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Nè fia ch'opra giammai da noi si tenti, Se non ci muove quel volere eterno, Senza cui nulla siam di oprar possenti.

E poi perchè degg'io Giove superno
Negli aditi cercar, se il trovo espresso
Ovunque mi rivolgo, ovunque scerno?
A'dubbi il fato è d'esplorar permesso;
Ma lo spirito mio certo diviene
Per la certezza del morire istesso.
Qui la voce Catone a sè ritiene,
Perocchè il sonno del liquor di Lete
Avea le luci sue tutte ripiene.

E i mesti amici con le menti inquiete Piangendo usciro e il buon Caton lasciorno, Ch'entro s' immerse alla profonda quiete. Ma quando gli augelletti ai rami intorno, Mentre l'aurora il chiaro manto stende, Salutavan cantando il nuovo giorno,

Ei desto, in man l'ingiusto ferro prende Che spinto dalla destra a mezzo il petto Velocemente sino al ventre scende.

Le viscere escon fuor del proprio letto, E fra le dita spumeggiando il sangue, copre di pallore il fiero aspetto.

Si

Mentre fra vita e morte incerto langue, Un servo accorre, che con arte spera Far che non resti per lo colpo esangue.

Ma fisso ei nella voglia sua primiera Si volse in sè, poichè di ciò, si avvide, Come in umile agnello irata fera;

Ed il trafitto petto apre e divide Con forza tal, che quello dilatando L'aspra ferita negli estremi stride.

Indi forza maggiore a sè chiamando Tosto disciolse con la mano ardita, Le palpitanti viscere stracciando, Gli ultimi nodi alla gloriosa vita.

L'ORIGINE

DELLE LEGGI

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DELLE LEGGI

Q

ELEGIA

UANDO ancor non ardiva il pino audace, Grave di merci, dispiegare il volo Sul mobil dorso d'Ocean fallace,

Era alle genti noto un lido solo, Nè certo segno i campi distinguea, Nè curvo aratro rivolgeva il suolo.

Per gli antri e per le selve ognun traea Allor la vita, nè fra sete o lane

Le sue ruvide membra raccogliea;

Che non temeano ancor le membra umane
Il duro ghiaccio degli alpestri monti,
Nè i raggi che cadean dal Sirio cane.
La pioggia e il Sol su le rugose fronti
Battean sovente, ma il disagio istesso
I mortali rendeva a soffrir pronti.

A ciascun senza tema era concesso
Del medesimo tronco il cibo corre,
Ed estinguer la sete al fonte appresso.
Avvenne poi che desïando porre
Due sul frutto vicin l'adunca mano,
L'uno all' altro tentar la preda torre;
E quindi accesi di furore insano,
Coll' unghie pria si laceraro il volto,
Poi coll'armi irrigar di sangue il piano.

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