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quantunquegli di privato sentimento con fondate ragioni la stimasse ingiusta; tuttavia non avendo di ciò vera evidenza, si credesse in obbligo di obbedire al suo sovrano civile. Di fatti S. Gregorio stesso soggiunge, che col far pubblicar quella Legge, egli, come soggetto all'Imperatore, avea renduto a Cesare ciò, che a Cesare si dovca « Ego quidem jussioni subiectus eamdem legem per diversas terrarum partes trasmitli feci .. Utrobique ergo, quae debui exsolui, qui et Imperatori obedientiam praebui, et pro Deo, quae sensi minime tacui». Dove si noti così di passaggio, come un Papa si protesta suddito con vero dovere di obbedienza verso l'imperatore in allora Sovrano di Roma. Sul principio della sua lettera chiama se stesso Servum jure Reipublicae, vale a dire nelle cose temporali, e civili. Il che conferma ciò, che ha detto S. Giangrisostomo nell' antecedente num. 42 non essere esenti dall' obbligo di obbedire alle sublimi potestà nè i preti, nè i religiosi, nè i Vescovi, nè gli Apostoli.

56. Quando le ingiustizie dei comandi, e delle disposizioni di un Sovrano sono perfettamente evidenti, oltre il non aver obbligo di obbedire, si avrebbe mai per avventura il diritto di rivoltarsi contro di lui, di eccitar sedizioni, di ribellarsi? La parola di Dio scritta, e l' esempio costante dei Cristiani nei primi secoli della Chiesa ci dicono di nò. Siate soggetti, dice l'Apostolo S. Pietro, ai padroni, non solamente buoni e modesti; ma ancora ai cattivi, ed oppressori: Piace a Dio, se per obbedire a lui soffrirete con pazienza ingiustizia, ed oppres sioni«Servi subditi estote in omni timore Dominis, non tantum bonis, et modestis, sed etiam discolis. Haec est enim gratia, si propter Dei conscientiam sustinet quis tristitias, patiens injuste » ( 1. Petri Cap. II. vers. 18 e seg.) David tagliò secretamente il lombo della veste a Saulle suo Re, e suo persecutore; ma si pentì poi di questo fatto, e disse alla sua gente « Dio mi guardi dall' attentar mai alla vita, ed alla libertà del mio Re unto del Signore; e non volle che

la sua gente desse addosso a Saulle ( 1. Reg. XXIV. ) Roboamo Re di Giuda trattava assai duramente il popolo, ed alle rimostranze di questo per esser sollevato da tanta durezza il Re minacciò di peggio trattarlo (III. Reg. XII. ). Si ribellarono allora dieci Tribù, ed elessero Geroboamo a loro Re. Ma la S. Scrittura da per tutto detesta questo fatto, e Geroboamo ne soffri amari rimproveri, e ne fu castigato da Dio colla perdita di cinquantamila soldati in una battaglia col Rė di Giuda ( II. Paral. XIII.) Si può vedere l' Apologético di Tertulliano pro Christianis adversus Gentes » Da chi, die' Egli, sono state mosse le ribellioni?. Chi ha tenuto l'Impe <«<radore assediato? Sono stati i Romani; non già i Cristiani A noi è proibito di far male a' chicchessia; molto

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più poi all'Imperatore...... Se ci fosse lecito render male « per male e vendicarci dell'oppressione in cui siamo, in una « nolle potremmo dar fuoco a tutta Roma » E seguita lunga «mente a dire, che se fosse lecito ai Cristiani tramar ribel

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bellioni, le forze tutte dell'Impero Romano non varrebbero a << resistere, e partendone i Cristiani, Esso resterebbe quasi de «serto: Ma sempre và replicando, che la legge di Gesù Cristo

insegna a soffrire; non a tramar sedizioni, e ribellioni per « sottrarsi alla ingiusta oppressione » Unde Crassi et Nigri, et Albini? Unde qui inter duas lauros obsident Caesarem? Unde qui faucibus ejus comprimendis palestricam exercent? Unde qui armati Palatium irrumpunt? De Romanis ni fallor, id est, de non Christianis.... Male facere velle, male facere de quoquam ex aequo velamur: quodcumque non licet in Imperatorem id nec in quemquam quod in neminem, eo forsitan magis nec in ipsum, qui per Deum tantus est. Lina nox pauculis faculis largitatem ultionis posset operari, si malum malo dispungi penes nos liceret (Apolog. Cap. 55. et 37. Edit. Pamel. ). Odansi le belle espressioni di S. Ambrogio nel caso di una feroce, ed ingiusta persecuzione « Dolere potero, potero flere; adversus arma, milites

gothos quoque lacrimae meae arma sunt: talia enim munimenta sunt Sacerdotis, e di ogni altro buon Cristiano; Aliter nec debeo, nec possum resistere « (Serm. cont. Auxent. n. 2.) Su questi esempi, su queste Dottrine il Bossuet conchiude cosi « I sudditi non hanno da opporre alle violenze «de' Sovrani, se non delle rimostranze rispettose, senza com<< plotti, senza fazioni, senza sedizione, e delle Orazioni a Dio << per la loro conversione » (Politic. Lib. 6. artic. 2. prop. 6.) Tutti quelli scrittori i quali hanno insegnate massime diverse sonosi dimenticati della legge suprema della salute del popolo. Le massime tendenti alla insurrezione contro il cattivo governo dei Sovrani accendono fra il popolo un gran fuoco, che spande da per tutto luce di belle speranze; ma finisce con metter tutto in combustione e l'abbiamo pur troppo provato.

57. Fin qui si è parlato dei dubbj cadenti sulla Giustizia, e ingiustizia dei comandi. Ma il dubbio può nascere anche per un altro titolo. Si può con buone ragioni dubitare, se il Sovrano regni legittimamente. In una guerra s' invadono le città, e le provincie, e si ritengono dall' invasore ad tempus, e già si prevede, come spesso accade, che poi si restituiranno. Altre molte maniere vi sono atte a far nascere un dubbio di questa natura. Che si deve fare in questi casi? Obbliga la legge di obbedire a quella sovranità, che sia dubbiosa quanto all'essere legittima? ovvero un dubbio dispensa dall' obbedienza?

58. Con tal questione noi ricadiamo nell' esame privato, e dipendente dal pensar vario di ciascuno; vale a dire ricadiamo nell' assurdo considerato di sopra al num. 50. Non vi è peste peggiore dell' umana società; non vi è cosa che tanto allontani un popolo dal fine suo di esser felice e nella tranquillità; che in somma incammini uno stato più direttamente alla sua rovina, quanto il far dipendere dal cervello vario degli uomini, e dal lor modo di pensare il vincolo essenziale,

che unisce il popolo alla Sovranità, e la Sovranità al popolo, cioè a dire la sommissione e la obbedienza. Quindi il suddito non ha da riguardare altro nel sovrano, che il puro fatto del possesso pacifico di comandare. Questa massima è una conseguenza legittima, e necessaria discendente dalla legge suprema della salute del popolo. E se questa legge ha luogo nei dubbj sulla legittimità di chi comanda; come chiaramente vi ha luogo; dunque è volontà di Dio che in caso di questi dubbj si obbedisca. Si applichi a questo caso il raziocinio fatto in addietro al núm. 51.

59. I Cristiani dei primi secoli erano sottomessi ed obbedienti con tutta puntualità agl' Imperatori senza mai cercare se legittimamente, o nò fossero ascesi all' Impero. Eppure sà ognuno dalla storia le vicende, i tradimenti, i massacri, che in quei tempi faceano strada al trono. Regnando in occidente I' Imperator Graziano, occupò tirannicamente l'Impero nelle Gallie Massimo, e con perfida fellonia fece ammazzare Graziano. S. Ambrogio andò due volte nelle Gallie da Massimo per trattare la pace tra Lui, e l' Imperator Graziano, ed ucciso questo, fra Massimo, e l'Imperator Valentiniano. Notabil cosa è che il S. Dottore chiama Valentiniano inferiore a Massimo, poichè nella prima ambasciata viveva tuttora Graziano: ma nella seconda ambasciata chiama Valentiniano uguale a Massimo, quando morto già Graziano, regnava solo Valentiniano « Cur inquit (sono parole di Massimo a S. Ambrogio) ingressus es? (nelle Gallie). Risponde ora S. Ambrogio, quia tunc ut inferiori pacem petebam, nunc ut æquali (S. Ambrog. Epist. 24. num. 3. edit. Maurin.) Notabil cosa si è questo titolo di uguale dato ad un Tiranno, qual era Massimo, e tiranno di usurpazione.

Sul principio del settimo Secolo l'Imperatore Maurizio fu barbaramente ucciso da Foca semplice capitano nell'Esercito Imperiale, ed uccisi furono insieme col padre i figliuoli, la moglie con tre figlie, Pietro di Lei fratello ed alcuni Gran

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di dell' Impero. Per mezzo di cosi enormi ingiustizie Foca ottenne quel trono. Subito il Pontefice S. Gregorio M. scrisse a Foca una Lettera congratulatoria, nella quale parla a Lui, come ad Imperadore, e lo riconosce come suo Sovrano. Diamo alcuni squarci di questa lettera in prova, che l'è la 31. del lib. 13. indict. VI. secondo l'edizione dei Maurini « De Exultationis abundantia roborari nos citius credimus, qui benignitatem vestrae pietatis ad imperiale fastigium pervenisse gaudemus. Laelentur coeli, et exultet terra..... Comprimantur jugo dominationis vestrae superbae mentes hostium; releventur vestra misericordia contriti, et depressi animi subjectorum... Hoc inter Reges gentium, et Reipublicae Imperatores distat, quod Reges gentium Domini servorum sunt; Imperatores vero Reipublicae Domini liberorum » Scrisse altra Lettera al medesimo, che l'è la 58 del citato Lib. 13; nella quale si scusa, se non vi era presso ca l'Apocrisario solito tenersi dal Pontefice presso l'Imperatore per trattare gli affari, ed uno a bella posta ne spedisce. Finalmente scrive congratulandosi anche con Leonzia moglie di Foca, e la tratta in tutto come Imperadrice Sovrana. Alla Lettera 59. si vegga ancora su di ciò S. Ambrogio nella pist. ad Eugenium fatto Imperatore dopo la morte di Valentiniano strangolato per tradimento di Arbagasto. Di più la Lettera IV. del Pontefice Simplicio a Basilisco tiranno intruso, la Lettera di S. Fulgenzio a Trasimondo Re dei Vandali in Africa al lib. 1. cap. 2; e la Lettera di Papa Pelagio al cap. noverit. de sent. excom.

Fo

60. Questi antichi esempi di condotta da tenersi, con chi stà in possesso pacifico di comandare, senza entrare in esame della Giustizia, a legittimità di tal possesso, ci vengono autorizzati, e confermati dall' esempio di MARIA SANTISSIMA, e di S. GIUSEPPE suo Sposo. Tutti sanno, con qual dirtto regnasse in Roma l'Imperadore Augusto dopo la iniqua oppressione della Repubblica. Con tuttociò appena fu pubblicato da quel

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