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Comica la nazion: ride, se ridi,
Con più forza di te: piange, se piaugi;
Nè s'affligge però: se fuoco al verno
Dimandi tu, nel pelliccion si stringe;
Se del caldo ti lagni, avvampa e suda.
Dunque non siam del pari. Ognor vantaggio
Avrà chi può sempre il sembiante altrui
Notte e giorno imitar: chi può far sempre
Atti di meraviglia, e ognor si trova
Pronto a lodar qualunque sconcio e sozzo
Atto faccia l'amico. E poi qual saggia
Illibata famiglia ( un dissoluto

Greco se v'entra) i puri suoi costumi
Conservar potrà mai? Massime, esempi,
Tutto in opera ei
mette, onde ciascuno
E corrompa e seduca; e non rispetta
O l'innocente o la caduca etade.
Delle case a spïar studian gli arcani

Per farsi indi temer. Ma già che siamo
De' Greci a ragionar, scorri le scuole:
Odi a qual scelleraggine sian giunti
I più gravi fra lor. Barea innocente
Fu dal maestro suo, fu dall'amico
Accusato ed ucciso: ed era questo
Vecchio esemplar, Stoico severo, e nato,
Là dove un'ala al Pegaseo si franse.

Per qualunque Roman loco non restą
Dove in credito sia qualche Erimanto
O Difilo o Protogene, che mai

( Vizio di sua nazion) con chicchessia
Non divide l'amico, è sel conserva
Tutto per sè. Sol che un di loro alquanto

Exiguum de naturae patriaeque veneno, Limine summoveor: perierunt tempora longi Servitii: nusquam minor est jactura clientis. Quod porro officium (ne nobis blandiar) aut quod

Pauperis hic meritum? si curet nocte togatus Currere, cum Praetor lictorem impellat, et ire Praecipitem jubeat, dudum vigilantibus orbis, Ne prior Albinam, aut Modiam collega salutet? Divitis hic servi claudit latus ingenuorum Filius: alter enim quantum in legione Tribuni Accipiunt, donat Calvinae, vel Catienae,

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at tu, Cum tibi vestiti facies scorti placet, haeres, Et dubita alta Chionem deducere sella.

Da testem Romae tam sanctum, quam fuit hospes

Numinis Idaei; procedat vel Numa, vel qui Servavit trepidam flagranti ex aede Minervam. Protinus ad censum, de moribus ultima fiet Quaestio: quot pascit servos, quot possidet agri

Del suo veleno e di sua patria instilli

D'un buon uom nell'orecchio; eccomi escluso
Di quella casa: ecco gettati i lunghi

Servizi miei; che il perdere un seguace
In nessun luogo importa men che in Roma.
E poi (non ci aduliam) qual merto mai
D'un pover uom l'ufficiosa cura
Aver potrà, nel prevenir togato,
Trottando il dì; se, risvegliati appena
Quei che eredi non han, sino il Pretore
I suoi littori a rompicollo affretta,
Perchè prima di lui Modia ed Albina
Il suo collega a salutar non giunga.

II povero qui dee, benchè d'onesto
Libero padre ei nasca, andar del ricco
Servo a sinistra: e sai perchè? Costui
Quanto ha di paga un militar Tribuno
Da a Calvina e Caziena, onde ei ne sia
Cortesemente accolto: e tu, meschino,
Se il volto mai di pubblica fanciulla,
Acconcia alquanto, al gusto tuo s'adatta ;
Dubitando t'arresti, e irresoluto
Una Chione non osi a far che scenda
Dell'alta sedia ove s'espone in mostra.
Produci in Roma un testimonio, e sia
Santo così, qual della madre Idea
L'ospite fu: sia Numa pur, sia quello
Per cui salvata Pallade tremante
Fu dal tempio che ardea; sarà la prima
Su le ricchezze sue, l'ultima inchiesta
Su i costumi sarà. Quanti nutrisce
Servi costui? Quanto terren possiede ?

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Et nostrorum aras, contemnere fulmina pauper Creditur, atque Deos, Diis ignoscentibus ipsis. Quid, quod materiam praebel, causasque jo

corum

Omnibus hic idem, si faeda et scissa lacerna,
Si toga sordidula est, et rupta calceus alter
Pelle patet; vel si consuto vulnere crassum,
Atque recens linum ostendit non una cicatrix?
Nil habet infelix paupertas durius in se,
Quam quod ridiculos homines facit. Exeat, in-
quit,

Si pudor est, et de pulvino surgat equestri,
Cujus res legi non sufficiet, et sedeant hic
Lenonum pueri quocunque in fornice nati.
Hic plaudat nitidi praeconis filius inter
Pinnirapi cultos juvenes, juvenesque lanistae:
Sic libitum vano, qui nos distinxit, Othoni.
Quis gener hic placuit censu minor, atque
puellae

Sarcinulis impar? Quis pauper scribitur haeres?
Quando in consilio est Edilibus? Agmine fa-

cto,

Debuerant olim tenues migrasse Quirites.

Con quale a mensa argenteria si tratta?
Quanto ha ciascun di capitale in cassa,
Tanto credito ottien. Giuri su l'are
De nostri pur, de' Samotraci Dei,
Credesi ognor che il povero si rida
De' fulmini del cielo, e che gl'istessi
Numi facciano i sordi a' suoi spergiuri.
Il pover uom sempre agli scherzi altrui
Dà materia e cagione; o se macchiato
E lacero ha il mantello, o se sporchetta
È la sua toga, o se una scarpa a sorte
Se gli sdruci da un canto, o se di qualche
Ferita sua mal ricucita il nuovo

E

grosso

fil le cicatrici accusa;

Non ha la povertà miseria alcuna Più acerba in sè che delle risa altrui Render gli uomini oggetto. Esca, ti senti Gridar d'intorno, e dallo scanno equestre Sorga, se v'è rossor, chi non possiede Quanto impone la legge; e in questo loco D'un agiato ruffian siedano i figli Nati in qualunque chiasso; i figli quindi Di splendido trombetta, e d'ogni razza Di gladiator; quindi a far plauso i colti Vengan giovani alunni: il folle Ottone, Che in gradi ci ordinò, così decise.

Chi mai genero qui d'avere ha scelto Limitato così che mal risponda Della sposa al corredo? Ërede mai Un povero è lasciato? o fra gli Edili Ne siede uno a consiglio? Ah che i mendici Romani avrian dovuto, uniti insieme,

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