Obrázky na stránke
PDF
ePub

e

solo i dialoghi di Platone, ma quelli di Luciano, la Zucca del Doni, la Circe del Gelli, il Filocopo la Fiammetta ed il De camerone di Gio. Boccaccio, e tutti i nostri Novellatori; ed escluder poi dal numero de' poeti Virgilio nelle sue divine Georgiche bestemmia assai maggiore, che il dire che gli Espositori d' Aristotile, forse Aristotile istesso, abbiano potuto una volta allucinarsi, e massimamente quando parlano per semplice teorica d'un'arte non mai da lor praticata. E pure eruditissimi critici, degni di rispetto per le infinite loro cognizioni, adottano paradossi così irragionevoli. Tanto è vero che i naturali difetti del nostro giudizio non si correggono dalla dottrina, anzi si rendono per lei sempre più visibili e grandi. Se fosse stata men vasta la portentosa suppellettile letteraria del celebre padre Arduino,e di non pochi altri, per gli stessi motivi e stimabili al par di lui, e riprensibili critici non si sarebbero dilungati a tal segno da' giusti limiti del ragionevole comune discernimento. Ma ogni linea, che solo alcun poco dalla sua paralella declini, tanto sempre più se ne allontana, quanto altri più la produce.

Termina Aristotile questo primo capitolo della sua Poetica, facendo nuovamente ri

[ocr errors]

flettere che la poesia si vale nelle sue imitazioni del metro, del numero e dell' armonia, talvolta insieme, come avveniva ne' Ditirambi e ne' Nomi che cantayansi in onor di Bacco e d'Apollo, e talvolta or separati, or congiunti, come succedeva nelle tragedie, e nelle commedie; nelle quali nei diverbi (che sono i nostri recitativi) si ubbidiva alla sola legge del metro; e ne' cantici, nelle strofe antistrofe e negli epodi, o cantati da tutto il Coro, o da un solo istrione, si faceva uso anche del numero e della melodia; come appunto a'dì nostri e ne' moderni cori e nelle strofe, che chiamansi ora ariette, per immemorabile e visibilmente a noi dall' antico teatro tramandato costume, universalmente si pratica.

Nè solo armonico e numeroso convien che sia (a creder mio ) il discorso che impiega il poeta imitatore, ma puro insieme, nobile, chiaro, elegante e sublime, Non si vale mai l'esperto statuario per le grandi sue imitazioni del tufo, o d'altri fragili come questo ed ignobili sassi; ma costantemente sempre dei più eletti marmi e più duri; ed il savio poeta egualmente (quando il principale oggetto ch'ei si è proposto, non sia per avventura qualche bassa, giocosa o scurrile imitazione )

elegge ed adopera sempre ne' suoi lavori cotesta colta, elevata, incantatrice favella, capace di cagionar diletto con le sole sue proprie bellezze; ancor che non fosse imitatrice d'altro che del naturale discorso; e prende il difficile impegno di obbligarla a servir sempre alle sue imitazioni, e di non abbandonarla mai, benchè talvolta costretto ad esprimere le cose più umili e più comuni. Onde se poi per correr dietro il maggior verisimile, ad onta dell'impegno già preso, egli avvilisce lo stile, cade nell' error puerile d'uno sconsigliato scultore, che, per dare alle sue statue maggior somiglianza col vero, s'avvisasse di colorirne il marmo, o le fornisse d'occhi di vetro.

La favella sempre grande, sempre ornata, e sempre sonora di Virgilio e di Torquato han riportata finora, e riporteranno eternamente la maggior parte de' voti, mercè quel difficile e perciò mirabile uso che hanno essi saputo farne nell'imitar la natura. E checchè dicano, o abbian saputo dire molti de' nostri per altro eruditissimi critici, per farci venerare come esquisiti tratti di maestra imitazione, le frequenti bassezze, le negligenze, le ineguaglianze, le mancanze d'eleganza e d'armonia, e la fastidiosa copia delle licenze cho

si incontrano in alcuni, eccellenti nel resto, così moderni, come antichi poeti, non giungerà mai a costringere il buon senso universale a compiacersi degli errori, nè a contar fra i pregi i difetti.

CAPITOLO II.

Dei diversi oggetti delle imitazioni. Dificoltà di decidere che abbia voluto intendere Aristotile dividendo i caratteri imitabili in migliori, peggiori e mez

zani.

Spiega Aristotile in questo secondo capi

tolo la seconda differenza, per la quale le imitazioni si distinguono fra loro. E questa vuol che nasca dalla differenza delle

cose,

che prendonsi ad imitare. Volendo (dic' egli) imitar uomini, conviene imitarne le azioni, per le quali appariscono le virtù ed i vizj loro: quindi gli oggetti dell'imitazione sono o i migliori, o i peggiori di noi, cioè del comune degli uomini, o quelli che a noi rassomigliano. Asserisce, che questi tre diversi gradi di migliore, peggiore, o simile, cioè mezzano, possono darsi in ogni specie d'imitazione. E non solo ne'componimenti, nei quali si

vagliono i poeti di tutti gli ornamenti della poesia, come ne'Ditirambi e ne' Nomi, ed in quelli, ne' quali non s'impiegano se non se le parole sottoposte al solo metro, come sempre avviene nell' epopeja,e di trat to in tratto ne'drammi : ma nel ballo ancora ed in tutte le arie della tibia, della lira e di qualunque altro istromento sonoro. Poichè nei racconti, che s' introduce vano ne' Dilirambi e ne' Nomi potevano esser visibili le tre proposte differenze. Omero ed i tragici, secondo Aristotile, imitano i migliori: i comici e gli scrittori di parodie imitano i peggiori; e v'era chi imitava gli uomini quali essi sono,

come

asserisce che faceva un poeta ateniese, detto Gleofonte, non so se epico, o tragico; ed ogni ballo finalmente ed ogni aria di qualunque stromento, ha il suo proprio, o nobile o mezzano, o basso carattere. Or dalla maniera, con la quale Aristotile si esprime, pare indubitato che coteste differenze di migliori, peggiori, o simili debbano, secondo lui, esser considerate a proporzione delle virtù, o de' vizi delle persone rappresentate. Per la malvagità e per la virtù differiscono tutti i costumi fra loro; (1) ma gli esempj ch'ei ne propone,

(1) Arist. Poetic. Cap. II, T. IV. p. 2.

« PredošláPokračovať »