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non si considera forse egli nella schiera de' poeti? Ed in tutta l'ultima Ode del Libro III Exegi monumentum aere perennius ec. che fa egli altro se non se vantarsi eccellente poeta?

(v. 12.) Sed non ut placidis ec. La facoltà d'inventare è circoscritta dai limiti del verisimile: e questo non permette l'accoppiamento di cose fra loro per natura discordi; regola solidissima e vera. Ma che (come tutte le massime generali) ha bisogno di molto senno e cautela in chi vuole adattarla a casi particolari. Non può negarsi che la somiglianza col vero sia indispensabile in tutte le invenzioni poetiche; ma non può dubitarsi nè pure che, oltre le verità consuete e reali, vi sono delle verità insolite, o di comun consenso supposte, alle quali rassomigliandosi un'invenzione, si trova perfettamente d'accordo con la legge del verisimile. È verità (per cagion d'esempio) realissima che i pesci non abitano su gli alberi: ma, supposto il diluvio di Deucalione, o qualunque altra d'acque straordinaria escrescenza, verisimilmente un pittore Delphinum silvis appingit: e verisimilmente dice Orazio medesimo:

Piscium et summa genus haesit ulmo,
Nota quae sedes fuerat columbis.

È real verità che le greggi e gli armenti non conversano con le fiere divoratrici: ma, supposta la pacifica concordia dell'età dell'oro, con tutta la maggior verisimilitudine serpentes avibus geminantur, tigribus agni: e si dice egregiamente con Virgilio, nec magnos metuunt ar

menta leones. E supponendo (come, con tutti i poeti, fa Ovidio nel lib. XI delle Metamorfosi ) che sia il Sonno una Deità corteggiata da un innumerabil popolo di Sogni, che imitano, accozzano e confondono tutte le immaginabili forme, si potrebbe render verisimile questo mostro medesimo, con la descrizione del quale incomincia Orazio la sua Arte poetica. Anzi coteste insolite portentose invenzioni, quando son rese verisimili, producono il mirabile inaspettato, cioè la più ricca sorgente del piacere, che cagiona la poesia.

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(v. 14.) inceptis gravibus ec. In questo, e ne' dieci seguenti versi avverte Orazio i poeti di non lasciarsi sedurre dal prurito di ostentar la propria abilità nel descrivere, quando il vantaggio o il bisogno dell'opera non l'esiga. Una descrizione non opportuna, quantunque si voglia eccellente, produce quello sconcio in un componimento, che per necessità produrrebbe una pezza o ritaglio di porpora inutilmente soprapposto a veste o a qualunque cosa, che altri di far si proponga. In somigliante fallo si può cadere in tutto il corso di un'opera, e non ne' soli principj: onde io non credo, come molti degli Espositori han creduto, che a' principj soli abbia voluto Orazio restringere questo suo insegnamento: ma che, intendendo per la parola inceptis non principj, ma imprese; tutto abbia voluto abbracciare il poema. Inceptum si trova frequentemente usato da Salustio in senso d'impresa. Juventus pleraque, sed maxime

nobilium, Catilinae inceptis favebat. De bello Catil. Parisiis ad usum Delph. 1674 pag. 14. Sic incepto suo occulto pergit ad flumen Tanam. De bello Jug. ibid. pag. 137. Le narrazioni, e le sentenze morali s'intendono incluse in questo precetto. Esse, non meno che le descrizioni, sono materiali necessari, ed insieme luminosi ornamenti di un poema, quando sono opportunamente impiegate: ma spesso la voglia impaziente di far pompa di quello che meglio crediamo di saper fare, ci rende meno attenti nell'esaminare l'opportunità: ed il perdere di vista, o per questa, o per qualunque altra ragione, il principale oggetto del nostro lavoro, fa poi che si producan da noi opere imperfette, e dal proposito nostro diverse. Il pittor persuaso della propria eccellenza nell' espressione degli alberi, vuol pinger alberi per tutto; ed incaricato di rappresentare un naufragio, ci rappresenta una selva: e, fra le mani d'un mal accorto vasaio, la creta destinata a formare una grand' urna degenera inav vedutamente in un misero orciuolo.

(v. 23.) Denique sit quodvis simplex ec. L'aurea sentenza di questo verso è il ristretto di tutto quello che fin ora ci ha detto Orazio, e che ci dirà sino al verso 37, cioè che tutte le parti d'un poema debbono esser membra convenienti ad un corpo solo. Ma, nè in questo passo, nè in tutto il corso della presente Poetica ha fatto mai la minima menzione Orazio de' canonici limiti del tempo e del loco: nè si

può credere inclusa nel presente precetto: poichè parlando qui egli della poesia in generale, avrebbe obbligati anche i poemi epici a quelle unità, alle quali per loro natura non possono esser soggetti. Non ha parlato, che di passaggio Aristotile nel Capo V della sua Poetica della unità del tempo, dicendo; che i poeti drammatici procurano di restringere le loro azioni in un solo giro di sole, e poco più. Nè intorno all'unità del loco trovasi canone o parola alcuna fra gli antichi maestri. Ma, essendo il mio assunto unicamente il volgarizzamento d'Orazio, sarebbe fuor di proposito di ragionarne qui. L'ho ben fatto a lungo, e più opportunamente nel mio Estratto della Poetica d'Aristotile.

(v. 25.) Decipimur specie recti ec. La maggior parte degli Scrittori, anzi degli uomini, erdifetto al giudizio, non ben atto a distinguere i termini quos ultra citraque nequit

rano per

consistere rectum.

(v. 26.) Sectantem levia ec. Monsieur Bentlei ha provato con molti esempi che gli scrittori Latini non han mai usata la parola levis in opposizione di nervosus, ma sempre quella di lenis: onde la concorde autorità di tanti esempi mi costringe a credere che l'ultima voce sia da surrogarsi alla prima, che, per la molta somiglianza con l'altra, possono facilmente avere scambiata i copisti.

(v. 31.) In vitium ducit culpae fuga, si caret arte. Í precetti anche ottimi d'ogni arte, se non sono giudiziosamente applicati, inducono

in gravissimi errori: onde non basta, per evitar gli errori, il ricorrere all'arte, se non siam provveduti dalla natura del gratuito dono del buon giudizio, senza il quale non può esser l'arte utilmente adoprata.

(v. 32.) Aemilium circa ludum ec. Asserisce il vecchio Scoliaste che a' tempi suoi era divenuto, e si nominava il bagno di Lepido quel sito medesimo, dove era stata già la scuola, in cui esercitava i suoi gladiatori cotesto Emilio maestro di scherma.

(Ibid.) Faber imus ec. Intorno alla significazione di questa parola imus sono mirabilmente discordi fra loro tutti gli antichi e moderni interpreti. Acrone produce l'opinione che imus vaglia brevis, cioè di corta statura; Porfirio, che l'officina dello statuario fosse situata in un canto della scuola d'Emilio; Ascensio, che imus fosse il proprio nome dell'artefice; Lambino, che l'officina di questo fosse situata nell'ultima estremità della strada dov'era la scuola d'Emilio; Bentlei, mal soddisfatto di tutto ciò, cambia nel testo la parola imus in quella di unus; Dacier non disapprova affatto il cambiamento, ma lo taccia di duro; Sanadon l'adotta, e vi aggiunge che ogni altra esposizione è ridicola. È ben notabile che, fra tanti e sì strani pareri, non sia caduto in mente ad alcuno degli espositori, che a me son noti, di attribuire alla parola imus non il significato proprio, che vale ordinariamente basso, ultimo, infimo di luogo, ma il senso figurato, che può trasportarsi otti

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