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PROPRIETÀ LETTERARIA

Torino Stabilimento Tipografico VINCENZO BONA (8361).

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C2

1900

V.2
MAIN

I. Il poeta ha saputo che Asinio Pollione attende a una storia delle guerre civili: forse anche Pollione, il quale secondo Seneca (Controv. IIII praef.) primus omnium Romanorum advocatis hominibus scripta sua recitavit, ne aveva letto in sua presenza una parte. Comunque Orazio coglie l'occasione per felicitare l'illustre amico della sua operosità gloriosa e molteplice. C. Asinio Pollione nacque nel 678 e fu amico nella sua giovinezza di Catullo e dei poeti della sua scuola, da uno dei quali, Cinna, ebbe un Propempticon. Console nel 714, guerreggiò nel 715 come proconsole contro i Partini della Dalmazia che avevano sposato la causa di Bruto e di Cassio, e ne trionfò. Più tardi, invitato da Ottaviano a seguirlo nella guerra contro Antonio, si rifiutò, rispondendo: Mea in Antonium maiora merita sunt, illius in me beneficia notiora. Itaque discrimini vestro me subtraham et ero praeda victoris (Velleio Patercolo II, 86). E da allora non si occupò più di politica, dandosi tutto agli studii. Egli ha il merito di aver fondato in Roma col bottino della vittoria del 715 la prima biblioteca aperta al pubblico, dal quale anche spectari monimenta sua voluit (Plinio, Nat. Hist. XXXVI, 33), una splendida collezione di statue, delle quali giunse a noi il gruppo del supplizio di Dirce, detto volgarmente del Toro farnese. Orazio lo celebra in questa ode, oltrechè come storico, come uomo politico e capitano (vv.14-16), poeta tragico (vv. 9-12) e oratore forense (v. 13). Come poeta tragico riscosse anche le lodi di Vergilio: Sola Sophocleo tua carmina digna coturno (Ecl. VIII, 10), come oratore fu durus et siccus secondo l'autore del dialogo De Oratoribus (cap. XXI), ma ebbe secondo Quintiliano (X, 1, 113) multa inventio, summa diligentia, consilii et animi satis. Le sue Storie, che trattavano in 17 libri delle guerre civili a partire dal primo triumvirato, servirono di fonte ad Appiano e a Lucano. La data dell'ode è affatto incerta (cf. al v. 5).

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1. Motum: « la discordia ». - ex Metello consule: dal consolato cioè di Q. Cecilio Metello Celere e di L. Afranio nell'anno 694, quando fu concluso il primo triumvirato. civicum: forma dell'arcaico e poetico civicus che, in luogo del comune civilis, ricorre in prosa quasi soltanto nella espressione già fatta corona civica. Orazio ha anche hosticus per hostilis. Cf. Carm. III, 2, 6. 2. Bellique. Nota come i que servano ad unire tra loro i varii argomenti che la storia di Pollione si propone, ORAZIO, Liriche, comm. da V. USSANI, vol. II.

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281018

1

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Ludumque Fortunae gravisque
Principum amicitias et arma
Nondum expiatis uncta cruoribus,
Periculosae plenum opus aleae,
Tractas et incedis per ignes
Suppositos cineri doloso.

Paulum severae Musa tragoediae
Desit theatris: mox, ubi publicas
Res ordinaris, grande munus
Cecropio repetes coturno,
Insigne maestis praesidium reis
Et consulenti, Pollio, curiae,
Cui laurus aeternos honores

Delmatico peperit triumpho.

Iam nunc minaci murmure cornuum

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gli et i particolari, direi quasi, di ciascun argomento. causas: l'invidia di Pompeo per i successi di Cesare, l'ambizione in Cesare di diventare il primo cittadino di Roma (Cf. Lucano I, 121 e sgg.). Forse anche il poeta pose mente a quei publica belli Semina, quae populos semper mersere potentes, di cui nello stesso lib. I, v. 158 e segg. parla con tanta eloquenza Lucano. vitia: «gli errati metodi ». modos: « le fasi ». 3. Ludumque Fortunae. La fortuna fa infatti suo « giuoco » le sorti degli uomini (Cf. Carm. III, 29, 49 e sgg.). Il poeta ha in mente la tragica fine di tutti tre i triumviri. 4. Principum: cioè dei triumviri. 5. Nondum expiatis. Da queste parole trassero alcuni argomento a supporre l'ode composta prima del 713, quando, secondo loro, la battaglia d'Azio avrebbe espiato ogni colpa anteriore. La cosa è appena possibile, chi rifletta alla superiorità metrica di quest'ode su la 37 del lib. I scritta subito dopo quella battaglia. 6. Periculosae

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7-8. in

plenum aleae: « piena di rischio come il giuoco dei dadi ». · cedis per ignes... doloso. È una frase proverbiale che acquista qui un valore speciale, perchè il poeta allude a quegli strascichi di odii e di rancori che, necessariamente sopravvissuti in Roma alle guerre, potevano divampare contro lo scrittore costretto ad apprezzamenti e giudizi non gradevoli a tutti. 9. Paulum: raramente, come qui, per parumper.

10. Desit: « manchi », più delicato che non absit: stia lungi », in quanto non si contiene in questo secondo verbo quel senso di rimpianto che è nel primo. 10-11. publicas Res: «i fasti della repubblica » per opposto ai facta regum, che, secondo le parole di Orazio stesso (Sat. 10, 43), erano il tema delle tragedie di Pollione. 12. repetes: « tornerai a ». È futuro concessivo, come lo Scriberis di Carm. Í, 6, 1. Cecropio coturno; « col coturno di Cecrope» ossia con lo stile della tragedia ateniese ». 13. praesidium. Quasi tutti i titoli delle orazioni di Pollione giunti a noi sono titoli di orazioni a difesa. 14. consulenti curiae: « al senato deliberante ». - 17. Iam nunc. Se Orazio non conosceva ancora nulla dell'opera di Pollione, come è pos

...

20

Perstringis auris, iam litui strepunt,
Iam fulgor armorum fugacis

Terret equos equitumque vultus.
Audire magnos iam videor duces
Non indecoro pulvere sordidos

Et cuncta terrarum subacta

Praeter atrocem animum Catonis.

tolio ».

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sibile, hai nelle tre strofe seguenti, quasi direi, il vaticinio della grande efficacia rappresentativa che avrà l'opera futura. Se Orazio invece aveva assistito già alla lettura di qualche passo del libro, hai non il vaticinio, ma il riconoscimento e l'annunzio della viva impressione che quella lettura aveva lasciato nell'animo dell'ascoltatore. murmure: « broncornuum. Il cornu era un corno curvo, affatto distinto dalla tuba diritta e dal lituus piegato alla estremità larga. È probabile (cf. Carm. I, 1, 23) che la tuba appartenesse alla fanteria e il lituus alla cavalleria. Quanto al cornu, pare che appartenesse anch'egli alla fanteria, a cui dava i segnali o da sè o insieme con la tuba. Vegezio dice che quoties movenda sunt signa, cornicines canunt: quoties autem pugnatur, et tubicines et cornicines canunt. 18. Perstringis. Dal significato di << serrare nel pugno » discende in stringere quello di « rasentare » (cf. stringere gladium) e da questo quello di « offendere » che riscontri, per esempio, in praestringere aciem oculorum « abbagliare ». Qui dunque Perstringis: « offendi », « laceri ». 19. fugacis: prolettico per ita ut fugiant. 20. equitumque vultus. Le parole fanno pensare alla giornata di Farsalo, dove, secondo il racconto di Floro (IIII, 2, 50), Cesare avrebbe ordinato ai suoi cavalieri germani di ferire i giovani cavalieri romani alla faccia (Miles, aciem feri). Così anche Plutarco il quale racconta (Caes. 45) che i giovani così minacciati où ... ǹveíxovto Tŵv úσoŵv ἀναφερομένων οὐδ ̓ ἐτόλμων ἐν ὀφθαλμοῖς τὸν σίδηρον ὁρῶντες, ἀλλ ̓ ἀπεστρέφοντο καὶ συνεκαλύπτοντο φειδόμενοι τῶν προσώπων. dire ... duces. Alcuno volle vedere in questo verso un accenno alle concioni dei capitani che secondo la maniera degli antichi storici si dovevano riscontrare nel libro di Pollione, o anche, pensando al verso seguente, agli ordini impartiti tra l'infuriare della battaglia. Ma questa interpretazione, per mettere poi in dipendenza da Audire, come è necessario, il cuncta terrarum subacta del v. 23, è costretta ad ammettere uno zeugma quasi intollerabile. Meglio intendere Audire nel senso di « sentir raccontare (da te) ». 22. sordidos: « lordi ». 23. cuncta terrarum: genitivo ipotattico per cunctas terras. Questo uso del genitivo ipotattico, cioè di un genitivo maschile o femminile congiunto con un aggettivo plurale neutro, il quale prende il caso che avrebbero avuto nella comune costruzione attributiva sostantivo e aggettivo insieme, non raro nel Greco, è più frequente nel Latino, specialmente nella poesia e nella prosa da Tito Livio in poi. Cf. acuta belli (Carm. IIII, 4, 76) e amara curarum (Carm. IIII, 12, 19). 24. atrocem: « crudele contro sè ». animum. Nota il particolare valore che vien qui ad assumere la parola animus: il corpo di Catone soggiacque alla volontaria morte, l'anima rimase invitta. Catone l'Uticense, che rimase uno degli esempi favoriti dello stoicismo romano, doveva essere lodato nelle storie di Pollione come v'erano lodati Bruto

21. Au

25

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35

Iuno et deorum quisquis amicior
Afris inulta cesserat impotens
Tellure, victorum nepotes
Rettulit inferias Iugurthae.

Quis non Latino sanguine pinguior
Campus sepulcris impia proelia
Testatur auditumque Medis
Hesperiae sonitum ruinae?

Qui gurges aut quae flumina lugubris
Ignara belli? quod mare Dauniae
Non decoloravere caedes?

Quae caret ora cruore nostro?

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cesserat:

e Cassio (Tacito, Ann. IIII, 34). 25. Iuno. La tradizione che della implacabile nemica dei Troiani fece la protettrice di Cartagine risale forse alle guerre puniche stesse, giacchè, secondo Servio (Ad Aen. XII, 841), Scipione Africano Minore portò egli stesso sacris quibusdam a Roma dalla città vinta l'immagine della dea. La credenza dove nascere da una identificazione di Giunone con la dea fenicia Astarte. << s'era ritirata ». Gli dèi protettori si ritirano, secondo la credenza antica, dalle terre conquistate. Così alla presa di Troia Excessere omnes adytis arisque relictis Di (Vergilio, Aen. II, 351-352), e nella presa di Gerusalemme, secondo Tacito (Hist. V, 13), exapertae repente delubri fores, et audita maior humana vox, excedere deos; simul ingens motus excedentium. Questa vox ci fu conservata nel Bellum Iudaicum di Giuseppe Flavio (VI, 5, 3): μεταβαίνωμεν ἐντεῦθεν. impotens qui nel suo significato abituale di « impotente ». 27. victorum nepotes. Il poeta pensa in genere a tutti gli uccisi di Tapso; ma in ispecie al comandante delle forze repubblicane, Q. Metello Scipione, nepote di Q. Metello Numidico il vincitore di Giugurta. Egli dopo la disfatta si tolse la vita. 28. Rettulit. Re- in composizione ha spesso il senso di « dovutamente ». Cf. redde lovi dapem in Carm. II, 7, 17. 29. pinguior. Cf. Vergilio, Georg. I, 491-492: : sanguine nostro Emathiam et latos Haemi pinguescere campos. 30. sepulcris: « coi tumuli» che segnano il luogo della battaglia. impia: «fratricide ». 31. Medis: cioè, dai Parti, scelti qui per la doppia ragione e della loro remota posizione geografica e dell'odio contro i Romani, che li farà, quanto altri mai, a quel fragore (sonitum) esultare di gioia. 32. Hesperiae: nello stesso tempo « italica » e « occidentale >> con efficace contrapposto a Medis. 33. gurges. Non può qui, come altrove (cf. Carpathius gurges in Vergilio, Georg. IIII, 387) esser posto per mare, poichè questa parola ricorre nel verso seguente; ma si deve intendere probabilmente stretto» con allusione, di più, alla violenza delle correnti che agitano i bracci di mare. Il poeta può aver pensato alla battaglia di Messana o a quella di Azio. - 34. Dauniae: cioè apule (cf. Carm. I, 20, 14) e per sineddoche italiche. La sineddoche è naturale, poichè tra gli Apulie i Marsi si reclutava il nerbo delle legioni romane (cf. Carm. III, 5, 9). 35. decoloravere: « guastarono l'azzurro ». Cf. Seneca (Quaest. nat. II, 41): decoloratur id cuius color vitiatur, non mutatur.

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