Vinto per man del bellicoso Achille Ettor famoso e Sarpedonte altero? E se d'acqua perire era il mio fato, Perchè non dove Xanto, o Simoënta Volgon tant' armi e tanti corpi nobili? Così dicea; quand' ecco d' Aquilone
Una buffa a rincontro, che stridendo Squarciò la vela, e 'l mar spinse a le stelle. Fiaccarsi i remi; e là 've era la prua, Girossi il fianco; e d'acqua un monte intanto Venne come dal cielo a cader giù.
Pendono or questi or quelli a l'onde in cima: Or a questi or a quei s'apre la terra
Fra due liquidi monti, ove l'arena
Non men ch'a i liti, si raggira e ferve. Tre ne furon dal Noto a l'are spinte:
Non potuisse, tuaque animam hanc effundere dextra! Saevus ubi acidae telo iacet Hector, ubi ingens Sarpedon: ubi tot Simois correpta sub undis 100 Scuta virum galeasque et fortia corpora volvit. Talia iactanti stridens aquilone procella
Velum adversa ferit, fluctusque ad sidera tollit. Franguntur remi; tum prora avertit, et undis Dat latus: insequitur cumulo praeruptus aquae mons. Hi summo in fluctu pendent: his unda dehiscens Terram inter fluctus aperit: furit aestus arenis Tres Notus abreptas in saxa latentia torquet:
(Are chiaman gli Ausonii un sasso alpestro Da l'altezza de l' onde allor celato, Che sorgea primo in alto mare altissimo :) E tre ne fur dal pelago a le Sirti, Miserabile aspetto! ne le secche Tratte da l'Euro, e ne l'arena immerse. Una, che 'l carco avea del fido Oronte Con le genti di Licia, avanti agli occhi Di lui perì. Venne da Borea un'onda,
Anzi un mar che da poppa in guisa urtolla, 185 Che'l temon fuori e 'l temonier ne spinse; E lei girò sì che 'l suo giro stesso Le si fe' sotto e vortice e vorago, Da cui rapita, vacillante e china Quasi stanco palèo, tre volte volta Calossi gorgogliando e s'affondò. Già per l' ondoso mar disperse e rare Le navi e i naviganti si vedevano:
* Saxa vocant Itali, mediis quae in fluctibus, aras, Dorsum immane mari summo. Tres Eurus ab alto In brevia et syrtes urget (miserabile visu) Illiditque vadis, atque aggere cingit arenae. Unam, quae Lycios, fidumque vehebat Orontem, Ipsius ante oculos ingens a vertice pontus In puppim ferit: excutitur, pronusque magister 115 Volvitur in caput: ast illam ter fluctus ibidem Torquetagens circum,et rapidus vorat aequore vortex. Apparent rari nantes in gurgite vasto;
Già per tutto di Troia a l'onde in preda Arme, tavole, arnesi a nuoto andavano:
Già quel ch' era più valido e più forte Legno d'Ilïonéo, già quel d' Acate
E quel d'Abante e quel del vecchio Alete, Ed al fin tutti sconquassati, a l' onde Micidïali aveano i fianchi aperti;
Quando a tanto rumor da l'antro uscito
gran Nettuno, e visto del suo regno Rimescolarsi i più riposti fondi :
O, disse irato, ond'è questa importuna Tempesta? E grazïoso il capo fuori Trasse de l'onde; e rimirando intorno, Per lo mar tutto, dissipati e laceri Vide i legni d' Enea; vide lo strazio De' suoi, ch' a la tempesta, a la ruina' E del mare e del cielo erano esposti.
Arma virúm, tabulaeque, et Troia gaza per undás. Iam validam Ilionei navem, iam fortis Achatae, Et qua vectus Abas, et qua grandaevus Aletes, Vicit hiems; laxis laterum compagibus omnes Accipiunt inimicum imbrem, rimisque fatiscunt. Interea magno misceri murmure pontum, Emissamque hiemem sensit Neptunus, et imis Stagna refusa vadis, graviter commotus; et alto Prospiciens, summa placidum caput extulit unda. Disiectam Eneae toto videt aequore classem; Fluctibus oppressos Troas caelique ruina.
E ben conobbe in ciò, come suo frate,
Che ne fora cagion l'ira e la froda
De l'empia Giuno. Euro a se chiama e Zefiro, E 'n tal guisa acremente li rampogna : Tanta ancor tracotanza in voi s'alletta, Razza perversa? Voi, voi, senza me, Nel regno mio la terra e 'l ciel confondere, E far nel mare un sì gran moto osate? Io vi farò.... Ma di mestiero è prima Abbonazzar quest' onde. Altra fïata In altra guisa il fio mi pagherete Del fallir vostro. Via tosto di qua, Spirti malvagi; e da mia parte dite Al vostro re, che questo regno e questo Tridente è mio, e che a me solo è dato . Per lui sono i suoi sassi e le sue grotte, Case degne di voi. Quella è sua reggia:
Nec latuere doli fratrem Iunonis et irae. Eurum ad se Zephyrumque vocat; dehinc talia fatur: Tantane vos generis tenuit fiducia vestri? Iam caelum terramque meo sine numine, venti, Miscere, et tantas audetis tollere moles? Quos ego....Sed motos praestat componere fluctus. 135 Post mihi non simili poena commissa luetis. Maturate fugam, regique haec dicite vestro: Non illi imperium pelagi, saevumque tridentem, Sed mihi sorte datum. Tenet ille immania saxa Vestras, Eure, domos; illa se iactet in aula 140
Quivi solo si vanti; e per regnare,
De la prigion de' suoi venti non esca. Così dicendo, in quanto appena il disse, La tempesta cessò, s'acquetò'l mare, Si dileguar le nubi, apparve il sole. Cimotöe e Triton, l' una con l'onde, L'altro col dorso, le tre navi indietro Ritirar da lo scoglio in cui percossero . Le tre che ne l'arena eran sepolte, Egli stesso, le vaste sirti aprendo, Sollevò col tridente, ed a se trassele. Poscia sovra al suo carro d'ogui intorno Scorrendo lievemente, ovunque apparve, Agguagliò 'l mare, e lo ripose in calma. Come addivien sovente in un gran popolo, Allor che per discordia si tumultua, E 'mperversando va la plebe ignobile, Quando l'aste e le faci e i sassi volano
Eolus, et clauso ventorum carcere regnet. Sic ait: et dicto citius tumida aequora placat; Collectasque fugat nubes, solemque reducit. Cymothoe, simul et Triton adnixus, acuto Detrudunt naves scopulo: levat ipse tridenti, 145 Et vastas aperit syrtes, et temperat aequor, Atque rotis summas levibus perlabitur undus. Ac, veluti magno in populo quum saepe coorta est Seditio, saevitque animis ignobile vulgus ; Iamque faces et saxa volant; furor arma ministrat:
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