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Non vultus instantis tyranni

Mente quatit solida neque Auster
Dux inquieti turbidus Hadriae

Nec fulminantis magna manus Iovis:
Si fractus inlabatur orbis,

Impavidum ferient ruinae.

Hac arte Pollux et vagus Hercules
Enisus arces attigit igneas

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prava iubentium: « che ordinano l'ingiustizia ». Molti commentatori citano qui, per ragion d'onore, quel che di sè stesso il divino Socrate racconta nell'Apologia platonica (32) a proposito del processo contro gli strateghi vincitori delle Arginuse: ἑτοίμων ὄντων ἐνδεικνύναι με καὶ ἀπάγειν τῶν ῥητόρων καὶ ὑμῶν κελευόντων καὶ βοώντων, μετὰ τοῦ νόμου καὶ τοῦ δικαίου ᾤμην μᾶλλον με δεῖν διακινδυνεύειν ἢ μεθ ̓ ὑμῶν γενέσθαι μὴ δίκαια βουλευομένων φοβηθέντα δεσμὸν ἢ θάνατον. 3. vultus: « il cipiglio ». E sta con efficacia descrittiva per « lo sdegno ». instantis: «< che incalza » con le sue minacce. Ricorda, come sopra Socrate, qui Muzio Scevola il cui eroismo, se anche mentito nelle antiche leggende della patria, ebbe su gli animi dei nostri grandi antichi l'efficacia di storia vera: Cum rex simul ira infensus periculoque conterritus circumdari ignis minitabundus iuberet, nisi expromeret propere, quas insidiarum sibi minas per ambages iaceret: « En tibi, inquit, ut sentias, quam vile corpus sit iis, qui magnam gloriam vident » dextramque accenso ad sacrificium foculo inicit (Livio, II, 12). 4. Mente solida: « nel suo incrollabile pensiero ». È abl. locativo. neque. Serve a introdurre insieme col Nec del v. 6 una nuova coppia di possibili ostacoli, come una prima coppia fu introdotta dal Non del v. 2. 5. Dux inquieti turbidus Hadriae: « fosco condottiero dell'Adria agitato ». Cf. Carm. 1, 3, 15. magna: « possente ». fulminantis... lovis. Può parere un concetto, questo dị Giove in guerra col giusto, veramente empio in un poema, come il presente, sacro, e non solo empio, ma in contraddizione anche con quel riconoscimento di autorità suprema in Giove che è stato fatto in Carm. III, 1, 6-8. In verità il poeta si è fatto vincere la mano da quegli antichi ricordi mitologici che facevano tanta parte della sua educazione letteraria. 7. fractus: « in frantumi ». orbis: generalmente « la terra» in quanto appare all'orizzonte rotonda, ma qui« la volta del cielo ». L'immagine non era tutta nuova. Cf. Teognide, 869-872: Εν μοι ἔπειτα πέσοι μέγας οὐρανὸς εὐρὺς ὕπερθεν Χάλκεος, ἀνθρώπων δεῖμα χαμαιγενέων, Εἰ μὴ ἐγὼ τοῖσιν μὲν ἐπαρκέσω οἵ με φιλεῦσιν, Τοῖς δ ̓ ἐχθροῖς ἀνίη καὶ μέγα πῆμ ̓ ἔσομαι. Ma è di Orazio l'artistico crescendo che nella disposizione dei cinque ostacoli citati a mo' d'esempio avrai notato in questi otto versi. 9. Hac arte: « con questa virtù » cioè la giustizia accompagnata alla pertinacia nel proseguire il proprio fine di giustizia, come vedemmo al v. 1. Pollux: uno dei Dioscuri per tutti due. vagus: « errabondo ». Cf. Carm. I, 7, 23. 10. Enisus: «a fatica ». arces ... igneas: « le altezze sideree » giacchè ignes Orazio chiama le stelle (Carm. I, 12, 47). Ma altri intendono arces

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igneas detto della sfera del fuoco, posta per sineddoche a indicare tutto

ORAZIO, Liriche, comm. da V. USSANI, vol. II.

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il cielo.

...

Quos inter Augustus recumbens
Purpureo bibet ore nectar.

Hac te merentem, Bacche pater, tuae
Vexere tigres, indocili iugum

Collo trahentes; hac Quirinus
Martis equis Acheronta fugit,
Gratum elocuta consiliantibus
Iunone divis: << Ilion, Ilion
Fatalis incestusque iudex

Et mulier peregrina vertit

In pulverem ex quo destituit deos
Mercede pacta Laomedon mihi

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11. recumbens: nel letto tricliniare che lo attende alle mense divine. In nessuno dei tre letti tricliniari il posto d'onore era però quello di mezzo. 12. Purpureo: « rosata >> come quella dei giovani, giacchè egli godrà di una giovinezza eterna. 13. Hac (arte) merentem: « In premio di questa virtù ». pater. Cf. Epod. Il, 21. 14. Vexere. Non è detto dove; ma dal parallelo di Romolo par naturale arguirsi che il poeta vuol dire « al cielo ». tigres. Veramente nella poesia e nell'arte greca la bestia di Dioniso è la pantera. I poeti romani le sostituiscono la tigre, di cui s'ebbe notizia in Europa solo ai tempi di Alessandro il Grande. 15. Quirinus. Veramente quando egli fu rapito al cielo era ancora Romulus. Ma il poeta con efficace brachilogia invece che « Romolo fuggì l'Acheronte e diventò dio col nome di Quirino » dice « Quirino fuggì l'Acheronte >>. 16. equis: << sul carro ». Questa dei cavalli pel carro che traggono è figura comunissima in. Omero. 17. Gratum: « un discorso gradito >>. 17-18. consiliantibus ... divis: « agli dei riuniti in consiglio ». L'idea di questo consiglio. era già nel lib. I degli Annali di Ennio, in cui Giove promette a Marte l'immortalità per uno dei suoi nipoti: Unus erit quem tu tolles in caerula caeli Templa (Ann. I fr. 41 Valmaggi). Ma Orazio assegna al consiglio il tempo in cui morì Romolo. 18. Ilion, Ilion: ripetizione dove

accusata.

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21. ex

vibra ancora il ricordo non tanto degli odii antichi, chè anzi di quelli la dea si scagiona dicendosi strumento del fato nella vendetta di antiche empietà, quanto dello sdegno che suscita in lei il sentirsi di quell'odio 19. Fatalis: « letale » perchè cagione di rovina. incestus: « impuro », « corrotto » per la promessa di Venere. quo: cioè ex tempore quo. destituit: « defraudò ». deos: Apollo ê Posidone che secondo l'Iliade (XXI, 442 e segg.) condannati da Zeus alla pena, che ricorre non di rado pei numi nell'antica mitologia, di servire un anno presso un re mortale, vennero a Troia e si allogarono ai servigi di Laomedonte, del quale Posidone fortificò la città, Apollo custodi le greggi su l'lda. Ma quando venne il sospirato termine della mercede, il re mancando ai suoi impegni li cacciò, per giunta minacciando di venderli schiavi in terre lontane e tagliar loro le orecchie. Pare però che Orazio, quanto all'ufficio che presso Laomedonte compirono le due divinità, segua piuttosto la versione di Iliade, VII, 452-453 che ce le presenta ambedue intese alla costruzione del muro. Cf. v. 65 e segg.

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Castaeque damnatum Minervae
Cum populo et duce fraudulento.
Iam nec Lacaenae splendet adulterae
Famosus hospes nec Priami domus
Periura pugnaces Achivos
Hectoreis opibus refringit,

Nostrisque ductum seditionibus
Bellum resedit. Protinus et gravis
Iras et invisum nepotem

Troica quem peperit sacerdos,
Marti redonabo; illum ego lucidas
Inire sedes, discere nectaris

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24. duce frau

23. damnatum: quasi devotum, cioè « consacrato». dulento: cioè Laomedonte. 25. lam. Orazio dovè qui seguire la saga enniana, secondo la quale Romolo nacque da Ilia figlia di Enea. Altrimenti dopo tanti re di Alba sarebbe ben curioso quello Iam e quella gioia per la morte di Paride. Lacaenae... adulterae: gen, in dipendenza da hospes o forse anche dat. in dipendenza da splendet (« brilla di beltà »), 26. Famosus: « infame ». hospes: giacchè, come vedemmo in Carm., I, 15, 2, la colpa di Paride era sopra tutto nell'aver violato le leggi dell'ospitalità, domus: « la casa » cioè la gens.. 27. Periura : << spergiura» anche lei, se non altro per la mancata fede che il duello tra Menelao e Paride nel terzo dell' Iliade sarebbe stato decisivo della guerra. Ma è da notare che nel quarto dell' Iliade eccitatrice allo spergiuro appare l'insaziabile sete di vendetta di Era. 28. Hectoreis opibus: « col braccio di Ettore ». Invece ope (cf. Carm. 1, 6, 15) vorrebbe dire « con l'aiuto >>. 29. -que: col valore avversativo, di seditionibus: « dissensi». La parola è dalla particella sed che indica separazione (cf. seponere, segregare) e itio (cf. ire), ductum: « prolungata ».. 30. resedit: « si calmò» quasi una bufera.. Protinus: « d'ora in poi». Protinus è da pro (= « innanzi ») e tenus che implica successione, giacchè ciò che si estende « sino a» un deter minato oggetto viene immediatamente dopo di questo. (Cf. i significati di pertineo, attineo, continuus, tenor), 31. invisum: perchè anche lui di quella stirpe. nepotem: di lei, giacchè figlio di Marte. Ma si potrebbe anche intendere « di loro » cioè dei Troiani, poichè Romolo era, secondo la saga enniana, figlio di Ilia figlia di Enea. 32. Troica

<ma ».

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sacerdos: la vestale Ilia. Nota come il tono di tutta la frase dia al quem valore concessivo, quasi quamquam eum. Giunone, rinfacciando quasi al nuovo eroe la sacrilega nascita, fa sentire più grave il sacrificio che ella fa dei suoi sdegni perdonandolo. 33. redonabo: forse semplicemente « condonerò ». Ma può supporsi ancor vivo e avvertito qui il valore del re iniziale, che vedemmo in Carm. II, 1, 28, e intendere « farò dono dovuto >>. 33-34. lucidas... sedes: « le brillanti dimore del cielo ». Di fatti là è xpúσcov dáπedoν secondo Il. IIII, 2. 34. discere: << imparare a conoscere ». Pare qui più proprio che non il ducere cioè « sorbire » di altri codici e non dei peggiori. Di più discere leggeva certo Porfirione, che commenta idest adsuescere saporibus nectaris.

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Sucos et adscribi quietis

Ordinibus patiar deorum.
Dum longus inter saeviet Ilion
Romamque pontus, qualibet exsules
In parte regnanto beati;

Dum Priami Paridisque busto
Insultet armentum et catulos ferae
Celent inultae, stet Capitolium

Fulgens triumphatisque possit

...

35. adscribi. E in questo senso parola tecnica. Cf. Cicerone. De nat. deor, III, 39: Romulum aliosque compluris ... quasi novos et adscripticios cives in caelum receptos putant. quietis. Non intenderlo, secondo l'omerico Beoì peîa Zwoνtes e le dottrine epicuree, come un attributo costante della divinità, che sarebbe contraddittorio con le guerre prolungate dalle divine discordie di cui è parola nella strofe antecedente; ma passivamente per pacificate », « messe in quiete dal proposito che esprime ora Giunone. 36. Ordinibus: quasi « classi » attribuendosi

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· ai cittadini del cielo quelle divisioni che erano tra gli abitanti dell'Urbe su la terra. 37. saeviet: correzione necessaria per il saeviat dei codici qui dove il fatto naturale e geografico, enunciato nella proposizione con Dum, impedisce di assegnarle il valore di una limitazione condizionale. La dea pone invece all'imperium una limitazione temporale, se pure di limitazione può parlarsi, quando le parole adoperate ad esprimerla significano eternamente », « per sempre ». 38. exsules: col valore condizionale di « purchè restino sempre esuli ». 39. regnanto. Non tradurre « regnino » che potrebbe parere un congiuntivo concessivo, ma << io vo' che regnino » giacchè l'imperativo sia il modo del comando della prima persona. beati: in antitesi con exsules come dalla collocazione medesima delle parole, ambedue in fine di verso. 40. Dum. Questo secondo Dum non ha valore temporale, ma quello condizionale di « purchè ». Priami Paridisque busto. Dato che la morte di Priamo fu nella stessa presa della città, dati gli antichi costumi di guerra, pare appena possibile che Priamo abbia avuto, come potè avere Paride, una qualunque sepoltura. Onde Vergilio (Aen. II, 557 e sgg.) ce lo presenta nella narrazione di Enea ingens litore truncus Avolsumque umeris caput et sine nomine corpus. Ma il poeta o non pensò a questo particolare o vide nella intera Troade, dove era accaduta la catastrofe del regno, la tomba del re. 41. Insultet: nel senso etimologico di « salti su », il che porta al senso metaforico e derivato di « faccia offesa ». Così nell'Iliade (IIII, 177) Agamennone, vedendo ferito il fratello, pensa, se ne accadesse la morte, a un Troiano in avvenire Τύμβῳ ἐπιθρώσκων Μενελάου κυδαλίμοιο. catulos: spesso usato dei piccoli di animali selvaggi. 42. inultae:

passivamente per « impunite ». stet. La parola ha valore enfatico e per la sua posizione metricamente notevole e per sè stessa, giacchè il semplice stare sia adoperato a preferenza dei suoi composti a significare un'immobile stabilità. La ragione di quest'uso va naturalmente cercata nella brevità della parola stessa. 43. Fulgens: giacchè il tetto del tempio di Giove Capitolino era dorato. triumphatis: un participio passivo ricavato, come ne vedemmo altri, da verbi intransitivi.

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possit:

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inondazioni.

Roma ferox dare iura Medis.
Horrenda late nomen in ultimas
Extendat oras qua medius liquor
Secernit Europen ab Afro,

Qua tumidus rigat arva Nilus,
Aurum inrepertum et sic melius situm,
Cum terra celat, spernere fortior

Quam cogere humanos in usus

Omne sacrum rapiente dextra.
Quicumque mundo terminus obstitit,
Hunc tanget armis, visere gestiens
Qua parte debacchentur ignes,
Qua nebulae pluviique rores.

Sed bellicosis fata Quiritibus

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<< sia capace di ». La parola prosaica acquista in qualche modo valore dalla sua posizione nel verso. 44. iura: « leggi ». 45. late: « per ampio tratto ». È da unirsi con Horrenda. nomen: propriamente << nazione» (cf. Carm. IIII, 15, 13), ma metaforicamente qui « dominio ». 46. medius liquor: in opposizione al Nilo, confine orientale, evidentemente il fretum Gaditanum tra la Spagna e l'Africa. Liquor può dirsi in poesia di qualunque liquido, come in Carm. I, 31, 3 del vino: quindi fonti, corsi d'acqua e anche mari. 48. tumidus: << con le sue 49. inrepertum: e quindi terris abditum. melius situm : « più felicemente collocato ». 50. spernere fortior: « più valente nello sprezzare » cioè << se sarà più valente nello sprezzare » giacchè questa sia la condizione posta da Giunone alla profezia della strofe seguente. 51. cogere: forse << accumulare » nel qual caso humanos in usus andrebbe costruito con rapiente (= « sforzando agli usi umani »), forse « costringere » nel qual caso humanos in usus verrebbe a dipendere da cogere stesso. 53. mundo: « alla terra ». Cf. Vergilio, Ecl. III, 9. Ma locuzione curiosa pare Quicumque dopo che i termini furono segnati nei vv. 46-48. obsisto che puoi tradurre col passivo « fu posto ». << esultando »>. 55. Qua parte: cioè nella zona torrida. debacchentur: «gavazzino » con quel significato intensivo che vedemmo anche altrove nel de. ignes: «i calori» della zona torrida personificati. 56. Qua: cioè nelle zone glaciali o forse nella zona glaciale, se Orazio ebbe l'idea del continuo crescere del calore nella direzione di mezzogiorno, così comune negli antichi. Cf. Lucano, I, 54: polus adversi calidus qua mergitur Austri. pluvii... rores: « le pioggie ». 57. bellicosis Quiri. tibus: una iunctura che ai tempi d'Orazio poteva sembrare un džúμwрov, dato il significato generalmente attribuito a Quirites che è di opposizione a milites. Cf. Carm. II, 7, 3. Ma non era forse Γὀξύμωρον nella intenzione del poeta, che potè qui (e l'arcaismo ben si conveniva al tempo remoto a cui il discorso di Giunone risale e a quella solennità austera che è naturale nella parola divina) adoperare il vocabolo nel suo senso etimologico di « astati » quod hasta curis priscis est dicta Sabinis

...

terminus, obstitit: perfetto di 54. gestiens:

...

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