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essere aggiunti, o tolti senza alterazione della favola mi parranno tutti legittimi, anzi lodevoli, purchè siano verisimilmente ed utilmente introdotti; purchè, se non necessariamente, siano convenevolmente attaccati all' azione, come sono le vesti, i panneggiamenti e cose somiglianti, che non sono membri necessari e costitutivi d'una figura umana, ma ad essa perfettamente convengono, perchè non rapiscono l'attenzione dei lettori e degli spettatori in sì fatta guisa, che essi perdano di vista l'oggetto principale delle loro curiosità; e purchè adornino e diversifichino il poema senza moltiplicarlo; ma interrompendo con la dilettevole varietà degli oggetti la secca e nojosa uniformità della via che conduce alla catastrofe. Altrimenti quasi nessun greco, latino, o moderno poema potrebbe vantarsi di non esser riprensibile per qualche membro, non indispensa bili necessario alla sussistenza della sua favola. Sarebbero difetto nella divina Eneide il Niso ed Eurialo, la Cammilla e la Didone medesima non che i funerali d'Anchise in Sicilia; e lo sarebbe nell' immortale Goffredo, oltre l' Erminia e l'Armida, il tanto, come membro inutile, ingiustamente condannato tenero ed ingegnoso episodio di Sofronia e d'Olindo,;

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che non solo sommamente diletta, ma seropportunamente per mettere innanzi agli occhi de' lettori il turbolento interno stato dell' assediata Gerusalemme, le tiranne ed empie disposizioni dell' animo di Aladino, la lagrimevole condizione de'miseri cristiani, che si trovavano fra quelle mura rinchiusi, ed il magnanimo, umano ed eroico carattere di Clorinda, personaggio destinato dal poeta ad aver sì considerabil parte nell'azione che narra: opinioni che io non avrei mai la temerità di adottare. E crederò sempre che l'unità dell'azione non sia violata nè dalle varie peripezie, nè dai varj avvenimenti, nè dai diversi personaggi., benchè tutti principali; purchè conspirino ad un evento solo, come nelle Fenisse d' Euripide e nei Seite a Tebe di Eschilo, dove sette sono i protagonisti; poichè tutti gli eventi che hanno un centro comune, producono, non guastano l'unità.

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Dopo avere ingenuamente esposto fra quai limiti, secondo la corta mia perspicacia, possa esser contenuta un'Azione senza perdere i vantaggi dell'unità, convien far parola del Tempo e del Luogo, nel quale dal poeta imitatore possa essa a cre der mio, figurarsi passata.

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Alcuni illustri moderni critici, ma noi

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illustri poeti, confondono, come si è osservato, le copie con le imitazioui, ed i vero col verisimile; ed opponendo percò falsamente che debbano, come nelle copie, conservarsi esattamente nelle imitazioni ancora tutte le circostanze del vero hanno autorevolmente deciso che il tempo, che può figurarsi scorso in tuto il tratto d'una favola, non debba punto eccedere la misura di quello che se ne impiega nella rappresentazione: canone che fra tutti gl' innumerabili eventi umani non lascerebbe a' poveri poeti altri soggetti da scegliere, se non se quelli rarissimi, dei quali tutti gli avvenimenti produttori della catastrofe potessero soffrirsi ristretti nelle angustie di tre o quattr' ore di tempo: canone che da Eschilo sino a Cornelio, non ha sognato mai di proporsi verun insigne drammatico, e canone finalmente dallo stesso infallibile loro Aristotile, che assegna al tempo da supporsi in un'azione tutto un periodo di sole limpidamente riprovato.

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Per esser convinto che mai non han sognato i Greci d'esser soggetti nelle loro imitazioni drammatiche a cotesta novellamente immaginata, impraticabile misura di tempo, basta aprirli quasi a caso dovunque si voglia, come abbiam già sopra os

servato e nelle Eumenidi di Es. hilo, nell'Agamennone dello stesso, e nelle Trachinie di Sofocle; nell' Andromaca d'Euripide e nell' Oedipo Colonéo di Sofocle, e nell' Ippolito d' Euripide; e con tanta frequenza altrove non meno nel comico, che nel tragico greco e latino teatro, che il volerli di nuovo quì tutti rammentare sarebbe cura inutile, pedantesca e nojosa. Ed io già pur troppo ho bisogno dell' indulgenza de' lettori riguardo a qualche ripetizione che non ha potuto evitarsi; perchè, costretto nell' Estratto a seguitar l'ordine del testo, ho dovuto necessariamente incontrarmi in difficoltà, delle quali lo scioglimento dipendeva dalle prove e massime medesime, da me per altre cagioni antecedentemente prodotte, e delle quali nella nuova occasione è convennto risvegliare nuovamente la memoria al lettore. Sicchè, secondo la pratica de' greci drammatici, il tempo della rappresentazione non è misura di quello che il poeta può supporre impiegato nel corso della sua favola.

Non lo è molto meno secondo il parer di Aristotile. Poichè questo filosofo con chiarezza, non frequentemente usata da lui, lucidamente asserisce, come già si è veduto, che la tragedia procura AL POSSIBILE di contenersi in un solo giro di sole

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di poco trascorrerlo. Non si sono mai impiegate ventiquattr' ore nella rappresentazione d'una sola tragedia, se non sc su i teatri della Cina; dunque, secondo l'asserzione del gran maestro di color che sanno, quello della rappresentazione non è regola del tempo che si può supporre in un dramma. E' degna di compassione, e qualche volta di riso, la tormentosa, ma inutile tortura che danno i critici al loro ingegno per torcere ed oscurare cotesto limpidissimo passaggio d'Aristotile, parendo loro che distrugga il verisimile che trovarsi in ogni imitazione. Non posson essi, o non vogliono intendere, che son cose molto diverse il verisimile ed il vero, che quello si chiama il verisimile il vero, appunto perchè gli manca qualche circostanza di questo; che se nessuna gliene mancasse, diverrebbe il vero medesimo; e che il poeta imitatore, obbligato a far cose verisimili, ma non a riprodurre l'istesso vero, non ha minore arbitrio di trascurarne qualche circostanza, di quello che ne ha lo statuario, eccellentissimo imitatore ancorchè sempre il vero trascuri, rispetto al colorito ed alla lucida trasparenza degli occhi.

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Cotesta così rigida dunque unità di tempo ridotto a quello della rappresentazione,

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