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Discet Hiber Rhodanique potor.
Absint inani funere neniae
Luctusque turpes et querimoniae;
Compesce clamorem ac sepulcri
Mitte supervacuos honores.

rato a conoscere il poeta, nel qual caso bisognerebbe tradurre tutta la frase: «Me imparerà a conoscere dotto l'lbero ». Ma è verosimile, chi ripensi al gran numero di letterati e scrittori che produsse subito dopo la Spagna, Seneca, Lucano, Marziale, Columella, Quintiliano, forse anche Floro, che già ai tempi d'Orazio gli Spagnuoli attendessero con ardore allo studio delle lettere, e peritus Hiber vada dunque tradotto: << l'Ibero buon conoscitore >>. 20. Rhodanique potor: i Galli di Provenza ai quali anche, in antitesi con le popolazioni barbariche nominate nei vv. 17-18, è da riferirsi l'aggettivo peritus, in qualunque dei due sensi accennati di sopra. Per potor cf. Carm. III, 10, 1: Tanain si biberes, IIII, 15, 21: qui profundum Danuvium bibunt, ma l'immagine era antichissima. Cf. ii. II, 825: πίνοντες ὕδωρ μέλαν Αἰσήποιο. 21. Absint. Noi : « Lungi! ». inani: « inutile » giacchè non si troveranno ceneri umane tra il rogo. neniae: i carmina funeralia intonati nelle esequie dalle praeficae. 22. turpes: attivamente « che deformano ». Il pianto è concepito come un'offesa al volto, che al contrario si illumina nella gioia del sorriso. 24. supervacuos. Per Varrone forma corretta sarebbe non supervacuus, ma supervacaneus, pel quale in qualche manoscritto di Sallustio e di Cicerone s'incontra anche supervacuaneus. Ma la poesia dattilica e coriambica doveva necessariamente preferire supervacuus a sŭpērvăcānĕus riluttante ai proprii metri.

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Q. HORATI FLACCI

CARMINUM

LIBER TERTIUS

I.

Odi profanum vulgus et arceo.

Favete linguis! carmina non prius

I-VI. Le prime sei odi del libro terzo, maravigliose per la loro sostenuta dignità e informate ad una generale unità di concetto, che è quello di glorificare il rinnovamento di Roma e della grandezza e dell'anima romana per opera di Augusto, furono ritenute fin dagli antichi scoliasti come sei parti di un poema lirico, del quale la prima strofe dell'ode prima, che come introduzione a un'ode sola sarebbe esagerata e poco naturale, costituisce quasi l'esordio. Nè mancano altri segni di legami esteriori e formali tra un'ode e l'altra. Basti citare i principii delle odi seconda e quarta evidentemente connessi, anzi commessi, con la fine delle odi antecedenti.

Lo svolgimento del poema avviene dunque attraverso sei odi. La prima contiene una strofe d'introduzione generale, nella quale il poeta dichiara di rivolgere i suoi canti alle novelle generazioni, come quelle che non erano contaminate nè dal sangue delle guerre civili, nè dalle sozzure di cui i padri e gli avi si erano macchiati; e nelle seguenti undici un ammonimento a tenersi lontani dalla avarizia, che era, secondo che si ricava dalle satire di Orazio e dell'età immediatamente posteriore, il vizio più grave e profondo della società antica, e dal lusso è dalla ambizione che le vengono compagni. Su ciascuno, ammonisce il poeta, si stende un potere fatalmente più grande di tutti: la ferrea legge della necessità e della morte. La seconda ode, prendendo le mosse quasi per contrasto con la prima dalle lodi della povertà, passa poi alle lodi della virtus, che da lei si prepara, sul campo di battaglia. Onde si procede nella terza ode alla celebrazione della virtus dell'Augusto, al quale è promessa l'apoteosi, che toccò e ad altri ed al suo antenato Quirino, introducendosi così, a modo di episodio, nel poema, il discorso che Giunone, l'irreconciliabile nemica del nome troiano, tenne in cielo quando vi fu assunto l'eroe. La quarta ode, che incomincia con un invito alla musa Calliope perchè scenda dal cielo dove fin ora si è intrattenuta, celebra l'efficacia educatrice delle arti e della poesia. Perchè destinato all'arte, il poeta fu salvo nella sua fanciullezza quando s'addormentò sul Vulture infestato da serpenti e da orsi; perchè sordi alla voce della gentilezza e della cultura, furono sterminati,

Audita Musarum sacerdos
Virginibus puerisque canto.

in antitesi alla miracolosa salvazione del poeta pargolo, i possenti figli della Terra. La quinta ode è veramente un indiretto inno alla pace. Nella prima strofe il poeta introduce, a mio parere, in persona di un ipotetico interlocutore, un'obbiezione all'apoteosi fin ora fatta di Augusto: «Sì; ma egli domi i Britanni e i Persiani ». (Era questo dei Parti, che avevano menato prigioni i soldati e le aquile di Crasso, uno degli argomenti più scabrosi pei partigiani della chiusura del tempio di Giano). E all'obbiezione risponde poi: « No! nessuna guerra. Chi si arrese al nemico per sposare donne barbare e divenir genero dei Medi, non è degno di romana pietà. Bisogna, secondo l'antico consiglio di Regolo, obliare quei lontani prigionieri ». Onde un secondo episodio nel poema col discorso di Regolo e l'atto magnifico del suo ritorno a Cartagine. Infine la sesta ode chiude l'intero ciclo raccomandando una restaurazione religiosa e morale dalla quale sola potrà ottenersi la salute di Roma.

Tale nel suo svolgimento ci si presenta oggi questo grandioso poema lirico di cui non ci è dato conoscere con sicurezza la data di composizione. Ma un terminus post quem indiscutibile ci è fornito dal nome di Augustus che fu assunto da Ottaviano nel 727 e ricorre qui due volte (3, 11; 5, 3); e se si volesse assegnare alle 6 odi questa data medesima, esse dovrebbero essere intese in istretto rapporto quasi di sanzione con le riforme morali, meglio sociali, a cui Cesare attese negli anni 725-726, dopo la prima chiusura del tempio di Giano. Però per quell'invito alla pace e all'abbandono delle idee di rivincita su i Parti, che è, secondo me, il motivo dell'ode quinta, una coincidenza tra la composizione in questione e una chiusura del tempio di Giano è necessaria. Sicchè chi non volesse accettare la data del 727, dovrebbe scendere fino alla seconda chiusura del tempio e accettare quella del 729 o 730.

I. 1. profanum: « non ammesso al tempio » (cf. per la formazione pro-festus e forse anche pro-fundus: « senza fondo »), poichè ad alcune cerimonie non era lecito assistere a tutti, e il sacerdote prima della loro celebrazione invitava i non iniziati ad uscire dal sacro recinto. Ricorda la formula: hostis, vinctus, mulier, virgo exesto e quel celebre luogo dell'Eneide (VI, 258): procul o, procul este, profani. Ma in senso metaforico il profanum vulgus va inteso delle generazioni ormai adulte, ree del peccato di aver insanguinato la patria con le armi civili e di altri ancora. 2. Favete linguis : « Tacete! ». Dopo il primo verso è supposta l'uscita dei profani, e questo «Tacete!» s'intende detto a quelli che sono dopo quell'uscita rimasti. Bada anche che « Tacete » non è, strettamente parlando, la spiegazione più fedele di Favete linguis (propriamente « Siate favorevoli con le vostre labbra »): se non che il modo migliore di favorire con le labbra un sacro rito era quello di assistere, come è chiaro, alla sua celebrazione in silenzio. Che linguis sia ablat. di strumento non può dubitarsi. Cf. Vergilio, Aen. V, 71: Ore favete omnes. 3. Musarum sacerdos: giacchè i poeti sono sacri interpreti delle Muse. Questo Musarum sacerdos spiega il tono religioso e solenne che il poeta ha assunto fin dal principio. 4. Virginibus puerisque: non solo perchè gli animi dei giovani sono naturalmente meglio disposti ad accogliere la voce del poeta e perchè ai giovani bisogna rivolgersi quando si voglia preparare alla patria un migliore avvenire, ma più perchè le generazioni no

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velle non sono ree dei peccati di cui parlammo al v. 1. — 5. in proprios greges: su le greggi date in loro balìa », cioè i popoli. L'espressione, sebbene abbia un precedente nell'omerico πоiμéves lawv a indicare i re, riesce assai cruda a noi moderni sopra tutto per l'aggiunta del proprios che riconosce l'arbitrio nel sovrano di poter disporre dei sudditi quasi di cosa sua. Ma reges erano pei Romani «i despoti orientali » di fronte ai quali veramente i sudditi erano greges proprii, e quei re e quei sudditi scelse non a caso il poeta per significare l'altissima e la umilissima fra le condizioni umane. 6. est: << si stende ». - 7. Giganteo:

verso ».

-

viro.

<< sui Giganti », rappresentandosi dall'aggettivo un gen. oggettivo. Nè il ricordo mitologico è ozioso. La grande vittoria riportata dall'Olimpico sui Giganti è citata a confermare la certezza della vittoria che egli riporterà quando che sia e voglia sui mortali pigmei. 8. Cuncta: «l'unisupercilio. Noi diremmo: « col suo cenno ». Ma il poeta ha dinanzi alla mente la descrizione omerica (Il. I, 528-529): "H kai kuανέῃσιν ἐπ ̓ ὀφρύσι νεῦσε Κρονίων ... μέγαν δ ̓ ἐλέλιξεν Ολυμπον. 9. Est ut: « Può darsi che ». Ricorda il greco čotiv Öяшç. Puoi tradurre: « del suo vicino ». — - latius ordinet: « per più largo possesso schieri ». Ordo è parola tecnica a indicare i filari delle viti. 10. Arbusta le viti stesse secondo quel luogo di Vergilio (Georg. II, 89): Non eadem arboribus pendet vindemia nostris. Ma altri e in quel luogo di Vergilio e qui intendono degli alberi, olmi o pioppi, ai quali si maritano le viti. — generosior: « di più nobile sangue ».— 11. Descendat: << si presenti >>. Il poeta ha adoperato descendere o tenuto conto delle ragioni topografiche, giacchè dai colli dove erano le abitazioni dei ricchi al campus era veramente un descensus, o per analogia del linguaggio militare, secondo il quale gli eserciti combattenti descendunt in proelium, in aciem, etc. petitor: qui nel senso di « candidato ». in campum: cioè ai comizi. 12. meliorque. Per la posizione del que cf. Carm. I, 30, 6; II, 19, 32. Naturalmente questi iperbati sono dovuti a ragioni, come dicemmo altra volta, armoniche. 13. illi: « a un terzo » candidato.

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14. maior: onde può contare su un maggior numero di voti sicuri. aequa: « imparziale ». Necessitas: in senso largo« il Destino »>, la greca 'Аváyκη di cui già vedemmo una pittura in Carm. I, 35, 17-20, e in senso stretto la Morte (necessitas Lēti di Carm. 1, 3, 32-33). 15. Sortitur: « trae a sorte », cioè, elegge non come il popolo ora per un motivo ora per un altro; ma per cieche ragioni che sfuggono alle nostre ricerche. insignis et imos: un'antitesi che vale per due, giacchè insignis

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Omne capax movet urna nomen.
Destrictus ensis cui super impia
Cervice pendet, non Siculae dapes
Dulcem elaborabunt saporem,

Non avium citharaeque cantus
Somnum reducent: somnus agrestium
Lenis virorum non humilis domos
Fastidit umbrosamque ripam,

Non zephyris agitata tempe.
Desiderantem quod satis est neque
Tumultuosum sollicitat mare

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suggerisce il contrario concetto di obscuros, ed imos quello di summos. 16. movet: « agita ». 17. Destrictus ensis etc. Orazio ha in mente il noto aneddoto di Damocle, invitato da Dionisio, tiranno di Siracusa (324-387), che egli era solito adulare per la sua felicità e potenza, a prender parte a una festa, durante la quale pendè su la testa dello sciagurato una spada nuda sospesa ad un crine. (Cf. Cicerone, Tusc. V, 61). cui ei cui, o forse anche ei cuius. 18. Siculae. E forse un'altra allusione all'aneddoto di Damocle; ma la ghiottornia dei banchetti siciliani era per se stessa celebre, e Platone (De Rep. 404 D) usa Σupaκοσία τράπεζα come un'espressione proverbiale. 19. elaborabunt: << prepareranno faticosamente ». L'attivo del verbo è molto raro, sebbene ricorra comune il participio passivo elaboratus. saporem: «gusto ». 20. avium: cioè degli uccelli canterini (lusciniolae et merulae secondo Varrone, De re rust. Ill, 5) che si usava tenere in grandi uccelliere (opviewves). Cf. Rutilio I, 111: Quid loquor inclusas inter laquearia silvas, Vernula queis vario carmine ludat avis? cantus: « le voci ». 21. Somnum reducent. La musica conciliatrice del sonno hai anche in Epist. 1, 2, 31: Ad strepitum citharae cessantem ducere somnum. E di Mecenate racconta Seneca (Dial. I, 3) che procurava il sonno per symphoniarum cantum ex longinquo lene resonantium. somnus. Nota l'effetto di questa ripetizione, che bene ritrae l'ansia con cui il sonno è aspettato da quelle palpebre su le quali rifiuta discendere. — agrestium virorum: « dei contadini ». È da unirsi con somnus e insieme con domos che segue. - humilis domos : « le capanne » in opposizione al palagio dove si imbandiscono le Siculae dapes. 23. umbrosamque ripam: in opposizione alle fittizie selve inter laquearia le pendici boschive, dove fuori di gabbia Queruntur... aves (Epod. II, 26). 24. zephyris agitata tempe. Il susurro e, quasi direi, l'arpeggio del vento su le cetre immortali delle foreste è contrapposto al lontano suono degli istrumenti, coi quali si conciliano il sonno i potenti. tempe: usato qui per una qualunque vallata di selvaggia bellezza, come già in Greco (Esichio: τέμπη· τὰ σύνδενδρα χωρία) e anche fuori di Orazio in Latino. Cf. Vergilio, Georg. II, 469: Speluncae vivique lacus et frigida tempe. 25. Desiderantem etc. E introdotta in questo verso la spiegazione del fatto nella strofe antecedente affermato del facile sonno degli agricoltori. In prosa non mancherebbe un nam dichiarativo. 26. Tumultuo

sum: « burrascoso ». · sollicitat = sollicitum reddit: « rende ansioso ».

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