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Sed ne relictis, Musa procax, iocis
Ceae retractes munera Neniae:

Mecum Dionaeo sub antro

Quaere modos leviore plectro.

II.

Nullus argento color est avaris
Abdito terris, inimice lamnae

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37. Sed. Con l'ultima strofe l'ode precipita con un volo icario dalle altezze a cui si era levata. La mano dell'artefice, nel dar gli ultimi tocchi all'opera, tremò. - procax: « scollacciata ». 37-38. ne retractes: imperativo proibitivo. Cf. Carm. I, 11, 1. Ceae... munera Neniae: «i doni della Nenia di Ceo ». Il plurale munera nel senso di epra è sconosciuto ad Orazio, che adopera in quel significato munia (cf. Carm. II, 5, 2). La Nenia di Ceo è la personificazione della triste poesia di Simonide, alla quale Orazio pose questo nome su l'analogia della personificazione romana della nenia (secondo Festo, carmen, quod in funere laudandi gratia cantatur ad tibiam) che ebbe pure un tempio fuori della porta Viminale. Naturalmente i doni di Nenia sono le neniae, gli epĥvoi stessi.

39. Dionaeo sub antro. Secondo una versione mitica, Venere ebbe per madre Dione figlia dell'Oceano e di-Teti (Theog. 353). 40. leviore plectro: cioè, in uno stile e sopra argomenti men gravi. H. Il poeta loda C. Sallustio Crispo dell'uso che egli fa delle sue ricchezze. Di questo C. Sallustio racconta Tacito all'anno della sua morte (773): Crispum equestri ortum loco C. Sallustius, rerum Romanarum florentissimus auctor, sororis nepotem in nomen adscivit. Atque ille, quamquam prompto ad capessendos honores aditu, Maecenatem aemulatus sine dignitate senatoria multos triumphalium consulariumque potentia anteit, diversus a veterum instituto per cultum et munditias, copiaque et affluentia luxu propior. Suberat tamen vigor animi ingentibus negotiis par, eo acrior, quo somnum et inertiam magis ostentabat. Igitur incolumi Maecenate proximus, mox praecipuus, cui secreta imperatorum (Augusto, cioè, e Tiberio) inniterentur et interficiendi Postumi Agrippae conscius, aetate provecta speciem magis in amicitia principis quam vim tenuit (Ann. III, 30). Aveva in Roma gli horti Sallustiani (Tacito, Hist. III, 82) ereditati dal padre adottivo e miniere di rame nel territorio alpino dei Centroni, il metallo delle quali ebbe gran pregio e prese da lui il nome di aes Sallustianum (Plinio, Nat. Hist. XXXIIII, 3). La data della poesia, o almeno il terminus post quem della sua composizione, può argomentarsi dalla quinta strofe. Infatti, come fu detto a Carm. I, 19, Fraate ricuperò definitivamente il trono dei Parti nel 728. 1-2. Nullus terris: ricordo di un verso giambico conservatoci da Plutarco (Περὶ δυσωπίας, 10): Οὐκ ἔστ ̓ ἐν ἄντροις λευκός, ὦ ξέν ̓, ἄργυρος. argento: nel doppio senso di argento allo stato naturale, e di « argento coniato », « denaro », il quale resta sempre, a detta del poeta, eguale al primo, cioè come se fosse abdito terris, quando non brilli in un saggio uso (cf. vv. 3-4). Nota dunque che l'Abdito terris del v. 2 ha il valore di una proposizione relativa: qui est abditus terris (un prosatore avrebbe aggiunto anche

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Crispe Sallusti, nisi temperato
Splendeat usu.

Vivet extento Proculeius aevo
Notus, in fratres animi paterni:
Illum aget pinna metuente solvi
Fama superstes.

Latius regnes avidum domando

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ut ita dicam) che è poi l'apodosi della protasi ipotetica la quale chiude la strofe. avaris: perchè la terra solo a costo di grandi fatiche si lascia strappare i tesori chiusi nelle sue viscere. - inimice lamnae: apposizione al vocativo seguente, quasi per chiamare a testimone della sentenza prima enunciata il magnifico signore a cui è rivolta l'ode. Lamina (cf. per la sincope Epod. VIIII, 1) è propriamente una striscia sottile di metallo. Ma qui la parola è adoperata à significare in senso di sprezzo il metallo prezioso, ancora grezzo e informe, e perciò inutile all'uso. 3. Crispe Sallusti. inversione non rara del nome e del cognome. Cf. Carm. II, 11, 2. 5. extento aevo: « ad una lunga età ». E dativo retto da Notus del verso seguente. Proculeius: C. Proculeio Varrone Murena, fratello di Terenzia moglie di Mecenate e di L. Licinio Murena, di cui vedi all'ode decima di questo libro stesso. Fu amico, e dei fidi, di Ottaviano che gli affidò la cattura di Cleopatra (Dione LI, 11; Plutarco, Ant. 77-79) e pensò fino di dargli in isposa sua figlia Giulia (Tacito, Ann. IIII, 40). È qui citato per quel suo grande atto di generosità, pel quale, secondo gli scoliasti, egli avrebbe diviso le proprie sostanze coi fratelli che erano rimasti privi delle loro nelle guerre civili. Questi fratelli sono chiamati negli scolii Murena e Scipione, evidente corruzione del cognomen di Fannio Čepione, che fu compagno a Murena nella congiura del 732 contro la vita di Augusto. Ma da questa compagnia non segue davvero che i due fossero fratelli. Piuttosto può pensarsi che il fratres di Orazio si riferisca a Licinio Murena e a Terenzia la quale potè esser tratta anche essa nella rovina dell'ambizioso e irrequieto fratello. La data della morte di Proculeio ci è ignota. Plinio però (Nat. Hist. XXXVI, 183) ce ne tramanda la maniera, che fu un suicidio in stomachi dolore gypso poto. 6. animi paterni: genit. di qualità. -7. aget: « leverà in alto >>. pinna. Poichè le parole sono alate, πτЄρÓεντα, alata è anche la fama che le personifica. Ricorda la nota prosopopea di Aen. III, 173 e sgg. metuente solvi. Metuere nel senso di farsi scrupolo di » hai in Carm. IIII, 5, 20: Culpari metuit fides. Da questo significato è facile il passaggio a quello che metuere ha qui di « evitare » « sfuggire ». metuente solvi dunque: « che sfugge alla dissoluzione» o « alla morte ». Solvi, che indica propriamente il rilasciamento di ogni tensione nervosa e muscolare, per « morire » è anche in Vergilio, Aen. XII, 951: solvuntur frigore membra. 9. regnes. Bada che questa seconda persona non è affatto rivolta a Sallustio, maestro, pare, di quest'epicureismo sapiente, che prende quasi veste e figura di stoicismo (ricorda il sesto paradosso ciceroniano: oτi μóvos dσopòs Thοúσios), ma al lettore in generale. Traduci Latius regnes : « Sarai più gran re». L'immagine del re a significare il sapiente, ricorre altre due volte, per quanto come aperta beffa delle dottrine stoiche, in Orazio. Cf. Sat. 1, 3, 125 ed Epist. I, 1, 107. domando: cioè si domes.

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Spiritum quam si Libyam remotis
Gadibus iungas et uterque Poenus
Serviat uni.

Crescit indulgens sibi dirus hydrops
Nec sitim pellit, nisi causa morbi
Fugerit venis et aquosus albo
Corpore languor.

Redditum Cyri solio Prahaten
Dissidens plebi numero beatorum
Eximit virtus populumque falsis
Dedocet uti

Vocibus, regnum et diadema tutum
Deferens uni propriamque laurum
Quisquis ingentis oculo inretorto
Spectat acervos.

10. Spiritum: « la passione ». — Libyam: paese di vaste e fertili terre. Cf. Carm. I, 1, 10.- remotis: perchè all'estremo limite del mondo, segnato dalle colonne d'Ercole. 11. iungas: non come re, giacchè nel regnes di sopra non è inclusa, come abbiamo visto, nessuna idea di sovranità territoriale, ma come possessore. Così Trimalcione in Petronio, 48: nunc coniungere agellis Siciliam volo, ut cum Africam libuerit ire per meos fines navigem. uterque Poenus: i Cartaginesi d'Africa e quelli delle colonie spagnuole. 12. Serviat: non come suddito, ma come servus rusticus. 13. dirus: qui « sciagurato ». — - hydrops: su l'analogia del greco pwy che ammette i due significati, per riguardo a Crescit ha valore di « idropisia » e per riguardo a pellit ha quello di « idropico ». 17. Cyri solio. Orazio fa un solo popolo dei Parti e dei Persiani, dei quali Ciro fu re (Cf. Carm. I, 2, 22). 18. beatorum. Il verso è unito per sinafia col verso seguente. Nota che beatus ha qui, come in Epod. IÌ, 1 senso insieme di « ricco » e di « felice ». Il volgo (plebs) grida dunque beatus Fraate, di cui sente magnificare le ricchezze, ma lo sottrae dal numero dei beati la virtus, cioè « l'opinione degli uomini virtuosi » la quale sa, secondo il paradosso stoico citato e da Orazio adattato al suo eclettismo, ὅτι μόνος ὁ σοφός πλούσιος. 19. populum. È in fondo lo stesso che plebs del verso antecedente. Ma in plebs (cf. πnlos, πiμπλημι, pleo, onde plebs quelli che riempiono lo stato) v'è qualche cosa di meno augusto che non in populus quelli che esercitano i diritti civili). Perciò il poeta chiama plebs nel v. 18 la moltitudine in quanto giudicando dalle apparenze applaude alla beatitudo di Fraate, e populus nel v. 18 la moltitudine in quanto si ricrede dell'errato giudizio prestando orecchio ai sapienti. Puoi tradurre nel primo caso « la piazza »>, nel secondo la gente ». — 21. Vocibus: «dizioni ». diadema : διάδημα, la fascia azzurra ricamata di bianco che cingeva la tiara dei re persiani. 22. propriam: « che non può esser rapito ». laurum: cioè la corona d'alloro che si cingeva alle tempie dei vincitori. L'ha metaforicamente colui che domò le cupidigie del suo spirito (cf. v. 9). 23. inretorto: cioè non obliquo, ossia fuor di metafora « non turbato », « non invido ». 24. acervos: « cumuli » d'oro.

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III.

Aequam memento rebus in arduis
Servare mentem, non secus in bonis
Ab insolenti temperatam

Laetitia, moriture Delli:

Seu maestus omni tempore vixeris,
Seu te in remoto gramine per dies
Festos reclinatum bearis

III. Il contenuto della poesia è il medesimo di un noto luogo di Cicerone: In rebus nostris et ad voluntatem nostram fluentibus superbiam, fastidium arrogantiamque magno opere fugiamus: nam ut adversas res sic secundas immoderate ferre levitatis est: praeclaraque est aequabilitas in omni vita et idem semper vultus eademque frons. (De officiis I, 26). Ma le ragioni con le quali il poeta conferma il precetto nelle prime due strofe sono diverse da quelle che avrebbe addotte uno stoico. L'ode è indirizzata a Q. Dellio, quel Dellio quem Messalla Corvinus desultorem bellorum civilium vocat, quia a Dolabella ad Cassium transiturus salutem sibi pactus est, si Dolabellam occidisset, et a Cassio deinde transivit ad Antonium, novissime ab Antonio transfugit ad Caesarem (Seneca, Suas. I, 7). Da Antonio dovette però fuggire, perchè παρέκρουσε δὲ Κλεοπάτρᾳ παρὰ δεῖπνον εἰπὼν αὑ τοῖς μὲν ὀξίνην ἐγχεῖσθαι, Σάρμεντον δὲ (lo scurra di Sat. 1, 5, 52) πíveiv év Pwμn Paλepivov (Plutarco, Ant. 59), se pure non lo indussero alla fuga quelle epistulae ad Cleopatram lascivae di cui parla Seneca nel luogo citato. Orazio potè conoscere Dellio al campo degli uccisori di Cesare in Grecia, e la famigliarità dei due si spiega con l'amore per le lettere di Dellio, autore lui stesso d'una storia della spedizione di Antonio contro i Parti (Strabone XI, 523).

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1. Aequam ... arduis. C'è un'antitesi nelle parole, presso a poco come se in Italiano si dicesse: Allorchè si fa ripido il sentiero della vita, mantieni sempre la tua anima ad un livello eguale. 3. insolenti: « pazza ». Non ritenerlo come un attributo costante, un epitheton ornans a Laetitia del seguente verso, sicchè ne risulti che ogni gioia sia folle. Insolens determina invece una specie di laetitia che si ha cum inaniter et effuse animus exsultat, cioè la laetitia gestiens di Cicerone (Tuscul. IIII, 6). temperatam: retto da un sottinteso servare memento. Che non si possa, come altri vorrebbero, intendere non secus in bonis Laetitia come un'aggiunta attributiva a mentem risulta chiaro dalla doppia ipotesi dei vv. 5-6: Seu maestus omni tempore vixeris Seu te in remoto gramine etc. 6. in remoto gramine: « su un prato lontano ». Cf. Epod. II, 11. La verde solitudine tranquilla era per Orazio necessaria condizione di felicità. 6-7. per dies Festos: « ogni giorno festivo ». Cf. per autumnos in Carm. II, 14, 15; per exactos annos in Carm. III, 22, 6. Dies festi sono lo stesso che dies feriati e formavano parte dei dies nefasti nei quali non era lecito render ragione. Questi erano segnati nel calendario NP (nefastus feriae publicae?) ed erano 60 o 70 nell'anno al tempo di Orazio, oltre quelli non pochi, specialmente d'autunno, dei varii ludi.

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Interiore nota Falerni.

Quo pinus ingens albaque populus
Umbram hospitalem consociare amant
Ramis? Quid obliquo laborat

Lympha fugax trepidare rivo?

Huc vina et unguenta et nimium brevis
Flores amoenae ferre iube rosae,

Dum res et aetas et sororum

Fila trium patiuntur atra.
Cedes coemptis saltibus et domo
Villaque flavus quam Tiberis lavit:
Cedes et exstructis in altum
Divitiis potietur heres.

Divesne prisco natus ab Inacho
Nil interest an pauper et infima
De gente sub divo moreris,

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8. Interiore nota Falerni: lo stesso che interiore Falerno, cioè « col Falerno più antico », giacchè vinum interius è propriamente quello che si trova nella parte più interna della cantina, cioè quello che vi fu da più tempo deposto. Nota è propriamente il bollo col nome del console dell'anno, che si faceva su le anfore di terra. A quelle di vetro si attaccava una tavoletta con l'indicazione. 9. Quo: « A che ». pinus ingens albaque populus. Il doppio contrasto tra l'esile pioppo bianco e il fosco pino gigantesco è indicato, alla maniera di Orazio, con un aggettivo solo del colore e uno solo della grandezza, attribuiti, uno al pino (ingens), l'altro al pioppo (alba). I due sottintesi, cioè « fosco » ed << umile » devono essere suggeriti dal contrasto stesso. 10. amant: « godono ». È più poetico e vivo che « sogliono ». 11-12. Quid obliquo rivo? Nota la disposizione veramente felicissima delle parole, per cui obliquo trovasi vicino a laborat (ed è veramente l'obliquità del corso la ragione per cui la lympha che altrimenti correrebbe senza impacci alla sua via sembra laborare o affannarsi) e fugax vicino a trepidare, il verbo che indica il confuso tumultuare dei fuggenti. 13. nimium brevis : « ahi! troppo fugaci». Cf. breve lilium in Carm. I, 36, 16. I Romani usavano per le ghirlande dei banchetti rose e viole. 14. amoenae : « dilettosa ». rosae: « del roseto ». aetas: « l'età »>, cioè il tempo Donec virenti canities abest Morosa (Carm. I, 9,17-18). 15-16. sororum Fila trium: i destini filati dalle tre Parche, Cloto, Lachesi ed Atropo. 17. saltibus: qui « pascoli ». domo: « palazzo » di città per contrapposto a villa: « la casa di campagna ». 18. flavus. Cf. Carm. T, 2, 13. lavit. Cf. Epod. XVI, 28. 21. Divesne prisco natus ab Inaco: « se nato ricco dall'antico Inaco ». La proposizione che appare interrotta dal Nil interest del verso seguente si compie regolarmente con an pauper et infima De gente sub divo moreris, nè fa bisogno di sottintendere nel v. 21, come altri vollero, un sis. Inacho: primo re mitico d'Argo e progenitore degli Argivi. · 23. sub divo. Cf. Carm.

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15. res: « il patrimonio ».

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