Ne convitate; ed io, quando l'Aurora Tranquillo e queto il nono giorno adduca, A' solenni spettacoli v'invito
Di navi, di pedoni e di cavalli,
Al corso, a la palestra, al cesto, a l'arco. Ognun vi si prepari, ognun ne speri Degna del suo valor mercede e palma. E voi datevi assenso, e tutti insieme V'inghirlandate. E, ciò dicendo, il primo Del suo mirto materno il crin si ciuse. Elimo lo segui, seguillo Alete,
Un di verd' anni e l'altro di maturi; Poscia il fanciullo Iulo; e dietro a loro D'ogni età gli altri tutti. Enea, disceso Dal parlamento, in mezzo a quante intorno Avea schiere di genti, umile e mesto
Praeterea, si nona diem mortalibus almum Aurora extulerit, radiisque rete xerit orbem, Prima citae Teucris ponam certamina classis. Quique pedum cursu valet, et qui viribus audax, Aut iaculo incedit melior, levibusque sagittis, Seu crudo fidit pugnam committere caestu: Cunctiadsint,meritaeque exspectent praemia palmae: Ore favete omnes, et tempora cingile ramis. Sic fatus, velat materna tempora myrto. Hoc Helymus facit, hoc aevi maturus Acestes, Hoc puer Ascanius: sequitur quos cetera pubes. Ille e concilio multis cum millibus ibat
Al sepolcro d'Anchise appresentossi: E con rito solenne in terra sparte Due gran coppe di vino e due di latte E due di sangue, di purpurei fiori Vi nevigò di sopra un nembo, e disse: A voi sant' ossa, a voi ceneri amate
E famose e felici, anima ed ombra Del padre mio, torno di nuovo indarno Per onorarvi; poichè Italia e 'l Tebro (Se pur Tebro è per noi) ne si contende. Or quel ch'io posso, con devoto affetto V' adoro, e'nchino come cosa santa. Mentre così dicea, di sotto al cavo De l'alto avello un gran lubrico serpe Uscì placidamente; e sette volte
Con sette giri al tumulo s'avvolse.
Ad tumulum, magna medius comitante caterva. Hic duo rite mero libans carchesia Baccho, Fundit humi, duo lacte novo, duo sanguine sacro, Purpureosque iacit flores, ac talia fatur: Salve, sancte parens: iterum salvete recepti Nequidquam cineres,animaeque umbraeque paternae. Non licuit fines italos, fataliaque arva,
Nec tecum ausonium (quicumque est) quaerere Tibrim.
Dixerat haec: adytis quum lubricus anguis ab imis Septem ingens gyros, septena volumina traxit, 85 Amplexus placide tumulum, lapsusque per aras:
Indi, strisciando infra gli altari e i vasi, Le vivande lambendo, in dolce guisa, Con le cerulee sue squamose terga Sen gío divincolando, e, quasi un' Iri A Sole avverso, scintillò d'intorno Mille varii color di luce e d'oro. Stupissi Enea di cotal vista; e l'angue Di lungo tratto infra le mense e l'are, Ond' era uscito, al fin si ricondusse.
Rinovellò gl' incominciati onori
Il Frigio Duce, del serpente incerto, Se del loco era il Genio, o pur del padre Sergente o messo. E com' era uso antico, Cinque pecore elette e cinque porci, Con cinque di morello il tergo aspersi Grassi giovenchi anzi a la tomba uccise, Nuove tazze versando, e nuovamente
Caeruleae cui terga notae, maculosus et auro Squamam incendebat fulgor: ceu nubibus arcus Mille trahit varios adverso sole colores. Obstupuit visu Eneas. Ille agmine longo Tandem inter pateras et laevia pocula serpens Libavitque dapes, rursusque innoxius imo Successit tumulo, et depasta altaria liquit. Hoc magis inceptos genitori instaurat honores, Incertus, Geniumne loci, famulumne parentis 95 Esse putet: caedit quinas de more bidentes, Totque sues, totidem nigrantes terga iuvencos:
Fin d'Acheronte richiamando il nome E l'anima d' Anchise. Indi i compagni, Ciascun secondo la sua possa offrendo, Lieti colmar di doni i santi altari: Altri di lor le vittime immolaro, Altri cibi ne fero; e tutti insieme Sul verde prato a convivar si diero. Era già 'l nono destinato giorno
Sereno e lieto a l' Oriente apparso,
E già la vaga fama e 'l chiaro nome Avea d' Aceste convocati intorno I vicin tutti, e pieni erano i liti Di gente, cui traea parte vaghezza Di vedere i Troiani, e parte ardire Di provarsi con loro. In prima esposti Con pompa riguardevole e solenne Furo in mezzo del Circo armi indorate,
Vinaque fundebat pateris, animamque vocabat Anchisae magni, manesque Acheronte remissos. Necnon et socii, quae cuique est copia, laeti Dona ferunt, onerantque aras, mactantque iuvencos. Ordine ahena locant alii, fusique per herbam Subiiciunt verubus prunas, et viscera torrent. Exspectata dies aderat, nonamque serena
Auroram Phaethontis equi iam luce vehebant: 105 Famaque finitimos, et clari nomen Acestae Excierat: laeto complerant litora coetu,
Visuri Eneadas: pars et certare parati.
Purpuree vesti, e tripodi e corone,
E più guise d' arnesi e di monete
D'argento e d'oro, e palme ed altri premi Di vincitori. Indi sonora tromba
D'alto diè segno a i desïati ludi,
E dal mar cominciossi. Avean di tutta La teucra armata quattro legni scelti Più di remi e di remigi guarniti, E di tutti più destri. Un fu la Pistri, E Memmo la reggea; Memmo che poi L' Italo fu nomato, e diede il nome A la stirpe de' Memmi. La Chimera Fu l'altro, a cui preposto era il gran Gía, Un gran vascello che a tre palchi avea Disposti i remi; e i remiganti tutti
Eran Troiani e giovani e robusti.
Munera principio ante oculos, circoque locantur In medio: sacri tripodes, viridesque coronae, Et palmae, pretium victoribus, armaque, et ostro Perfusae vestes, argenti aurique talenta: Et tuba commissos medio canit aggere ludos. Prima pares ineunt gravibus certamina remis Quatuor, ex omni delectae classe, carinae. Velocem Mnestheus agit acri remige Pristin, Mox italus Mnestheus, genus a quo nomine Memmi, Ingentemque Gyas ingenti mole Chimaeram, Urbis opus: triplici pubes quam dardana versu Impellunt, terno consurgunt ordine remi.
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