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culto prestato a Lui, col quale si onora come sovrano padrone. di tutte le cose. L'uomo che intimamente sente di essere eguale in diritto ad ogni altro uomo, conosce ottimamente non potervi essere alcuna legge fra gli uomini, la quale l'obblighi a sottomettersi ad un suo uguale; se tal legge non venga da un Essere essenzialmente padrone di tutto il genere umano. Dunque la sommissione, la ricognizione, il culto prestato a quest Essere è il fondamento necessario della Sovranità, e senza quello non può questa esistere. I pagani stessi hanno ben conosciuta questa fondamentale verità. Perciò i più antichi legislatori proponevano al popolo le leggi come dettate loro dagli Dei. La prima cura, dice Platone, in ogni governo bene stabilito dev'essere sopra la Religione, nella quale sia bene istruito il sommo magistrato: Prima in omni Repubblica bene constituta cura est de vera Religione, non autem de falsa, vel fabulosa stabilienda. in qua summus Magistratus a teneris instruatur ( Plato de Rep. lib. 2 ). La nostra città, dice un altro scrittore, sempre ha stimato doversi prima, e sopra ogni altra cosa stabilire la Religione, anche in coloro che hanno il supremo comando « Omnia namque post Religionem ponenda nostra civitas semper duxit, etiam in quibus summae Majestatis conspici decus voluit (Val. Max. lib. 1. cap. 1. de Relig.) Quindi fra gli atei non vi può essere sovranità. Un ateo non può sottomettersi ad un uomo per coscienza, e per vera Religione interna, non potendo riconoscere in altri uomini diritto di comandare, se non come proveniente da un Essere superiore. Questo Essere non è riconosciuto dall' ateo che attacca la Divinità, come un parto della fantasia, e della supertizione dell' uomo. Dunque fra gli Atei non vi può essere sovranità. Un' Ateo non riconosce alcun freno delle sue volontà, e delle sue passioni, se non la forza, che le sottomette contro sua voglia. I rimorsi della coscienza sono stimati da lui, come i dolori del corpo. Di più egli non riconosce, nè premio eterno nella vita futura alla virtù, nè ca

stigo al vizio; anzi neppur distingue la virtù dal vizio, se non per il carattere del proprio suo interesse nel momento. Per qual motivo adunque opererebbe? Pel solo motivo del pane, o del bastone come le bestie. Bayle, che crede possibile una società di Atei con governo ben regolato sbaglia nei primi principj, e contradice alla ragione, ed al senso comune di tutto il mondo. Adunque non vi è, nè vi può essere sovranità senza Religione.

9. Quinto. La sovranità non può stare senza popolo, che formi società. Potestà di comandare richiede essenzialmente in altri l'obbligo di obbedire: un relativo non può stare senza l'altro: senza popolo, chi ubbidirà? Dunque senza popolo suddito non vi è sovranità.

10. Sesto. Quindi il popolo essenzialmente ha obbligo di ubbidire. Dunque è un'idea vana, e falsa quella libertà illimitata, che da taluni si spaccia essere uno dei diritti dell' uomo, cioè di poter far tutto ciò, che gli piace, e fisicamente si può fare. Questa chimera di libertà non si trova nei Sovrani, poichè sono soggetti alla legge della Giustizia. (Vedi sopra n. 5. ); non si trova nei popoli, che formano società poichè sono soggetti alle leggi del sovrano: neppur si trova fra i selvaggi erranti, e barbari, poichè sono soggetti al braccio del più forte, ed alle violenze dei loro simili. Dunque non si trova in veruna parte.

11. Settimo. La sovranità è diretta essenzialmente al bene degli uomini. Dio ha creato l'uomo per la felicità. La continua, irresistibile, insuperabile ed a tutti comune tendenza verso la felicità n'è una prova decisiva. Ripugna agli attributi di Dio inserir nell'uomo si fatta tendenza, e non volere, che l'uomo sia felice, e soggettarlo ad una potestà, che non tende a questo fine. Sarebbe contro la sapienza e la bontà di Dio, se tulta una nazione, tutto uno stato si dovesse rapportare ai vantaggi di un uomo solo, o di un corpo di uomini dominante. L'ordine della provvidenza divina cosi s' invertirebbe: Rifletti diceva

Seneca a Nerone, che la Repubblica non è tua; ma tu sei della Repubblica « Adverte Rempublicam non esse tuam, sed te Reipublicae. Egli è evidente, dice il politico Wolfio, che gli uomini non formano una società politica e non si sottomettono alle leggi sue, che per vantaggio lor proprio, e per la loro salvezza. L'autorità sovrana non è dunque stabilita che per il bene comune di tutti i cittadini ( Walf. del diritt. delle genti tom. 1. lib. 1. cap. 4. §. 39. ).

12. Questa verità fondamentale, che ci viene insegnata dalla natura coi suoi lumi, ci vien confermata dalla Religione colle sue massime. S. Paolo chiama la potestà di comandare agli uomini un ministero diretto al ben dei medesimi « Dei minister est tibi in bonum » E talmente dev'esser diretto al bene, che cessa di esser giusto, ed efficace, quando tenda al male « Secundum potestatem quam dedit mihi Dominus in aedificationem, et non in destructionem (11 Corint. cap. 13. vers. 10). Nelle quali parole i SS. Padri, e gli Interpreti intendono il vantaggio, o lo svantaggio del popolo. Onde S. Gregorio Nanziazeno cosi parlava ai regnanti « Dio solo comanda in cielo; voi comandate in questa terra. Imitate dunque Dio nel comandare ai vostri sudditi « Supera solius Dei sunt; infera autem vestra etiam sunt: subditis vestris Deos vos praebete» (Or. 27. p. 69 edit. lat. Paris an. 1589 ). Dunque un Sovrano, che agisca contro il bene cognito, e comune del suo popolo, abusa del ministero commessogli da Dio, ed agisce senz' autorità. Noi possiam tutto per la verità dice S. Paolo, e non possiam niente contro la verità « Non enim possimus aliquid adversus veritatem, sed pro veritate (11. ad Cor. 13. v. 8. ) Dio è verità, e giustizia per essenza: Tutto ciò ch'è contro la volontà di Dio, è contro la Giustizia, e la verità. Or contro la volontà di Dio è certamente, che la sovranità da lui comunicata per bene, degli uomini agisca per danno, e male dei medesimi. Dunque agisce contro la giustizia, e la verità; e per conseguenza agisce nullamente.

S. Tommaso in tutte le questioni, nelle quali tratta delle leggi, assume sempre, come un principio indubitabile, che ogni legge (e perciò anche la potestà di far leggi, vale a dire la sovranità) è diretta di sua natura al ben comune degli uomini, e che non ha forza di obbligare, se non in quanto è diretta a questo bene. L'art. 11 della quest. XC. nella 1. 2. è tutto diretto a provare, che di essenza delle leggi è l' esser dirette al ben comune « Dicendum, quod supra scriptum est ( nel luogo or citato) omnis lex ordinatur ad communem hominum salutem; et in tantum obtinet vim, et rationem legis: secundum vero quod ab hoc deficit, virtutem obligandi non habet ( 1. 2. 9. XCVI. art. VI ).

13. Perchè l'uomo ottenga il suo fine, ch'è la felicità, gli è necessaria la società come mezzo. Egli sarebbe infelicissimo inevitabilmente nell' ordine, e fisico, e morale, se fosse abbandonato a se solo. Nato appena troverebbe la morte nella sua cuna, se non trovasse nelle amorose cure, di chi gli ha data la vita, la sua conservazione. Cresciuto nelle braccia de' suoi genitori, è costretto a lottar del continuo contro la fame, la sete, e l'inclemenza, e varietà delle stagioni, le malattie, ed altri indefiniti bisogni. Da se ed in se solo non avrebbe forze, e mezzi bastanti per conservarsi, e perfezionarsi. Parrebbe, che non fosse vissuto per un qualche tempo, se non che per provare successivamente, e simultaneamento tutti i mali della umanità, e poi morire. La sua condizione nell'ordine morale non sarebbe punto migliore. Pieno di gagliarde passioni sente dentro se stesso un combattimento continuo tra l'inclinazione al male, ed una voce imperiosa, che da esso lo ritira. Straziato così, e quasi diviso in due parti, non trova riposo, e tranquillità. Che dirò della illusione dei sensi, e delle false idee che nascon da essa? Queste traggon l'uomo in una infinità di errori, che necessariamente infelicitano un essere ragionevole formato per la verità.

14. A tutti questi mali rimedia la società umana. In es

sa ogni individuo, sottomesso alle leggi, occupa il suo posto nel giusto equilibrio tra una libertà isfrenata ed una tormentosa oppressione, e trova quei soccorsi per il corpo, e quei lumi per lo spirito, che convengono ai suoi bisogni. Le forze, e le cognizioni di tutti riunite, sono un patrimonio comune a ciascuno. Se l'uomo perde qualche cosa nella società dal canto della libertà, vi guadagna molto di più per altri versi. Dunque Iddio, che ha creato l' uomo per la felicità, come fine, l'ha posto nella società, come mezzo, per acquistar questo fine. Il contratto sociale immaginato da Giangiacomo Rousseau è una chimera. L'uomo si trova nella società di famiglia senza sua saputa o volontà, nel momento stesso del suo nascere: crescendo in progresso, si trova già posto in una società più estesa, e la natura stessa lo spinge a mantenervisi, ed a sempre più dilatarla. Se l'uomo qualche volta fugge la società dei suoi simili, questo non è per inclinazion naturale, ma per riflessione, o per qualche passione. Non la natura della società; ma i vizi degli uomini producono quest' effetto: e tuttavia anche il più deciso misantropo non può isolarsi affatto. I suoi bisogni non gliel consentono. Or ciò ch'è istinto di natura ragionevole, certamente vien da Dio. Dunque Dio ha voluto, che l'uomo vivesse in società, come mezzo per giungere al suo fine di esser felice.

15. Ollavo. La sovranità è assolutamente necessaria al ben comune della società umana. L'uomo vivendo in società, per esser felice, dee necessariamente vivere nella dipendenza, ed esser regolato da una potenza visibile e suprema. Se ciascuno individuo volesse, e potesse far tuttociò, che gli piace, ed usare dei suoi diritti, delle sue forze, della sua libertà in tutti i tempi, i luoghi, e le maniere, che buone gli sembrano per la felicità sua particolare, chi non vede a colpo di occhio sorger subito uno stato di guerra crudele, e continuo di un contro l'altro? L'amor proprio ch'è un gran principio movente, la molla di tutte le operazioni dell'uomo, ergerebbe un

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