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KPF 962(1)

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GLI EDITORI

A CHI LEGGE

Non hanno le Lettere alcun Libro più costantemente amato e riverito è più d'immortal fama nominato come l'Eneide di VirgiLIO, la quale è detta la gloria de' Latini, il paragone di loro lingua, e l'ultimo segno del valore poetico, e si tiene per uno de' più cari pegni dell'umano intelletto, e de' più eterni pregi di quella famosa Nazione.

La ristampa dunque di tale Opera anche senz'altro fregio, che d'una sana correzione, mal può non essere gradita al Pubblico, a cui in ciò si moltiplicano gli esemplari di sì perfetto originale e insieme l'agevolezza di poter farne l'acquisto.

Ma noi in questa edizione per le nostre cure eseguita non siamo stati contenti al semplice consiglio di mandar fuori così l'ENEIDE nella sola sua favella nativa, universalmente coltivata, ma abbiamo anche voluto accompagnarla d'una TRADUZIONE ITALIANA per farne più comune la lettura, argomentando che quel che è bene ai più, è maggior bene, e che la virtù che maggiormente giova, è maggior virtù. Anzi per vero dire fu nostro principale intento la stampa della TRADUZIONE; e quindi nel volume nostro le abbiamo dato la precedenza del luogo; e per amore della pro

porzione e della per così dire euritmía tipografica, abbiamo qui messo il testo a piede e non a fronte del Volgarizzamento: costume commendevole e per gli egregi esempi che se ne veggono, e per la buona ragione che abbiamo mentovata. Noteremo inoltre che l'aver accoppiato insieme il testo e la versione non guasta punto a chi non sa di latino, e che all'incontro poi offre un diletto immenso a chi ne tiene conoscenza; anzi il vero ed unico modo di ponderare il valore di chi porta da una lingua in un'altra non si può effettuare che per via del confronto.

Ma nella moltitudine de' Traduttori che ha l'Italia di questo poema, a chi si dovea qui dare la mano? In tanta specialmente varietà di giudizi e in tanta guerra di letterate fazioni? Ad ANNIBAL CARO; il quale a lato de' suoi emoli, ad onta de' sottrattori e avversari suoi ha sempre vinto con sicuro trionfo il partito innanzi al tribunale de' veri Sapienti; al cui solo giudizio è da stare in siffatte materie. Le censure qui fatte dal Bondi, dall' Algarotti, dal Soave e da altri, movono ordinariamente dalla poco squisita lor conoscenza di quest' arte, e dalla confusion che fanno negli uffici di Traduttore e d'Interprete; movono anche per lo più da quella benedetta ragione che tira i mezzani a maledire i grandi, movono da quello scommunicato costume di voler sollevarsi abbassando gli altri, e fabbricare su le altrui rovine.

Con queste avvertenze però de' peccati altrui, non intendiamo di escusare o tacere quelli del CARO; anzi di facile ci restringiamo al parere di que' Saggi,

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