Obrázky na stránke
PDF
ePub
[merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small]
[ocr errors]
[ocr errors]

Q. HORATI FLACCI

Dulcis docta modos et citharae sciens,
Pro qua non metuam mori,

Si parcent animae fata superstiti ».
<< Me torret face mutua

Thurini Calais filius Ornyti,
Pro quo bis patiar mori,

Si parcent puero fata superstiti ».
« Quid si prisca redit Venus

Diductosque iugo cogit aeneo,

Si flava excutitur Chloe

Reiectaeque patet ianua Lydiae? »

verna ». La somiglianza è vista dal poeta tra il cavaliere che guida il suo cavallo e l'oggetto amato che signoreggia la mente dell'amatore. Ricorda questo bel frammento di Anacreonte (Hiller4, 4): 2 Tai пaρlévioν βλέπων, Δίζημαι σε, σύ δ ̓ οὐ (κοεῖς), Οὐκ εἰδώς, ὅτι τῆς ἐμῆς Ψυχῆς ἡνιοχεύεις. 10. Dulcis docta modos: « che allevarono a dolci canzoni ». Nel passivo doceo conserva l'accusativo della cosa insegnata. · citharae sciens. Cf. Carm. I, 15, 24. 11. metuam. Ravviserei e qui e nel patiar del v. 15 piuttostochè un congiuntivo ottativo un futuro. Il futuro indica meglio, mi pare, la certezza della risoluzione ormai presa. 12. animae: « alla mia vita» che è naturalmente lei stessa, Cloe. Per anima in questo senso ricorda nelle Bacchidi (II, 2, 16) Plauto: Anima est amica amanti: si abest, nullus est. Orazio invece due altre volte ci presenta l'amato quasi metà dell' anima propria. (Cf. Carm. I 3, 8; II, 17, 5). 13. torret: assai più forte del regit. Anche qui la donna che non vuol esser superata aumenta a gli occhi dell'antico amatore la sua nuova passione. face mutua: «con ricambiato ardore ». 14. Thurini Calais filius Ornyti. Cf. il cenno introduttivo a Carm. I, 8. 15. bis patiar mori: « soffrirò di morir due volte ». Abbiamo lo stesso crescendo che già notammo altre volte, di fronte alla dichiarazione del poeta nel v. 11. 17. redit. L'uso dell'indicativo in questa e nelle interrogazioni seguenti significa la sicurezza in chi parla che il patto proposto è nel tempo stesso accettato. - prisca... Venus: « l'antico 18. Diductosque et quos diduxit: «e quelli che separò ». iugo cogit aeneo: « riunisce sotto un bronzeo giogo ». Cogo da cum e ago è qui adoperato, secondo il suo valore etimologico, in senso opposto a quello di diduco (dis-duco). E di bronzo ha da essere il giogo, perchè non vada soggetto alla ruggine come il ferro. 19. excutitur: « si scuote». Naturalmente, poichè l'amore è considerato come un giogo. 20. Reiectaeque ... Lydiae: dativo, non genitivo. Per lo più gli uomini andavano dalle donne, come vedemmo in Carm. I, 25, 1-8; III, 7, 29. 10, 3. 29; ma questo non toglie che le donne andassero anche dagli uomini, quando v'erano invitate (Cf. Carm. I, 7; III, 14, 21 e segg.), e senza invito anche, quando tra gli amanti corresse una lunga consuetudine amorosa. Altri nel Reiectae... Lydiae preferiscono invece riconoscere un genitivo; ma il senso ne riesce stranamente sforzato, non potendo fare Orazio l'offerta che la porta di Lidia gli si apra di

amore ».

-

« Quamquam sidere pulchrior

Ille est, tu levior cortice et improbo
Iracundior Hadria,

Tecum vivere amem, tecum obeam libens »>.

8.

Extremum Tanain si biberes, Lyce,
Saevo nupta viro, me tamen asperas
Porrectum ante fores obicere incolis
Plorares Aquilonibus.

-

-

nuovo. 21. sidere pulchrior. Ricorda l'omerico ȧlíkov dσTÉPI KAλŵ (Il. VI, 401). 22. Ille tu. Nota il contrapposto che il Latino riesce ad ottenere pur senza l'uso di particelle avversative. levior cortice: più instabile che il sughero » nell'acqua. improbo. Questo aggettivo va nei poeti latini tradotto in conformità del nome a cui è attribuito, significando generalmente tutto ciò che eccede i limiti del giusto e del ragionevole: onde labor improbus (Vergilio, Georg. 1, 146) significa «la fatica che non conosce tregua » e improbus anser (Georg. 1, 119) « l'anitra ingorda ». Qui, come è detto del mare, tradurrai << infido ». 23. Iracundior: più che un rimprovero sembra una carezza. Spiegando il tradimento di Orazio come un subito movimento d'ira in lui, Lidia scusa insieme sè per la risoluzione di tornare a lui che non commise poi grave colpa e lui per l'abbandono dovuto al troppo impe24. Tecum vivere amem, tecum obeam libens. Sono veramente tutte parole prosaiche, ma tra poesia e prosa in certi argomenti differenza non c'è.

tuoso carattere.

X. È una serenata o πaρaкλavoiбupov dinanzi alla porta di Lice, da identificarsi forse con la ritrosa fanciulla Cloe, come vedemmo nel cenno introduttivo all'ode ventesima terza del libro primo. Se non che la ritrosa fanciulla detta li tempestiva viro, appar qui maritata, e dal v. 6 si ricava che ella era una dama di gran condizione.

1. Extremum Tanain si biberes: « se tu ti dissetassi all'onda dell'estremo Tanai ». Questa di dissetarsi ad un fiume è per i poeti espressione equivalente a quella prosastica di abitarne le rive. Cf. Carm. II, 20, 20.- 2. Saevo nupta viro. Non riferire queste parole al tu soggetto sottinteso di biberes, sicchè rientrino nell' ipotesi del primo verso, ma al vocativo Lyce. Lice era realmente maritata ad un uomo che perchè innamorato di un'altra (cf. v. 15) doveva essere con lei scortese (saevus).

asperas: non « crudeli » (duras), ma piuttosto nel significato primo della parola «< ineguali », « non levigate » come dovevano essere le porte delle case nella barbara Scizia in confronto dei varios pulchra testudine postes (Vergilio, Georg. II, 463) della regia Roma. - 3. Porrectum: « lungo disteso ». obicere: « esporre ». incolis: « che vi abitano ». Ma non è chiaro se il poeta li faccia abitatori delle rive del Tanai o delle soglie della casa di Lice. 4. Plorares: « ti dorresti di ». Così Plauto, Aul. 308: Aquam hercle plorat quom lavat profundere.

5

10

15

Audis, quo strepitu ianua, quo nemus
Inter pulchra satum tecta remugiat
Ventis et positas ut glaciet nives
Puro numine Iuppiter?

Ingratam Veneri pone superbiam,
Ne currente retro funis eat rota:
Non te Penelopen difficilem procis
Tyrrhenus genuit parens.

O quamvis neque te munera nec preces
Nec tinctus viola pallor amantium

Nec vir Pieria paelice saucius

Curvat, supplicibus tuis

Parcas, nec rigida mollior aesculo

Nec Mauris animum mitior anguibus.

5. nemus: « il bosco » piantato nel mezzo del peristylium. Cf. Epist. I, 10, 22 Nempe inter varias nutritur silva columnas.

<< mugoli » al vento.

6. remugiat: 7. positas: « le cadute ». ut glaciet. Dipende con ardito zeugma da Audis. 8. Puro numine luppiter: propriamente « il dio del cielo al cui divino cenno non fa ostacolo nessuna nube » e più liberamente « il cielo sereno ». 9. superbiam:

<< disdegno dell'amore che le viene offerto. 10. Ne currente retro funis eat rota: una espressione proverbiale equivalente alla nostra << Chi troppo vuole niente ha ». Colui che troppo vuole vi è assomigliato a chi giri l'argano senza tregua finchè gli fugga dalle mani stanche il manubrio. Allora la ruota frulla e la fune si svolge lasciando cadere il peso che si voleva sollevare. 11. Penelopen: «una Penelope ». difficilem: « inespugnabile ». — 12. Tyrrhenus... parens. Non paia inutile questo accenno alla nazione del padre della ritrosa. Racconta Dionigi di Alicarnasso (VIIII, 16) che αβροδίαιτον καὶ πολυτελὲς τὸ τῶν Τυρρηνῶν Ovos v e non sembra possibile al poeta che da un padre di tal gente possa esser nata figlia di così rude virtù. 13. quamvis: con l'indicativo curvat. Cf. Carm. I, 14, 12. 14. viola: la viola pallens di Vergilio, Ecl. II, 47, il leukotov dei Greci. Il pallore degli amanti è un pallore particolare. Saffo dice di se: xwpotéρa dè noias "Eμuι (Hiller4, 2, 14-15).

[ocr errors]

--

15. Pieria: del monte Pierio in Macedonia. Ma non è improbabile che il poeta pensi invece a un'alunna delle ninfe Pierie, delle Muse, come la Cloe di Carm. III, 9, 10 Dulcis docta modos et citharae sciens. — saucius: col semplice ablat., come in Carm. 1, 14, 5. 16. curvat: « piega ». 17. Parcas: « abbi pietà ». mollior: nel significato originario di mollis (= mob(i)lis) che è quello di « flessibile» «pieghevole ». - aesculo: l'alta quercia montana, che è presa per simbolo dell'irremovibilità. Ricorda la bella descrizione di Vergilio nelle Georgiche (II, 291-295): Aesculus in primis, quae quantum vertice ad auras Aetherias, tantum radice in Tartara tendit. Ergo non hiemes illam, non flabra neque imbres Convellunt: immota munet multosque nepotes, Multa virum 18. Mauris anguibus: i serpenti che infestano i deserti delle Sirti. animum: accus. di relazione,

volvens durando saecula vincit.

...

[merged small][merged small][ocr errors]
[ocr errors]

Non hoc semper erit liminis aut aquae
Caelestis patiens latus.

XI.

Mercuri (nam te docilis magistro
Movit Amphion lapides canendo)
Tuque, testudo, resonare septem
Callida nervis,

Nec loquax olim neque grata, nunc et
Divitum mensis et amica templis,
Dic modos, Lyde quibus obstinatas
Applicet auris;

...

da costruirsi egualmente con mollior del verso antecedente e con mitior. 19. Non semper. Sono le due parole più importanti della proposizione, la quale contiene la velata minaccia di un rimorso eterno che attende la bella per la prossima morte dello sfortunato amatore su la porta inesorabile. Con una minaccia della propria morte questi naρɑklavoilupa non chiudevano di rado. Cf. Aristofane, Eccles. 900 e segg. δεῦρο δή, δεῦρο δή, καὶ σύ μοι καταδραμοῦσα τὴν θύραν ἄνοιξον τήνδ', εἰ δὲ μή, καταπεσὼν κείσομαι e Teocrito, III, 53 Κεισεῦμαι δὲ πεσών, καὶ τοὶ λύκοι ὧδε μ ̓ ἔδονται. liminis: giacchè egli era porrectus ante fores. 19-20. aquae Caelestis: « la pioggia del cielo », che può parere strano, chi ripensi ai vv. 7-8 dove si parla di una gelida screnità. Ma il poeta potè avere in mente altre notti e altre intemperie. XI. - È un'ode a Mercurio e alla lira, perchè vogliano con le dolci armonie rendere benigna al marito la giovine sposa Lide. Ma l'ode è di struttura pindarica e l'episodio delle Danaidi che vi è introdotto per spaventare la crudele finisce per occuparne la parte maggiore. Che la Lide di quest'ode abbia a che fare con quella di Carm. III, 28 è assai incerto. 1. nam. Alla maniera dei cantori omerici il poeta spiega l'appello che egli fa al dio citando un esempio della sua potenza. te magistro: ablat. assol., come Teucro duce in Carm. I, 7, 27. docilis: per doctus come in Carm. IIII, 6, 43. 2. Amphion. Cf. Ars poet. 394-396: Dictus et Amphion Thebanae conditor arcis Saxa movere sono testudinis et prece blanda Ducere quo vellet. lapides: le pietre di che si fecero le mura di Tebe. 3. testudo: nel doppio senso di « guscio di tartaruga e di « lira » che di quel guscio fu fatta. resonare: in dipendenza da Callida del verso seguente. 3-4. septem... nervis. Le corde erano veramente nella lira primitiva quattro; fu Terpandro che estese direi quasi questo strumento, congiungendo un altro tetracordo al primo e lasciando fra i due l'intervallo di un tono. Ne sarebbe nato così un ottacordo; ma Terpandro omise nel tetracordo inferiore la terza corda che gli sembrò di minore importanza. 5. loquax: « dotata di paolim cioè prima che Mercurio vi adattasse le corde. 6. Divitum mensis. Ricorda l'Odissea (VIII, 99): Pópμirrós ' ĥ daιti συνήορός ἐστι θαλείη. 7. quibus tales ut eis, sicchè il seguente congiuntivo applicet ha valore consecutivo. 8. Applicet: « presti >>.

rola ».

[ocr errors]

[ocr errors]
[blocks in formation]

Quae velut latis equa trima campis
Ludit exsultim metuitque tangi,
Nuptiarum expers et adhuc protervo
Cruda marito.

(Tu potes tigris comitesque silvas
Ducere et rivos celeris morari;
Cessit immanis tibi blandienti
Ianitor aulae

Cerberus, quamvis furiale centum
Muniant angues caput eius atque
Spiritus taeter saniesque manet
Ore trilingui.

Quin et Ixion Tityosque vultu

Risit invito, stetit urna paulum

[ocr errors]

9. equa trima: « polledra di tre anni ». L'immagine deriva (e della derivazione anche nelle seguenti parole in cui la similitudine si svolge non mancano segni) da Anacreonte (Hiller4, 70): Πωλε Θρηκίη, τί δή με λοξὸν ὄμμασιν βλέπουσα Νηλεῶς φεύγεις (metuit tangi), δοκεῖς δέ μ' οὐδὲν εἰδέναι σοφόν; Ἴσθι τοι, καλῶς μὲν ἄν τοι τὸν χαλινὸν ἐμβάλοιμι, Ἡνίας δ ̓ ἔχων στρέφοιμί (σ') ἀμφὶ τέρματα δρόμου. Νῦν δὲ λειμῶνας τε βόσκεαι κουφά τε σκιρτῶσα παίζεις (ludit exultim) • Δεξιόν γὰρ ἱπποσείρην οὐκ ἔχεις ἐπεμβάτην. I tre anni della polledra oraziana si spiegano con questo luogo di Vergilio (Georg. III, 190-191): At tribus exactis ubi quarta acceperit aestas, Carpere mox gyrum incipiat (equus). 10. exsultim: « saltellando ». E un άπаž λeróμevov. 11. Nuptiarum: cioè « dei piaceri che le nozze apportano », giacchè dall'esempio citato delle Danaidi pare che Lide fosse sposa, ma tale sposa che fin dal primo istante del matrimonio non volle sapere del marito. protervo: quasi « brutale ». Era forse in questa brutalità esercitata dallo sposo nei principii, secondo la giovine, il motivo della irrimediata rottura. 12. Cruda: « crudele ». Letteralmente la parola varrebbe « acerba », ma ammette il traslato medesimo che il greco wuń. 13. Tu. Il poeta nella parentesi si rivolge alla lira ed ha in mente la leggenda di Orfeo. Cf. Carm. I, 12, 9-12. comites: << in compagnia tua ». L'aggettivo si riferisce egualmente a tigris e a silvas. 15. immanis. Non significa qui «gigantesco », ma « terribile », « orrendo », poichè pare necessario riferirlo ad aulae che non può star cosi nudo e solo, piuttostochè a Ianitor. Orfeo, come è noto, discese all'inferno per trarne la moglie Euridice. tibi blandienti: « alle tue lusinghe ». 17. furiale:

II, 13, 34.

<< simile a quella delle Furie » che avevano capigliatura di serpenti. 18. eius. Il pronome is è veramente poco diletto ai poeti. Nelle Odi di Orazio ricorre un'altra volta sola ed egualmente al gen. in Carm. IIII, 8, 18. 19. taeter: « mortifero ». 20. Ore trilingui. Cf. Carm. 21. Quin et: passaggio analogo anche nella forma a quello di Carm. II, 13, 37. Ixion: re dei Lapiti, per l'oltraggio che volle recare a Giunone legato nell'inferno ad una ruota ardente. Tityos. Cf. Carm. III, 5, 77. 21-22. vultu invito: cioè nel volto ribelle al riso stesso. 22. stetit: « si fermò ». urna: cioè il boccale, col quale le Da

[ocr errors]

...

« PredošláPokračovať »