L'infortunio di Troia! È tempo omai, Dii tutti e Dee, cui la dardania gente Unqua fece onta, che perdono e pace Le concediate. E tu, Vergine santa Del futuro presaga, or ne dimostra Il seggio e 'l regno che ne danno i fati (Se pur nel danno) ove i Troiani afflitti, Ove di Troia i travagliati Numi,
E i dispersi Penati alberghi e posi; Ch' allor di saldo marmo a Trivia, a Febo Ergerò tempii, e del suo nome i ludi Consacrerogli, e i dì festi e solenni. Ed ancor tu nel nostro regno avrai Sacri luoghi reposti, ove serbati Per lumi e specchi a le future genti Da venerandi a ciò patrizii eletti Saranno i detti e i vaticinii tuoi.
Vos quoque pergameae iam fas est parcere genti, Diique Deaeque omnes, quibus obstitit Ilium, et ingens Gloria Dardaniae. Tuque, o sanctissima vutes, Praescia venturi, da, non indebita posco, Regna meis fatis, Latio considere Teucros, Errantesque Deos, agitataque numina Troiae. Tum Phoebo et Triviae solido de marmore templum Instituam, festosque dies de nomine Phoebi. Te quoque magna manent regnis penetralia nostris: · Hic ego namque tuas sortes, arcanaque fata Dicta meae genti ponam, lectosque sacrabo,
Quel che prima ti chieggio è che i tuoi carmi 110 S'odan per la tua lingua, e non che in foglie Sian da te scritti, onde ludibrio poi Sian di rapidi venti. E più non disse. Ella già presa, ma non doma ancora Dal febeo nume, per di sotto trarsi A sì gran salma, quasi poltra e fiera Scapestrata giumenta, per la grotta Imperversando e mugolando andava. Ma com' più si scotea, più dal gran Dio Era affrenata, e le rabbiose labbia E l'efferato core al suo misterio Più mansueto e più vinto rendea. Eran da lor già della grotta aperte Le cento porte, allor ch' ella gridando Così mandò la sua risposta a l' aura: Compiti son del mar tutti i pericoli; Restan quei de la terra, che terribili
Alma, viros. Foliis tantum ne carmina manda; Ne turbata volent rapidis ludibria ventis: Ipsa canas, oro. Finem dedit ore loquendi. At, Phoebi nondum patiens, immanis in antro Bacchatur vates, magnum si pectore possit Excussisse Deum: tanto magis ille fatigat Os rabidum, fera corda domans, fingitque premendo. 80 Ostia iamque domus patuere ingentia centum Sponte sua, vatisque ferunt responsa per auras. O tandem magnis pelagi defuncte periclis!
Saran veracemente e formidabili.
Verranno i Teucri al regno di Lavinio: Di ciò t' affido. Ma ben tosto d'esservi Si pentiranno. Guerre, guerre orribili
Sorger ne veggio, e pien di sangue il Tevere. Saravvi un altro Xanto, un altro. Simoi,
Altri Greci, altro Achille che progenie
Ancor egli è di Dea. Giuno implacabile Allor più ti sarà, che supplichevole Andrai d' Italia a quai non terce, o popoli D'aita mendicando e di sussidii?
E fian di tanto mal di nuovo origine D'esterna moglie esterne sponsalizie.
Ma 'l tuo cor non paventi, anzi con l'animo. Supera le fatiche e gl' infortunii;
Sed terra graviora manent. In regna Lavini Dardanidae vertient; (mitte hanc de pectore curam) Sed non et venisse volent. Bella, horrida bella, Et Thybrim multo spumantem sanguine cerno. Non Simois tibi, nec Xanthus, nec dorica castra Defuerint. Alius Latio iam partus Achilles, Natus et ipse Dea. Nec Teucris addita Iuno Usquam aberit; quum tu supplex in rebus egenis Quas gentes Italum, aut quas non oraveris urbes! Caussa mali tanti coniux, iterum hospita Teucris, Externique iterum thalami.
Tu ne cede malis; sed contra audentior ito,
Quam tua te fortuna sinet. Via prima salutis, Encide Vol. 1
Che tua salute ancor da terra argolica
(Quel che men credi ) avrà lume e principio. Questi intricati e spaventosi detti
Dal più reposto loco alto mugghiando, La Cumea Profetessa empiea lo speco D'orribil tuoni: e come il suo furore Era da Febo raffrenato o spinto,
Che mi sia nuova, o non pensata in prima. Tutto ho previsto, tutto ho presentito, Che da te m'è predetto; e tutto io sono A soffrir preparato. Or sol ti chieggo
Quod minime reris, graia pandetur ab urbe. Talibus ex ady to dictis cumaea Sibylla
Horrendas canit ambages, antroque remugit, Obscuris vera involvens: ea frena furenti Concutit, et stimulos sub pectore vertit Apollo. Ut primum cessit furor, et rabida ora quierunt, Incipit Eneas heros: Non ulla laborum, O virgo, nova mi facies inopinave surgit. Omnia praecepi, atque animo mecum ante peregi. Unum oro; (quando hic inferni ianua regis
(Poscia che qui si dice esser l' intrata De' regni inferni, e d'Acheronte il lago) Che per te quinci nel cospetto io venga Del mio diletto padre; e tu la porta, Tu'l sentier me ne mostra, e tu mi guida. Io lui dal foco e da mill' armi infeste Tratto ho di mezzo a le nimiche schiere Su queste spalle; ed ei scorta e compagno Del mio viaggio e del mio esiglio, meco I perigli, i disagii e le tempeste Del mar, del cielo e de l' età soffrendo, Véglio, debile e stanco ha me seguito; Ed egli stesso m' ha nel sonno imposto Che a te ne venga, e per tuo mezzo a lui Mi riconduca. Abbi pietà, ti priego,
E del padre e del figlio; ed ambi insieme
Come puoi, (chè puoi tutto) or ne congiungi;
Dicitur, et tenebrosa palus Acheronte refuso)` Ire ad conspectum cari genitoris, et ora Contingat: doceas iter, et sacra ostia pandas. Illum ego per flammas, et mille sequentia tela Eripui his humeris, medioque ex hoste recepi; Ille meum comitatus iter, maria omnia mecum, Atque omnes pelagique minas caelique ferebat Invalidus, vires ultra sortemque senectae. Quin, ut te supplex peterem, et tua limina adirem, Idem orans mandata dabat. Gnatique patrisque, Alma, precor, miserere: potes namque omnia: nec te
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