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diffuso (e se ne ripete ostinatamente la voce), che il nostro Commento era infarcito d'errori, errori che si dicono tolti dalla stampa dell'Inferno per cura del Sercinario di Verona. Venne pure diffuso, collo stesso mal talento, che il detto Commento, più che opera nostra, è desso opera del fu ch. P. Bartolomeo Sorio, Filippino di Verona.

Coteste sono mere invenzioni di maldicenti : Mera invenzione il primo asserto: imperciocchè il Seminario non cangiò che due o tre frasi, ch'ei, nella sua delicatezza, temette meno vereconde, e noi invece, nella nostra, credevamo affatto innocenti, per averle noi esposte più castigatamente di quel che non fecero i più riserbati commentatori che si mettono fidatamente nelle mani della gioventù. Su di che possono ancora confrontarsi questi pochi tratti dell' Inferno ritoccati dal Seminario, con quelli che tuttavia esistono nelle copie ancora vergini, quali le dettava e publicava l'autore prima che il Seminario ne riformasse per que' pochi tratti la stampa le quali copie ancor vergini teniamo e terremo gelosamente a tutta posta di quanti amassero disingannarsi; come se ne convinsero altri che le posseggono e che pure asseriscono quanto noi asseriamo. Piuttosto non arrossiamo di confessare candidamente per amore di verità e cautela dei lettori, che ci sfuggì un equivoco

nel Purgatorio, XVII, 97, avvertito ci oralmente dal ch. Padre Berardinelli Gesuita, col quale in Roma avemmo l'onore di abboccarci; equivoco che sarà tolto in una ristampa, e pel quale intanto ringraziamo l'illustre e sincero dantista.

Mera invenzione poi anche il secondo asserto. Il P. Sorio non ci diede mai nulla del suo, salvo que' pochi articoli già noti agli studiosi, perchè stampati sui giornali di Modena, o d'altre città, e fatti molt'anni prima di publica ragione; dai quali articoli si fa anzi manifesto come noi, ben lungi dal valercene pel nostro Commento, generalmente ne dissentiamo, e, per nostra buona ventura, con tale robustezza di ragioni, da indurre il chiarissimo Filippino a convenire con noi. Gli scritti poi e gli stampati del P. Sorio sono già a richiesta di tutti nella Biblioteca comunale di Verona, dove chi vorrà prendersi il disturbo di consultarli, si potrà agevolmente convincere cogli occhi propri che noi abbiamo lavorato sul nostro, e non sull' altrui; e del P. Sorio non possiamo ricordare che la cara e preziosa amicizia che ci donava, per aver sentito ambedue cattolicamente di Dante. Del resto noi, come qualunque altro, ignoriamo affatto che il P. Bartolomeo abbia dato mai mano, nè tampoco pensato pure ad uno sbozzo di Commentario dantesco.

Da ultimo sul conto nostro un'altra se ne pispiglia malignamente, ed è che gli elogi fattici sono compri. Siccome però questa calunnia è un'onta più agli elogisti che a noi, così rimettiamo ad essi il còmpito di confutarla, se crederanno di farlo.

Premesso ciò, veniamo ai giudizi che finora uscirono sul I e sul II volume, mentre il III si affretta già di comparire alla luce.

GIUDIZIO I.

Brano di lettera di M. Canonico LUIGI DALLA VECCHIA di Vicenza, al suo nipote D. PIETRO (30 Dicembre 1865.)

Direte poi all'arciprete Bennassuti, che io sono tutto sbalordito del suo lavoro: che fu per me un mondo nuovo tutto quel suo Discorso preliminare, e la foggia di commentare i due primi Canti; quello specificare del Veltro, quella giustificazione di Anastasio II, ingegnosissimi tratti, e tanti altri luoghi che saltellone ho scorsi. Checchè diranno i seguaci di Rossetti ed altri di simile farina, i Dantofili veri e gli assennati avranno di che ammirare che dopo centinaja di commentatori, sia venuto uno che a mille doppi fa comparire gigante l'Alighieri; che dovrebbe

essere questo l'unico Commento da darsi in mano ai giovani, che vogliono entrare nelle bellezze di Dante, meglio assai del Cesari istesso; che con impazienza si stanno aspettando le altre due Cantiche, e che se veglia, dorme, mangia, passeggia indanteggiato, non avrà tuttavia a temere il complimento ch'ebbe S. Girolamo pel Ciceronianus es, mentre, se egli è Dantegianus lo è a difesa del vero, della Chiesa, dei Papi, e per istrappare dalle mani dei Rivoluzionari quell'arma che in quest' anno fecero tanto giuocare.

GIUDIZIO II.

Brano di lettera dello stesso all' AUTORE,
(Vicenza 1866).

Io non posso che attestare la mia maraviglia come il Bennassuti abbia avuto coraggio di entrare nelle viscere e nel midollo di quel Poema, trar fuori tanti veri non conosciuti, metter tutto in tanta evidenza, quanto all'incastellatura delle Cantiche, tracciarne tutti i passi, metterci sui luoghi, mostrarne l'arte maravigliosa, la potenza delle espressioni, decifrandone il difficile senso. dove fosse, e qua e là, dove il destro presentasi,

fare sbalzar fuori lezioni inaspettate di morale a tocchi che colpiscono, e che tornar debbono utilissime ai giovani lettori. Dappertutto si presenta un amico che ci richiama a ponderare or questa or quella bellezza, che ci accompagna colla face a ben penetrare la sapienza di questo o quel modo, e con tal brio e vaghezza di dire che insieme diletta, togliendo la ruvida scorza, che a prima giunta parrebbe avere il concetto dantesco. Nulla poi dirò dell'arte ingegnosa onde difende il Poeta, e convince chi legge sull'ortodossia dei sentimenti religiosi, anche quando vuota la bile più amara contro alcuni Pontefici; e come spieghi gli enigmi entro ai quali piacque al Poeta avvolgere i suoi vaticinii. Tutto questo, lo confesso, mi ha colpito immensamente, e dicea tra me stesso: oh, perchè tutti gli studenti non hanno questa guida che omne tulit punctum! E ciò sarà quando i professori ne avranno conosciuta con esame l'importanza. Non si può negare che anche il materiale dell'opera non abbia il suo merito. La edizione è bella: carta, caratteri, formato, tutto piace.

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