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fizio, che nell'animo meglio le insinui e penetrare destramente le faccia, risvegliano a seconda di ciò ch'esprimono, il terrore, la compassione, l'amore, la pietà; e vanno al gran fine di emendar i vizi, e di accender le menti al conseguimento delle virtù. Questi oggetti si sono nella tragedia prefissi i poeti Greci, i Latini, i Francesi e gl'Inglesi, alcuni de' quali ha il sig. Metastasio uguagliati, ed altri di gran lunga superati.

E posciachè sembra, che discorrendosi di poesie, che tanta armonia e tante bellezze di armonia hanno somministrate ai nostri compositori di musica, non si possa fare a meno di non parlare alquanto di questa, è mio disegno il far vedere, che l'eccellenza a cui si è in questo secolo felicemente sollevata, è alle poesie del sig. Metastasio in gran parte dovuta: che l'eleganza, la dolcezza, il sublime della poesia è indispensabile all'armonia; e che non può la musica muover gli affetti, e interesse negli animi nostri produrre senza l'ajuto della poesia, la quale nella confusione de' suoni di guida ci ha da servire per passo a passo condursi a quella sensibilità, che l'armonia vuol farci provare più viva e più efficace di quella che la semplice declamazione è atta a produrre.

I nostri drammi, dopo che dal celebre Zeno, e poi dal nostro poeta nella regolare forma in cui oggi si veggono, sono stati ridotti, possono chiamarsi una perfetta imitazione delle tragedie Greche e Latine, perchè tutte le regole di queste vi sono esattamente osservate, a riserva del

l'unità del luogo, alla quale la perfezione a cui a' dì nostri è giunta l'arte di rapidamente volger le scene e la necessaria correzione degl'inevitabili difetti che produceva nelle tragedie antiche la troppo ristretta unità, han recato lodevole cambiamento.

So che potrà parere arduo ad alcuni, che io così condanni quella severa unità di luogo, che da' tragici Greci e Latini si suppone essere stata costantemente osservata, e che i moderni han poi ricevuta come una legge invariabile, cui il trasgredire fosse delitto: ma non senza esame, e non senza ragioni a sollevarmi contro la comune opinione indotto mi sono; e queste di tal valore mi sembrano, che ho riputato conveniente il produrle, colla lusinga, che forse ancora i più appassionati per gli usi degli antichi saran bastevoli a persuadere.

Non son io il primo, che la rigorosa unità del luogo abbia pensato di mettere in controversia. Altri mi han prevenuto, ed han già da lungo tempo osservato, che il precetto della ristretta unità ne' maestri dell'arte non si ritrova; quando riconoscer non si voglia con soverchia sottigliezza in certi comuni precetti che nella poetica d'Orazio s'incontrano.

Ma qualora a chiare note vi si leggesse, se dalla regola risultasse indispensabil vizio, non penso che meritasse biasimo colui, che col mezzo di qualche espediente, ignoto agli antichi, ponesse riparo agl'inconvenienti, e magnificenza accrescesse allo spettacolo della tragedia.

TOM. XII.

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Egli è da riflettere, che quasi tutte le regole per la tragedia stabilite non hanno altra mira, che di allontanarne l'inverisimile, che è certamente il massimo suo difetto; e che se la legge della severa unità di luogo sussistesse, non con altro disegno da' periti dell'arte dovrebbe essere stata dettata. Ma qualora questa legge il vizio non correggesse, anzi gli porgesse, per così dire, i mezzi o gli appianasse la strada per insinuarsi nella tragedia; qual dubbio esser vi può, che annullar non si dovesse, e farne una nuoche ponendo mente alle nostre invenzioni ammettesse alquanto d'inverisimile per isfuggire quell'enorme, che dal primo precetto sarebbe inevitabilmente prodotto?

va,

Ed ecco appunto quel che risulta dalla savia ampliazione data da' moderni all'unità del luogo, la quale coll' adottare il leggiero inverisimile di far gli spettatori passaggio da un luogo ad un altro, esclude quegli altri più intollerabili, che dall'austera unità necessariamente procedono.

E
questo passaggio da un luogo in un altro per
lo veloce girar delle scene da noi inventato così
momentaneo riesce, che quasi non dà luogo ad
avvedersi dell'inverisimile; e tal pompa accre-
sce poi allo spettacolo de' nostri teatri, che ri-
cuopre col piacere il difetto, di maniera che, se
raccogliere si dovessero i voti degli spettatori,
non si avrebbe da escludere, qualora vizio an-
che più grave e più visibile ne risultasse.

In oltre in qualunque più austera tragedia questo inconveniente di far passaggio da un luo

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i

go in un altro ammettere necessariamente si deve, poichè all'alzarsi del panno del teatro si guidano gli spettatori in un istante o alla sala, o alla piazza, o al cortile che la scena rappresenta.

Ma se una volta al principio della tragedia si ha egli da tollerare, qual ragion vuole che replicatamente non si sopporti ad ogni atto, ad ognuna delle nostre ripetute mutazioni, quando tempo maggiore per ciaschedun de' successivi cambiamenti non bisogna di quello che pel primo e indispensabile si permette?

Or ecco tutto l'inverisimile che dalla più ampia estensione dell'unità nella tragedia risulta: inverisimile, che non toccando il costume, la condotta, la catastrofe, o le altre nobilissime parti sue, fa solamente illusione agli occhi degli spettatori; ma largamente la lor tolleranza ricompensa colla moltiplicità di accidenti che somministra all'azione, e colle pompe che accresce alla scena e allo spettacolo.

Ma dalla coartata unità più evidenti inverisimili sono insinuati nella tragedia, e tanto più gravi, quantochè o il costume, o la condotta del poema o la dignità de' personaggi che vi s'introducono, notabilissimi svantaggi ne ricevono. E ben potrei, col far minuto esame delle antiche tragedie, numerosi rilevarne gli esempi, ma mi contenterò di addurne alcuni che basteranno al mio disimpegno.

Confida la Fedra di Euripide nella pubblica strada alle donne di Trezene i suoi furiosi amori pel figliastro: sceglie l' Elettra di Sofocle il ve

stibolo frequentato del palazzo di Egisto per trattar con Oreste e con Pilade la congiura della morte dell'usurpatore: verifica in una piazza alla presenza del popolo l'incesto e il parricidio suo l'Oedipo di quel tragico: canta la Medea di Seneca una lunga invocazione magica, e il preparato incantesimo adempie, onde avveleni la real famiglia di Creonte davanti alla reggia: nasconde Andromaca nella Troade il figlio Astianatte nel sepolcro di Ettore, collocato dal poeta nel campo de' Greci, nel qual popoloso luogo non può mai supporsi che Andromaca si trovi sola pel necessario tempo che le abbisogna ad eseguire il meditato nascondiglio: ed è solenne inverisimile che si lusinghi di compirvelo inosservata, quando tutti i capitani Greci ad ogni momento dal poeta vi s'introducono.

Altri non meno palesi inverisimili da questa scrupolosa unità necessariamente derivano. In molte antiche tragedie il coro ora si deve supporre, che ascolti ciò che dicono gli attori; ora immaginar bisogna che non l'ascolti. E questo stesso coro composto dal popolo talvolta coi re e colle regine amichevolmente se la discorre; cosa che mal si può difendere cogli antichi più semplici costumi: poichè le persone reali non meno erano rispettabili pel volgo in que' secoli di quello siano adesso fra noi; bastando ad esserne convinti l'osservare, con quanto rispetto dei re e del trono i tragici stessi ragionino. E però in vigor di tutte queste riflessioni a creder vengo, che non per osservanza di legge alcuna

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