fino a Verona, i Vindelici a sud del Danubio e a nord dei Reti; ma il poeta dei due popoli e dei due nomi ha fatto un popolo e un nome solo con grande scandalo dei suoi interpreti che si affannarono più o meno tutti alla emendazione del v. 18. Druso era figlio di Livia e di Tiberio Claudio Nerone, suo primo marito: quindi figliastro dell'imperatore; ma carissimo a lui e più del fratello maggiore Tiberio gradito al popolo al quale pareva si rerum potitus foret, libertatem redditurus (Cf. Tacito, Ann. 1, 33). Morì di 29 anni in Germania nel 745, lasciando due figli, Germanico e Claudio che fu poi imperatore.

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1. Qualem alitem: accus. in dipendenza da propulit (v. 6), docuere (v. 8), Demisit (v. 10), Egit (v. 12). Alitem è sostantivo; quindi « l'uccello ». ministrum fulminis: apposizione di alitem. L'uccello «< che porge il fulmine » quasi uno scudiero è naturalmente l'aquila, Iovis armiger (Cf. Vergilio, Aen. V, 255). 2. regnum: « il suo regno » giacchè veramente di tutto e di tutti egli è re. Ma come a tutti i re avviene anche a lui di cedere ai suoi fedeli, quasi provincie, una parte della gran mole che su lui pesa. in avis vagas: « su gli errabondi uccelli ». 3. expertus fidelem: « sperimentatane la fedeltà 4. in Ganymede flavo: cioè « nel ratto del biondo Ganimede ». Cf. Carm. III, 20, 16.. 5. Olim. È etimologicamente da ille, arcaico olle ; onde significa propriamente illo tempore, il contrario di hoc tempore, e però « nei primi tempi », « da principio ». Che questo significato sia da riconoscergli qui, è dimostrato dalla successione degli avverbi iam (v. 7), mox (v. 9), Nunc (v. 11). Altri traducono « allora ». Ma non pare versione esatta chi rifletta che non iuventas et patrius vigor consigliarono l'aquila al mitico ratto, ma il comando del suo divino signore. - patrius vigor : « la robustezza ereditaria >>. È in certo modo qui anticipato il contenuto dei vv. 29-32. Ma in realtà gli uccelli di rapina cacciano essi stessi i loro figli dal nido. 6. propulit: « spinse ad uscire ». L'azione è vista nel passato, ma

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Vernique iam nimbis remotis
Insolitos docuere nisus
Venti paventem, mox in ovilia
Demisit hostem vividus impetus,
Nunc in reluctantis dracones

Egit amor dapis atque pugnae;
Qualemve laetis caprea pascuis
Intenta fulvae matris ab ubere

naturalmente così avviene e avverrà. 7-9. Vernique ... Venti: « i venti primaverili » che spirano meno violenti e per questo meglio adatti alle prime prove. Nel fatto pare però che gli aquilotti covati tardi nella primavera non possano volare fino al luglio. 7. iam: « già » cioè appena apparve su la sponda del nido. Il poeta vede. nimbis: dell'inverno. 8-9. docuere Paventem: : « insegnarono al pauroso ». Naturalmente non è intenzione del poeta muovere alla giovine aquila accusa di viltà. Il Paventem è solo un particolare pittorico, aggiunto a ritrarre la indecisione dell'uccello che allunga il collo e gira intorno la testa e osserva e spia, prima di abbandonarsi nella prima ora all'immenso vuoto. 9. mox: << senza indugio ». vividus impetus: impetuoso assalto ». Ma la sillaba vi ripetuta in principio due volte fa il breve emistichio imitativo del battere delle ali, così come i tre i lo fanno imitativo del sibilo che accompagna il rapidissimo volo. 11. Nunc « ora » sostituito sempre perchè il poeta vede, al naturale postremo. - reluctantis dracones. Il rettile che l'aquila porta via nei suoi artigli si divincola (luctatur) e cerca a sua volta (re-) di avvolgere il grande avversario nelle sue spire. Una pittura efficacissima dell'aquila lottante col serpente è nella Iliade (XII, 200 e segg.) e che quei versi avesse, scrivendo, presenti Orazio, dimostrato dall'uso di dracones per serpenti »: il testo greco ha doivηevτα dрάкоντа (v. 202). Il luogo omerico rimase celeberrimo in tutta l'antichità; ebbe la fortuna di una bellissima imitazione vergiliana (Aen. XI, 751 e segg.) e di una traduzione di Cicerone (De div. I, 47) che è tra i versi migliori che egli abbia fatti. Passò poi pel tramite vergiliano nella poesia moderna e dettò più volte versi non indegni delle sue origini e dello spettacolo grandioso. Si sentano questi alessandrini del signor di Voltaire nella prefazione della sua Rome sauvée: Tel on voit cet oiseau qui porte le tonnerre Blessé par un serpent elancé de la terre. Il s'envole, il entraîne au sejourˇazuré L'ennemi tortueux dont il est entouré. Le sang tombe des airs. Il déchire, il dévore Le reptile acharné qui le combat encore. Il le perce, il le tient sous ses ongles vainqueurs, Par cent coups redoublés il venge ses douleurs. Le monstre en expirant se débat, se replie; Il exhale en poisons les restes de sa vie ; Et l'aigle tout sanglant, fier et victorieux, Le rejette en fureur, et plane au haut des cieux. Se non che Omero e i suoi imitatori hanno attribuito all'aquila reale la caccia dei serpenti che è propria invece del circaetus Gallicus detto da noi << biancone ». - 12. amor dapis atque pugnae : « l'amore del banchetto (dapis = daιtós) e della lotta ». La fame sola l'aveva spinto prima contro l'agnello. 13. laetis ... pascuis: « agli ubertosi pascoli ». È dat. dipendente da Intenta del verso seguente. 14-15. fulvae matris ab ubere Iam lacte depulsum leonem: parole non assolutamente chiare,

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Iam lacte depulsum leonem
Dente novo peritura vidit:
Videre Raeti bella sub Alpibus
Drusum gerentem Vindelici (quibus
Mos unde deductus per omne
Tempus Amazonia securi
Dextras obarmet quaerere distuli
Nec scire fas est omnia) sed diu
Lateque victrices catervae

Consiliis iuvenis revictae

Sensere quid mens rite, quid indoles

giacchè il color fulvo si conviene tanto al leone quanto al capriuolo, il quale appartiene a quelle che i Francesi chiamano bêtes fauves. Alcuni pensano dunque che fulvae matris ab ubere sia da riferirsi alla caprea nominata nel verso antecedente. In tal caso ab sarebbe un equivalente di procul ab, una traduzione del greco άño, άпν, e il poeta avrebbe voluto insistere nel contrasto tra il capriuolo adulto e vile e il leone pargoletto e ardente. Altri invece considerano lacte depulsum come un equivalente del semplice depulsum cioè « divezzato » e non esitano a costruire fulvae matris ab ubere in dipendenza da lacte depulsum, riferendo tutto al leoncino « divezzato dalla mammella della fulva sua madre ». Altri infine, pur riferendo tutto al leoncino, ma trovando stranamente_oziosa come veramente sarebbe quella menzione del lacte nel verso 15 dopo quella delle mammelle nel v. 14, preferiscono intendere ubere come aggettivo da unirsi con lacte (quindi « divezzato dal copioso latte della sua fulva madre »). 16. novo: «novello ». 17. Videre. Supplisci talem. sub Alpibus: « ai piedi delle Alpi ». 18-22. (quibus... omnia): una parentesi che parve a molti così prosaicamente aliena dall'altezza lirica del resto che la soppressero, sostituendo al sed del v. 22 et. Ma potè bene il poeta, così fine nell'humour e così presente a se stesso anche nei momenti della maggior concitazione lirica, gettare da quelle altezze uno sguardo misericordioso sopra un ignoto comparatore di storia e di costumi (Ahi, ahi! quanto non riderebbe egli oggi e di altri e di me!). Qualcuno anzi ha pensato precisamente a Domizio Marso che fu autore di un'Amazonide e da uomo dotto come era potè abbandonarsi alle ricerche qui accennate. O forse anche volle Orazio prendersi garbatamente giuoco di chi gli consigliava di introdurre nella sua ode, imitando Pindaro che ama allargarsi in_narrazioni epiche, un mito che mettesse in relazione le Amazzoni con i Reti e i Vindelici armati come quelle di scure. 19-20. per omne Tempus: « attraverso tutta la storia >>. 21. obarmet: neologismo oraziano. distuli: « differii ». Avverti l'ironia, chè il poeta non se ne occuperà mai. 22. sed. Il corso naturale del periodo fu rotto e, come avviene anche in prosa, la ripresa dopo la parentesi è segnata dal 22-23. diu Lateque: da unirsi con victrices.

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sed. 23. catervae: « orde ». 24. Consiliis iuvenis: « dal senno di un giovine ». Le parole sono in antitesi e tra loro, giacchè il senno sia o paia più proprio dei vecchi, e col catervae antecedente, che esclude ogni idea di ordine e di governo. revictae: « vinte alla loro volta ».

25. Sen.

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Nutrita faustis sub penetralibus
Posset, quid Augusti paternus
In pueros animus Nerones.
Fortes creantur fortibus et bonis:
Est in iuvencis, est in equis patrum
Virtus neque imbellem feroces

Progenerant aquilae columbam;
Doctrina sed vim promovet insitam
Rectique cultus pectora roborant;
Utcumque defecere mores,

Indecorant bene nata culpae.

Quid debeas, o Roma, Neronibus

Testis Metaurum flumen et Hasdrubal

...

sere: «provarono ». mens: « una mente ». - rite: « dovutamente ». Ma così questa parola come le seguenti faustis e penetralibus appartengono al linguaggio sacro e furono scelte indicare la educazione religiosa che il principe aveva ricevuto nella casa del pio imperatore. indoles: « un carattere ». — 26. sub: « all'ombra di ». 27. paternus: << sollecito », « amoroso », ma indica il massimo grado della sollecitudine e dell'amore. Ne dipende il seguente in. 28. in pueros Nerones: « verso i Neroni nella loro fanciullezza ». Nerones: Tiberio e Druso; ma non senza allusione forse all'etimologia del vocabolo quo significatur lingua Sabina fortis ac strenuus (Svetonio, De vita Caes. III, 1). 29. Fortes creantur fortibus et bonis. Questo punto su cui è poeticamente insistito nei tre versi seguenti, con la sua limitazione per riguardo alle speciali circostanze e ad Augusto nei vv. 33-36, è veramente il punto capitale dell'ode. A lui converge e viene in lui riassunto quanto fu detto fin ora; d'altra parte a lui fa capo il racconto che si svolgerà a guisa dei miti pindarici nei vv. 37-72 formando il corpo dell'ode. 31. Virtus: « la maschia anima ». — imbellem - neque : « ma non ». feroces. Nota la collocazione delle parole a porre in maggior evidenza il loro contrasto ideale (così più sotto hai aquilae columbam) e ricorda Teognide (537-538): Οὔτε γὰρ ἐκ σκίλλης ῥόδα φύεται οὐδ ̓ ὑάκινθος Οὔτε ποτ ̓ ἐκ δούλης τέκνον ἐλευθέριον. 33. Doctrina: « l'educazione ». Lo stesso pensiero ricorre in Cicerone, Pro Archia 15: Cum ad naturam eximiam accesserit ratio quaedam conformatioque doctrinae, tum illud nescio quid praeclarum ac singulare solet exsistere. Ma i commentatori preferiscono un raffronto euripideo (Iph. in Aul. 561 e sgg.): Τροφαί θ' αἱ παιδευόμεναι Μέγα φέρουσ' εἰς τὰν ἀρετάν. 35. Utcumque: forse col significato locale che vedemmo in Carm. II, 17, 10. defecere. Non è adoperato assolutamente, ma, non meno che indecorant, regge il seguente bene nata. mores: « la sana morale ». 36. Indecorant: « macchiano >>. 37. Quid debeas: « del bene che tu Neronibus: cioè alla stirpe dei Neroni alla quale apparteneva C. Claudio che console nel 547 riportò sopra Asdrubale l'insigne vittoria di Sena. 38, Metaurum flumen: « il corso del Metauro » poichè anche i nomi dei fiumi, come quelli dei popoli (Cf. Epod. V. 76) o degli

devi ».

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terrore.

Devictus et pulcher fugatis

Ille dies Latio tenebris
Qui primus alma risit adorea,
Dirus per urbes Afer ut Italas
Ceu flamma per taedas vel Eurus
Per Siculas equitavit undas.
Post hoc secundis usque laboribus
Romana pubes crevit et impio
Vastata Poenorum tumultu

Fana deos habuere rectos

Dixitque tandem perfidus Hannibal:
<< Cervi luporum praeda rapacium
Sectamur ultro quos opimus

Fallere et effugere est triumphus.

eponimi (Cf. Carm. I, 15, 10) sono talvolta adoperati in cambio degli aggettivi che ne derivano. Cf. Carm. II, 9, 21. 39. pulcher: «luminoso >>. Cf. Carm. IIII, 2, 47.- 40. Latio: dat. retto dal seguente risit. 41. alma: qui « ristoratrice » dopo la Trebbia e il Trasimeno e Canne. adorea : « gloria ». Cf. Plinio, Nat. Hist. XVIII, 14: gloriam... a farris honore... adoream appellabant, o perchè si facesse ai soldati più valorosi dopo la vittoria una distribuzione di grano (ador) o perchè gli antichi, come Festo dice: gloriosum eum putabant esse, qui farris gloria abundaret. L'arcaismo fu naturalmente usato per aggiungere al contesto epica gravità. 42. Dirus... Afer: singol. collettivo, giacchè non può vedersi qui designato Annibale il cui nome è più sotto. ut: « da quando ». 43. Ceu: forma poetica per ut comparativo, qui del resto impossibile dopo il precedente ut temporale. taedas: « faci resinose ». 44. equitavit. In verità fu la cavalleria numidica che riempì l'Italia di 45. Post hoc: « da allora in poi ». secundis usque laboribus: dat. di moto (= « a sempre prosperi cimenti ») o ablat. strum. (= « in virtù di sempre prosperi cimenti »>). 46. crevit: « fu alle47. Poenorum tumultu. Veramente maiores nostri tumultum Italicum quod erat domesticus, tumultum Gallicum quod erat Italiae finitimus, praeterea nullum nominabant (Cicerone, Phil. VIII, 1). S'intendeva dunque per tumultus la sedizione interna, la guerra nata in casa e non parrebbe possibile parlare (in verità volgarmente se ne parlava, secondo l'allegato luogo di Cicerone) di Poenorum tumultus. Ma il poeta nel suo libero linguaggio non si tenne legato a queste distinzioni. 48. habuere rectos. S'intende usque. Ma non fu veramente così, se il poeta potè levare i lagni di Carm. III, 6, 1-4. 49. Dixitque: « e fu costretto a dire ». perfidus: «sleale ». Cf. Carm. III, 5, 33. 50. luporum: con allusione forse alle favolose origini dei vincitori. praeda: cioè futuri praeda, « destinati ad essere preda ». 51. ultro: qui « ancora», «per giunta ». 51-52. opimus... triumphus: << nobilissimo trionfo ». L'espressione fu coniata dal poeta su l'analogia di spolia opima; del resto in lui come in Vergilio opimus ha costantemente il significato

vata ».

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