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Lo stesso ORAZIO non se n'è dimenticato e basta a dimostrarlo quel suo verso della Poetica, Nec verbum verbo etc. ch'è stato alle versioni di tutti i libri, come l'alloro all'osterie. S. Girolamo nella lettera a Pammachio, De optimo genere interpretandi, fermasi a chiosarlo, e parla di proposito delle versioni del Protagora di Platone, dell'Economico di Senofonte, e delle due famose orazioni d' Eschine e di Demostene su la Corona, recate in latino da Cicerone, ma senza lacci al piede, e inoltre la costui traduzion di Arato, e i tanti squarci di poeti greci, ch'egli inserisce nelle opere sue, trasferiti in latino. E mentre parliam di greche traduzioni, ometter non possiamo la rinomata elegia di Callimaco, e l'oda di Saffo, che Catullo volle traslatare, se pur non ci piaccia uniformarci alla congettura del Quadrio, che il poemetto epitalamico delle nozze di Peleo e Teti tiene esser una versione di quello da Esiodo su lo stesso argomento composto, avvalorandone la congettura pochi versi del greco, dallo Scoliaste di Licofrone conservati, che ad un passo dell' epitalamio ben corrispondono. Opime spoglie riportarono i dotti dalla ricca suppellettile della greca letteratura più che i romani duci da Corinto e da Tigranocerta non avean fatto. Cel contestano i comici, comechè poco ci avanzi di Difilo, di Apollodoro, e del nostro Epicarmo, su le cui orme Plauto,, Non arrestando, studio suo passo,, siccome Terenzio ancor egli abbreviò più che non tradusse Menandro. E tradotta altresì dalla descrizione della peste di Atene di Tucidide (lib. 2) può chiamarsi quella di Lucrezio nel lib. 6, alla quale non poco rassomigliasi l'altra cantata da Virgilio alla fine del lib. 3 delle Georgiche. Nè intorno allo stesso Virgilio accade

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rammentare quanto degli ellenici tesori si sia giovato. Quindi Aulo Gellio di lui appunto ragionando (c. 9 1. 9), Non omnia (dice) omnino verba in eum, in quem dicta sunt modum vertamus (ecco un altro a chi traduce gravissimo precettore ); perdunt enim gratiam plerumque, si quasi invita, et recusantia violentius transferantur. Scite ergo, et considerate Virgilius, quum aut Hesiodi, aut Parthenii, aut Callimachi, aut Theocriti, aut quorumdam aliorum locos effingeret, partim reliquit, partim expressit. Ciò conferma Gellio rapportando due passi del Bucolico siracusano un luogo omerico (od p. ) ove Nausicaa è paragonata a Diana, che fu dal Mantovano imitato, paragonando alla medesima Diana la sua Didone (Aen. lib. 1 v. 502) e da Valerio Probo ne fu criticato. Se le opere di Saffo, di Simonide, di Stesicoro, di Alceo ci fosser rimase non già pochi frammenti, vedremmo quanto il nostro Lirico attinto abbia da loro.

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Monsig. Uezio ci ha lasciato anch'esso un trattato dell'ottimo genere del tradurre, e un discorso abbiamo del Gagliardi sul medesimo tema. Di dotte e filosofiche cose sono altresì sparse le osservazioni, che il sig. d'Alembert premette al Saggio della sua versione di Tacito; nè son meno savie quelle del sig. Batteux Princip. de litterature p. 3. sect. 4) e varie ancora già esposte dall'ingegnosissimo Melchior Cesarotti qua e là nelle sue prose e prefazioni alle numerose versioni di Greci, e di Latini, di Caledoni, e di Francesi, da lui pubblicate.

(3) Chiamò ORAZIO stesso fautores veterum gli archeofili del suo tempo, e quasi con acutissimo microscópio, che penetra ne' recessi del cuore umano, scerne egli da securo

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ed accurato contemplatore, onde muova l'ipocrita venerazion di colui, Qui redit ad fastos et virtutem aestimat annis, Miraturque nihil, nisi quod Libitina sacravit. Narrasi dell' inglese Tommaso Creech, famoso traduttor di Lucrezio, che fervidissimo idolatra del suo autore, non solo si fosse immerso nello studiarlo profondamente ma sino nel volerne imitare le vicende e i costumi della vita domestica, tanto che avendo appreso aver quell' Antico finiti di morte violența i suoi giorni, fermò di ricopiar anche in questo il suo originale, e si appiccò per la gola. Ciò per altro è stato scritto per pretta bizzarria, giacchè il latino poeta mori di farnetico, e l'inglese si strinse un capestro al collo per disperazione amorosa.

(4) Eccitata da troppo fervor per gli antichi, rammentato nella precedente nota, fu la caldissima briga, che arse dapprima in Francia tra" partigiani della prisca e della moderna letteratura, e che i letterati in due bande divise. Pugnossi secondo tutte le leggi della tattica scolaresca, ma v'ebbe spesso delle mischie disordinate e confuse. Uscirono con breve intervallo tra loro, prima il Secolo di Luigi il Grande, e quindi il Parallello degli antichi e de' moderni del sig. Perrault, che aprì le porte di Giano. Lui ebber duce i Modernisti; l'antica falange ebbe Boileau. La Mothe, Fontenelle, e cent' altri diedero il lor nome al primo, altri moltissimi al secondo, e nadama Dacier fu la loro Cammilla. Comunicossi questo ardor marziale alla vicina Inghilterra, ove il cav. Temple col suo Saggio intorno al sapere degli antichi, e de' moderni estese il campo dalla provincia della letteratura a quella delle scienze. Colà ancora e scaramucce si attaccarono ardentissime, e

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pugnossi con la penna aspramente, il che mosse il sig. Errico Worton, benchè alla causa de' moderni più che alla contraria inclinato, a pubblicare le sue Riflessioni su l'antica e la nuova dottrina, proponendosi farla da mediatore. Comparve intorno a quel tempo opera del gesuita Regnault, intitolata Origine ancienne de la physique nouvelle, dove agli antichi la più parte delle nuove scoverte si attribuisce; il qual argomento fu poi dal sig. Dutens più diffusamente trattato ; il costui libro da quello del sig. Saverien (Vita degli antichi filosofi) fu contraddetto e l'autore con tratti di pugnentissima bile trafitto. Pope ancor esso, traduttor di Omero, denunziato videsi come sacrilego da' suoi stessi concittadini, per averne alterato il testo in più luoghi. Quindi l'ellenismo investi l'Italia, e gli Omerici vi campeggiarono furiosamente. Nè da ridirsi sono, nè da credersi le stranezze, che intorno al cantor dell' Iliade furono udite. Cesarotti in alcune sue prose varie ne racconta non meno stravaganti che lepide, fra le quali una di quell' Omerolatra, ch'essendosi proposto di segnar nell' Iliade i più be' versi soltanto, al fornirne la lettura, trovossi tutta averla segnata da capo a fondo. Cotanto crudel guerra terminossi in Francia con un trattato fra' due capi delle due falangi, Boileau, e Perrault; ma nell'animo de' letterati non è bensì terminata, nè caverai mai di capo ad un grecista che i Pindari e gli Omeri non sieno stati al mondo giganti, de' quali si è perduto ogni seme. I secondi giganti son ora per noi i Latini, e via via i Trecentisti per alcuni vanno giganteggiando. Grandia miramur defossis ossa sepulcris. Qual maraviglia? L'ineenso si dà a' morti, e gli stessi antichi hanno soffer

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to egual torto, vivendo. Chiedeva FLACCO a' suoi con temporanei Si tam Graiis novitas invisa fuisset Quam nobis, quid nunc esset vetus ? Egli stesso bensì ne scorgea ben la ragione, e smascherò lo spirito di così fatta ipocrisia verso gli antichi non meno agli occhi della sua, che d'ogni età avvenire. Iam suliare carmen qui laudat... Ingeniis non ille favet, plauditque sepultis, Nostra sed impugnat; nos nostraque lividus odit. Chi gli avrebbe allor predetto i deliri del P. Arduino, che nella sna Lalage ravvisava la Chiesa o di quel fanatico, rapportato nel giornale di Buglione, che appropiaya a Mosè, quando sul Sina ricevea le tavole della legge, l'ode 19. del 1. 11. Bacchum in remotis carmina rupibus ?

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(5) Il chiarissimo sig. Heyne nel discorso premesso alla sua Iliade latina afferma doversi i primi onori a coloro, che dando opera a tradurre, entrano in una specie di duello col loro originale, e pugnano così gagliardamente, che ne pareggino, o ne raggiungan le forze, ed il merito, di modo che tal ne riesca la versione, e tali se ne restituiscano i versi, qdali è da credersi che lo straniere autore, se di nostra lingua si fosse servito, gli avrebbe dettati.

(6) Nel secolo delle sciarade e de' calembours dovevamo anche aspettarci le versioni di latino in italiano in egual novero di versi, e ciò a dispetto del disegual novero di sillabe ne' versi delle due lingue. Ma se ne incontra in tutto un libro una dozzina de' felicissimi. Sia pure: ma quante centinaja ti si presentano, che prive affatto e di senso, e di lingua, e di sintassi ti muovon la bile, e ti offron equivoci anche talora osceni, da arrossire, o da sganasciar dalle risa? Quante

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