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Ma che più questo a me? pur l'alma è viva,
Ed onorata nei superni chiostri,

Ove umana virtù per fede arriva :

Ivi convien che 'l suo ben far si mostri.

N° LXXVIII.

No. LXXIX.

Ex Diario anonymi cujusdam Florentini, quod extat in Bibliotheca Magliabechiana.

A Dì 8. d' Aprile 1492. in Domenica circa ore 5. di notte morì il Magnifico Lorenzo di Piero di Cosimo de' Medici, a Careggi, d' età d' anni 44. non finiti, il quale era stato malato circa a mesi dué d'una strana infermità, con grandissimi dolori di stomaco e di capo, che mai potettono i Medici conoscere la sua malattia. Dubitossi di veleno, e massime perchè un Mess. Pierlione da Spuleti singolarissimo Medico, che era stato alla cura sua in tutta la malattia, la mattina seguente dopo la sua morte, fu trovato essere stato gittato in un pozzo a S. Cervagio alla Villa di Francesco di Ruberto Martelli, dove era stato trafugato, perchè certi famiglj di Lorenzo l'avevano voluto ammazzare, per sospetto che non avessi avvelenato Lorenzo, ma non se ne vedde segno alcuno.

N°.

LXXIX.

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N°. LXXX.

Joannes Cardinalis de Medici.

Magnifico viro Petro de Medicis.

CARISSIME frater mi, ac unicum nostrae domus columen. Quid scribam, mi frater praeter lachrimas pene nihil est, perchè considerando la felice memoria di nostro Padre essere manchata, flere magis libet, quam quidpiam loqui. Pater erat, ac qualis Pater! In filios nemo eo indulgentior: teste non opus est, res ipsa idicat. Non mirum igitur, se mi dolgo, se piango, se quiete alcuna non truovo, ma alquanto, mi frater, mi comforta,

che ho te, quem loco defuncti patris semper habebo. Tuum erit imperare, meum vero jussa capessere farannomi e tua comandamanti sempre sommo

piacere

N°. LXXX.

N°. LXXX.

piacere supra quam credi potest. Fac periculum: impera; nihil est, quod jussa retardem. Oro tamen, mi Petre, is velis esse in omnes, in tuos praesertim, qualem desidero, beneficum, affabilem, comem, liberalem, con le quali cose non è cosa che non si acquisti, e non si conservi. Non ti ricordo questo, perchè mi diffidi di te, ma perchè così mio debito richiede. Confirmant me multa ac consolantur, concursus lugentium domum nostram factus, tristis totius urbis ac mesta facies, publicus luctus, et caetera id genus plurima, quae dolorem magna ex parte levant; ma quello, che più che altro mi conforta, è l'havere te, nel quale tanto ini confido, quanto facilmente dire non posso. Di quello, che avvisi si debba tractare con N. S. non s'è facto nulla, perchè così è paruto meglio: piglierassi un' altra via, secondo che per le lettere delli Imbasciatori intenderai; credo si piglierà uno modo et più comodo, et più facile, el quale, ut quod mihi videtur, ti satisferà. Vale: nos quoque, ut possumus, valemus. Ex Urbe die 12. Aprilis

1492.

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N°. LXXXI.

No. LXXXI.

Laurentio de Medicis

A bagno a Vignone, Filius Petrus de Medicis.

MAGNIFICE Pater, &c. Intesi da Ser Piero per una sua, che hebbi hiermattina, quanto desideravi si facessi circa la venuta di Messer Hermolao, el quale venne hieri dopo mangiare, et quasi ex improviso, che non se ne seppe nulla, se non forse un' hora innanzi. Io gli andai incontro, et da quattro o cinqu' altri in fuora non vi venne altri, et bisognò, che gli smontassi all' osteria, che ancora non era ad ordine la stantia, che vi si menò poi a piè. Subito che io fui smontato, tornai da lui per invitarlo, come mi era suto scripto, et visitarlo, et per intendere quanto voleva stare quì fermo; invitailo per hoggi, et intesi non stava più qui che oggi, et domane cavalcava per essere domane sera a Poggibonsi, o in luogo, che l' altro dì desini in Siena, dove non posso intendere se si fermerà. Noi lo habbiamo hoggi convitato, che non si potria dire, quanto lui lo ha havuto a caro. Habbiamogli dato in compagnia a tavola chi lui desiderava, oltra quelli che lui haveva seco, che haveva un suo fratello carnale, un Segretario di San Marco, et un Dottore. Di quì vi fu el Conte dalla Mirandola, Messer Marsilio, M. Agnolo da Montepulciano, et per torre un cittadino, et non uscire di parente

et

N°. LXXXI.

et letterato, togliemmo Bernardo Rucellai, che non so se habbiamo facto bene o male. Dipoi che havemmo desinato, li monstrai la casa, le medaglie, vasi et cammej, et in summa ogni cosa per insino al giardino, di che prese grande piacere, benchè non credo s' intenda molto di scultura. Pure gli piaceva assai la notitia et l' antiquità delle medaglie, et tutti si maravigliavano del numero di sì buone cose, &c. Di lui non vi saprei dire particulare, se non che è un homo molto elegante nel parlare per quello io ne intendo. Ajutasi delle lettere, et fassene honore et in rubare motti, et in dirne ancora in Latino. Lo aspecto lo vedrete, che non può essere migliore, et secondo i facti. Temperato in ogni sua cosa, et pare ne habbi bisogno, che pare molto cagionevole et debole di complexione. Ha nome di experto in rebus agendis, ma non pare consonino queste cose insieme, che più presto pare da ceremonia che no. Non potrebbe monstrare, più che si faccia, essere vostro amico, et credo sia, et molto gratamente ha ricevuto ogni honore, che gli è stato facto, et non punto alla Veneziana, che non pare di là se non al vestire. Ma secondo che dice ha grandissimo desiderio di vedervi, et dice volere divertere per trovarvi ed abbracciarvi : hovelo voluto significare se a voi facessi per proposito di aspettarlo, che dice havere commissione etiam di salutarvi da parte della sua Signoria. Quì gli è stato facto honore publico da’ cittadini, et ristorato del lasciarlo smontare all' Osteria, et stamane innanzi venisse a desinare visitò la Signoria con molte grate parole, le quali non scrivo, perchè credo Ser Niccolò ve le scriverà lui, che così gli ho decto. Fuvi un poco di scandalo, che nel rispondere el Gonfaloniere prese un poco di vento presso al fine, et così si restò senza troppa risposta, che credo nello animo suo se ne ridessi, et ab uno didicerit omnes, che così se ne doleva hoggi qualchuno de' nostri. Circa l'onore non so che mi vi dire altro. El convito come gl' andò farò fare una listra all' Orafo, & ve la manderò forse con questa, se lo trovano. Jacopo Guicciardini si sta così presto un poco peggio che no; che hieri gli venne un poco d' accidente di tossa, et sputò cosa, secondo dicono quelli sua, molto strana, et pure inoltra con gl' anni in modo, che a lungo andare, a mio juditio, quod absit, io ne dubito più presto che no. La Contessina sta bene, et ha già tre sciloppi, et seguita di purgarsi: et tutta l'altra brigata di qui sta benissimo. Non vi scrivo nulla della libreria, perchè rispecto alla venuta dello Imbasciatore sono a quello medesimo che l' altro di. Raccomandomi a voi. Firenze a dì 10 di Maggio 1490.

VOL. II

N

N°.

N°. LXXXII.

N°. LXXXII.

Titi Vespasiani Stroza.

Ad Angelum Poetam.

Ex. Ed. Ald. 1513.

ANGELE, siquis erit, lacrymosi plena doloris
Qui tua non tristi carmina fronte legat,
Ille feras inter sævis in rupibus ortus,

Aspera duritie vincere saxa potest.
Non ego talis in hoc, sed amici fletibus angor,
Immeriti quem sors vexat acerba mali.
Certe dignus eras hominum, cœlique favore,
Nec tali casus convenit iste viro.

In te consumpsit vires fortuna nocendo,
Nil superest, ut jam possit obesse tibi.
Sed licet in tenues concesserit irrita ventos
Intempestiva spes tua morte Ducis,
Nec promissa Patris servet tibi Filius hæres,
Abstuleritque tuas Gallus adulter opes,

Non tamen ista valent rectam infortunia mentem
Eripere, et virtus inviolata manet.

Candidus ille viget morum tenor, et pia vitæ
Simplicitas, nullis est labefacta dolis,
Parsque tui melior fraudem prædonis iniqui
Despicit, ac ferrum, terribilesque minas.
Namque sacros inter celebraberis, Angele, vates,
Seraque posteritas scripta diserta leget.
Et clarum toto stabit tibi nomen in orbe,

Donec in æquoreas Rex Padus ibit aquas.

Dura fuit rerum jactura, ut scribis, at illud

Triste magis, versus tot periisse tuos.

Namque domum, et vestes, nummosque, et prædia siquis
Perdidit, hæc aliqua sunt reparanda via.

Casus, et indulgens hominum præsentia multis

Amissas duplici fœnore reddit opes.

Quis tibi restituet non exemplaribus ullis

Tradita, per longas carmina facta moras?

Quorum

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Quorum siqua manet memori sub mente reposta
Pars tibi, plura tamen pectore lapsa reor.

Atque ita susceptus frustra est labor ille, jacetque
Clarorum in tenebris fama sepulta virum.

Quo fit, ut indigner, doleamque, impune quod ausus

In te sit tantum barbarus ille nefas.

Ille sacras ædes potuit spoliare, Deosque

Qui vertit duras in tua damna manus.

Non illum pudor, aut pietas, aut gratia movit,

Nec vindex magni terruit ira Dei.

Et bona Pieridum dextro tibi numine parta,
Sacrilega rapuit barbara turba manu.
Sed non parva mali restant solatia, quod non
Ullius culpæ conscius ipse tibi es.
Adde quod illustres multi graviora tulerunt
His, quæ tu pateris, nec meruere viri.
Respice Threicii fatum miserabile vatis,
Est et Arioniæ cognita causa fugæ.
Exul, inops, degens in amaris Naso querelis
Finiit extremam per mala multa Diem.
Hos præter facile est aliorum exempla referre,
Quæ quoniam tibi sunt nota, silenda puto.
Sed tamen ad vatem pauca hæc de vatibus istis
Dicta velim, quamvis fabula trita foret.
Quod petis egregii pietas spectata Casellæ
Et favet, et voto est officiosa tuo.

Nec tibi Castellus Regi gratissimus, et qui

Rectum amat, optatam ferre negabit opem.

Nos quoque, si precibus quidquam, studioque valemus,
Si quid apud magnum est gratia nostra Ducem,
Hoc erit omne tuum, nec non curabimus, una
Consulat ut rebus Regia cura tuis.
Cætera semper agat, quamvis dignissima laude
Borsius, haud minor hac gloria parte venit.
Quod bonus afflictis succurrere novit, et idem
Magna solet meritis præmia ferre viris.
Sæpius hoc alii senserunt, Angele, rursum
Ad vivas sitiens ipse recurris aquas.

N°. LXXXIL

N°.

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