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venne indi in luce il titoletto, oggi nel museo lateranense, nel quale è scritto: DOMINA BASSILLA COMMANDAMVS TIBI CRESCENTINVS ET MICINA FILIA NOSTRA CRESCEN: Domina Bassilla commendamus tibi nos Crescentinus et micinam filiam nostram Crescen..

Il dogma della finale risurrezione e la ferma credenza in quella, dava all'esequie una dolcezza ed una calma che rendeva l'idea della morte quasi un apparecchio festivo: cosi Tertulliano parlando della consorte cristiana che sta presso al feretro del suo marito dice che essa, pro anima eius (mariti) orat (uxor) et refrigerium interum adpostulat ei et in prima resurrectione consortium (1).

Abbiamo qui accennato che tutta la cristiana epigrafia sepolcrale testifica la fede predetta: cosi in una epigrafe composta di quasi versus proveniente dai nostri cimiteri sotterranei il vedovo marito che compose l'epigrafe sul sepolcro della sua coniuge Albana colla speranza della resurrezione conforta il suo dolore:

HIC MIHI SEMPER DOLOR ERIT INAEVO

PAX

ET TVVM BENERABILEM VVLTVM LICEAT VIDERE SOPORE CONIVNX ALBANA QUE MIHI SEMPER CASTA PVDICA

RELICTVM ME TVO GREMIO QVEROR

QVOD MIHI SANCTVM TE DEDERAT DIVINITVS AVTOR
RELICTIS TVIS IACES IN PACE SOPORE

MERITA RESVRGIS TEMPORALIS TIBI DATA REQVIETIO

QVE VIXIT ANNIS XLV MEN. V DIES XIII DORMIT IN PACE FECIT CYRIACVS MARITVS

Osserva il de Rossi che la poetica professione di fede nella risurrezione scritta dal papa Damaso nell'epigramma pel suo sepolcro che comincia: vivere qui praestat morentia semina terrae fu ripetuta in altri epitaffi.

(1) Tertull., De monog. c. 10.

Probabilmente fu dettata da s. Paolino, che l'Olstenio vide mutila, l'epigrafe ove è espresso un concetto raro negli epitaffi che cioè il martire Felice nell' ultimo di della risurrezione condurrà seco al tribunale di Cristo l'ospite sepolto nella sua basilica.

cum tuba terriBILIS SONITV CONCVSSERIT ORBEM
excitaeque aniMAE RVRSVM IN SVA VASA REDIBVNT
Felici merito HIC SOCIABITVR ANTE TRIBVNAL (1).

È per questo che la vicenda delle stagioni in vari e leggiadri modi espressa sulle volte dei cubicoli cimiteriali o nelle pareti delle medesime tanto frequentemente fu dai pittori cristiani espressa, perchè simbolo della risurrezione, come scrivea s. Cirillo gerosolimitano:

Surculi vitium aliarumque arborum omnino excisi et transplantati reviviscunt et fructificant: homo vero propter quam illa sunt, cadens in terra non excitabitur? (2).

Nella notissima iscrizione della cripta detta dei cinque santi nel cimitero di Calisto, e che fu posta sulla tomba di Severo, diacono del papa Marcellino, e di una fanciulletta di nome Severa, epigrafe anch'essa composta di quasi versus: la prima parte dell' epitaffio contiene le parole:

SEVERVS FECIT MANSIONEM IN PACE QVIETAM

SIBI SVISQVE MEMOR QVO MEMBRA DVLCIA SOMNO
PER LONGVM TEMPVS FACTORI ET IVDICI SERVET

e nell' elogio della fanciulletta si dice:

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QVOD CORPVS PACE QVIETVM

HIC EST SEPVLTVM DONEC RESVRGAT AB IPSO

In un' epigrafe dell' anno 493, si legge che la defunta CREDIDIT RESVRRECTIONEM (3) ed in altra più antica

(1) De Rossi, Bull. d'arch, crist. 1875 p. 31.

(2) Catech. 18.

(3) De Rossi, Insc. Chr. p. 401.

dell'ipogeo di s. Prassede, di una virgo sacra si dice: QVAE RECEPTA COELO MERVIT OCCVRRERE KPO (Christo) AD RESVRRECTIONEM (1).

L'agape funebre

CAPO III.

Le opere di misericordia in suffragio dei defunti I lumi I flori Le vesti di lutto L'elogio funebre.

Fu tradizione antichissima presso tutti i popoli quella di celebrare funebri conviti in certi determinati giorni presso i sepolcri dei defunti. Quel convito dai romani era detto silicernium. Avea luogo di legge ordinaria il nono giorno dopo l'interramento (sepultura), e negli anniversarii della nascita e della morte del defunto, le quali solennità in onore dei manes dei defunti si chiamavano iusta, parentalia, feralia. Il nostro de Rossi ha provato all' evidenza che il cristiano convito delle esequie era essenzialmente diverso dal silicernium e dalle parentalia dei pagani (2).

Ne poi è da confondere l'agape istituita nell'età apostolica e facente parte del rito eucaristico, con l'agape o banchetto funebre. Questo convito cristiano non era che una delle forme più ordinarie della carità cristiana, quella cioè di dare refrigerio ai poveri, onde refrigerium assolutamente era chiamato. Fu unicamente un convito di carità destinato a sollevare le vedove, i fanciulli, i più poveri della Chiesa, perchè da questa carità ne ricevessero giovamento e spirituale refrigerium le anime dei fedeli defunti. Nessuno dei poverelli era escluso da quella mensa, per cui Agostino confutando Fausto Manicheo, che calunniando i cattolici dicea che questi erano divenuti mezzo pagani e che avevano rivolto in agapi i sacri

(1) De Rossi, 1. c. 325.

(2) De Rossi, Roma sott. III, p. 500 segg.

ficì gentileschi, rispondea con ogni verità: agapes nostrae pauperes pascunt (1).

Infatti Tertulliano spiegando il senso della parola agape dichiara che quel convito per questo agape si dice, perchè è un banchetto di carità e di amore: coena nostra de nomine rationem tui ostendit, vocatur enim άɣáлn id quod dilectio penes Graecos est: ed egli consigliava i fedeli di agiata condizione di non badare a spesa per questi conviti coi quali si soccorrono i poverelli; e conclude dicendo: inopes refrigerio isto iuvamus (2).

La fralezza della natura umana fa che ogni buona istituzione incessantemente tenda a corrompersi e guastarsi, quindi dopo alcuni secoli di fervore e di sobrietà quei conviti cominciarono a degenerare, così che si vide infine la necessità di abolirli.

Ciò accadde però assai tardi, e Giuliano l'apostata osservando la differenza tra i conviti dei pagani e le agapi dei cristiani, dovette confessare e deplorare che i primi erano orgie abbominevoli, mentre nelle seconde regnava la pace, la sobrietà, la temperanza e sopra tutto la carità vicendevole. Furono aboliti si, o piuttosto cambiarono il nome e la forma, ma la sostanza rimase, poichè non erano altro che agapi i banchetti di carità ai quali presso la basilica ed il sepolcro di s. Pietro fino al secolo XVI si raccoglievano i poveri di Roma. A tal fine era destinato a fianco della basilica un grande edificio che sorgeva nel luogo occupato incirca dalla odierna sacrestia vaticana; ivi rimase fino a quel tempo una domus cum magno coenaculo, multisque aulis et cubiculis (3). Quel luogo fu restaurato ed ampliato l'ultima volta dal papa Gregorio XIII, ed ivi quotidianamente erano accolti a mensa tredici poveri; ma due volte la settimana nei giorni di lunedi e venerdi in quel luogo medesimo si dispensava il pane ed il vino a circa duemila indigenti, come narra l' Amideno (4). L'edifizio rimase in piedi

(1) Aug., Contra Faustum XX, 4, 20.

(2) Tertull., Apolog. c. 39.

(3) De Waal, I luoghi pii sul territorio Vaticano p. 58 e segg. (4) Amyd., de piet. rom. 461, c. 8.

sino ai tempi di Pio VI il quale lo fece atterrare, e nell'area del medesimo sorge in parte l'odierno ospizio teutonico.

Questi conviti di carità avevano luogo specialmente sui sepolcri dei martiri, in loro onore: quindi allorchè Pammachio volle celebrare l'esequie della sua moglie, egli raccolse a convito negli atrî della basilica vaticana una turba infinita di poveri (1). Presso il cubicolo del martire Crescenzione nel cimitero di Priscilla si è rinvenuto testė il ricordo di uno di questi conviti devoti celebratosi in quel luogo il 12 Febbraio dell'anno 373 (consulibus Gratiano III et Equitio) e dopo la lista dei nomi di coloro che a mezzo il secolo quarto ivi si raccolsero, si legge la formola, ad calicem venimus. Le agapi che si celebravano presso i sepolcri dei martiri non aveano però un carattere funebre, ma festivo; e furono queste che degenerarono poi in conviti in cui non più la sobrietà e la modestia cristiana vi regnava, ma l'ubbriachezza e ogni altro disordine, per cui dicea Agostino: modo martyres ebriosi calicibus persequuntur, quos tunc furiosi lapidibus persequebantur (2), alludendo specialmente ai disordini che da quei conviti accadevano nei portici e negli atrî della basilica vaticana, ove ogni giorno ad onore del grande apostolo si raccoglievano quei festivi, ma non più morigerati e devoti banchetti: de basilica beati Petri apostoli quotidianae vinolentiae proferuntur exempla (3).

Nella raccolta dei canoni attribuita al celeberrimo Ippolito edita da un codice arabo (4) si accenna all'ora in cui dovea tenersi l'agape e si dice che era all'accensione della lucerna cioè verso sera. Nei secoli delle persecuzioni le agapi si teneano nei vestiboli dei cimiteri o nei triclinia, edificati nelle aree all'aperto cielo, come ha dimostrato il ch. de Rossi (5). Un' epigrafe puteolana

(1) S. Paulini Nol., Ep. XIII, 11.

(2) Aug., Enarr. in ps. LIX.

(3) Aug., Ep. XXIX ad Alypium 55, 10.

(4) De Haneberg, Canones s. Hippoliti arabice et codicibus romanis, Monachii 1870.

(5) De Rossi, Roma sott. III, 501.

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