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DINO COMPAGNI

Le poche notizie, che si hanno di Dino Compagni, nato

di nobile schiatta in Firenze, sono tratte unicamente da varii luoghi della sua Cronaca. Parlando egli di se medesimo all' anno 1282., ove narra le prepotenze di cui cominciavano ad usare i Guelfi in Firenze, dice che per opporsi loro si raunarono insieme sei cittadini popolani, fra' quali io Dino Compagni fui, che per giovinezza non conosceva le pene delle leggi, ma la purità dell' animo e la cagione che la città venia in mutamento. Il Muratori congettura che Dino avesse allora 20. o 25. anni di età; ma a me sembra difficile, dice il Tiraboschi, che un giovane di sì pochi anni potesse aver bastevole autorità per farsi in certo modo capo d'una sollevazione popolare, e per arringare i cittadini in sì importante occasione. L'anno 1289. era per altro, secondo ch' egli dice, uno de' Priori, e fu gonfaloniere di giustizia nel 1293, nel quale anno a lui dovette Firenze la scoperta d'una congiura ordita contro Giano della Bella, e adoprossi ad opprimerla, ma con esito non pienamente felice. Varii altri pubblici incarichi egli sostenne, come può vedersi da varii luoghi del suo scritto, e morì nel 1323, come leggesi nel MS. in cui si contiene la sua Cronaca: morì Dino Compagni a dì XXVI. di Febbraio 1323. Sepulto in Santa Trinita.

Dal 1280. incomincia Dino a narrare gli avvenimenti d' Italia, e principalmente di Firenze sua patria. Egli ci dichiara le ragioni che lo mossero a scrivere, dando così principio alla sua Cronaca. Le ricordanze delle antiche storie hanno lungamente stimolato la mente mia di scrivere i pericolosi avvenimenti non prosperevoli, (1) i quali ha sostenuti la nobile città, figlia di Roma, (2) molti anni, e spezialmente nel tempo del

(1) Avvenimenti pieni di pericoli, senza riuscire a prospero fine. (2) Cioè

Firenze.

giubbileo dell' anno 1300. Io scusandomi a me medesimo siccome insufficiente, credendo che altri scrivesse, ho cessato di scrivere molti anni: tanto che (1) moltiplicati i pericoli e gli aspetti (2) notevoli, sicchè non sono da tacere, propuosi (3) di scrivere a utilità di coloro che saranno eredi di prosperevoli anni, acciocchè riconoscano i beneficii da Dio, il quale per tutti i tempi regge e governa. Rispetto poi alle cose ch' egli è per narrare, si protesta di volere scrivere con tutta verità quelle ch' egli stesso vide ed udì, e quelle che chiaramente non vide, secondo quello che udì dagli altri, e secondo la maggior fama. Quand' io incominciai, propuosi di scrivere il vero delle cose certe che io vidi e udii; perocchè furono cose notevoli, le quali ne' loro principii nullo (4) le vide certamente come io. E quelle che chiaramente non vidi, propuosi di scrivere secondo udienzia. (5) E perchè molti, secondo le loro volontà corrotte, trascorrono nel dire, e corrompono il vero, propuosi di scrivere secondo la maggiore fama. (6) Malgrado siffatta protesta v' ha chi sostiene che Dino scrisse a passione, facendo apparir peggiori che non erano i Fiorentini, dicendo ex. gr. che superbi e discordevoli erano divenuti grandi nelle opere rie, che non conoscevano nè amore nè umanità, e che Firenze al suo tempo era ricca di proibiti guadagni ec. Ma chiunque con occhio ben sano rimirerà da qual fine egli fu mosso a scrivere in quella guisa, conoscerà non doversi prendere quel biasimo tale quale egli lo dà, nè in assoluta, ma in respettiva maniera di dire, perchè infatti egli loda altrove la sua patria, quando il merita, con epiteti parzialmente distinti. Dall' altro canto se in biasimarla egli adopera talvolta parole un po' troppo gravi, i fatti da lui raccontati sono certissimi, com'è certo altresì che Firenze era a quel tempo sommamente corrotta; e basti, a rendercene convinti, l'orrenda pittura che Dante, contemporaneo di Dino, ci ha fatta de' Fiorentini in più luoghi della sua Commedia. Ora egli li appella pieni di invidia, di superbia e di avarizia, ingrati, maligni, nemici del ben fare, e bestie; (7) ora, cittadini senza giustizia, (8) orgogliosi e dismisurati; (9) ora, cani e lupi per la loro ingordigia ed avarizia: (10) e chiama

(1) Finchè poi. (2) Le aspettative, o le speranze, degne di notarsi. (3) Antico, per proposi. (4) Nessuno. (5) Secondo quel che io udiva. (6) Cioè secondo quello ch'era detto e creduto dalla maggior parte delle persone (7) Inf. C. VI. e XV. (8) Purgat. C. VI. (9) Inf. C. XVI. (10) Purgat. C. XIV.

Firenze pianta di Lucifero, (1) terra prava, (2) trista selva, (3) e l'Arno, fossa maladetta e sventurata. (4) Tale è il ritratto che Dante ci ha lasciato della sua patria: e a chi dicesse ch' egli parlò a passione e secondo lo sdegno da lui concetto contro Firenze per lo forte dolore della povertà e dell' esilio, a confermare ch' ei gridava da' suoi poemi parole acerbissime, ma vere, contro i rei costumi che guastavano i suoi concittadini opporremmo l'autorità del Boccaccio, che leggendo e spiegando nella Chiesa di Santo Stefano il divino Poema, in mezzo Firenze, da un sacro scanno, in sugli occhi di tutto il popolo disse vere, disse giuste quelle riprensioni, e gridò egli pure essere i Fiorentini avarissimi, invidiosi, superbissimi, nel parlare altieri, presuntuosi nelle spese, furiosi, spregiatori della Divinità, e contaminati di rivenderie, di baratterie, di simonie, di usure, di falsità, di tradimenti, e di altre lordure. (5) Per le quali cose si fa manifesto che il nostro Dino non fu nè bugiardo nè disonesto nel rappresentarci la Firenze de' tempi suoi guasta e disfatta per opere rie, nè chiamar deesi passione ciò che in lui è testimonio di franco animo e liberissimo. Nè il suo dire potea muovere da mentita cagione; imperocchè, dice il Muratori, quantunque egli non lasciasse onde conoscere a quale delle fazioni s' appartenesse, tuttavia è manifesto aver egli amato il retto governo, aver sempre raccomandata la concordia e la pace, e nello scagliare i suoi dardi contro i rei e il mal guidato governo non avere oltrepassati i termini dell' onesto, ma sì mostrato lo zelo di pio e buon cittadino. An vero Dinus, cujus nomen ex Aldobrandino efformatum brevitatis causa putatur, Ghibellinae factioni addictus fuerit, decernere non ausim. Illud potius hinc manifeste colligas hominem fuisse recti regiminis amatorem et pacis suasorem perpetuum: et quamquam in cives suos acerbis interdum querelis invehatur, non eum tamen extra orbitam rapuit affectus; immo ubique zelum boni civis ostendit.

Più difficile sarebbe il discolpare il nostro Storico dalla taccia d'invidia, per non aver fatta menzione alcuna di Dante Priore insieme con lui. (6) Solamente egli dice, che quando fu proscritto trovavasi ambasciatore a Roma, senza accompagnarlo pure d'una parola d'encomio o di condoglianza. V' ha chi crede

(1) Parad. C. IX. (2) Inf. C. XVI. (3) Purgat. C. XIV. (4) Purgat. C. id. (5) Comento sopra Dante. (6) Dante risiede nell'uffizio del Priorato dal dì 15. Giugno al dì 15. Agosto del 1300., e aveva allora 36. anni.

giustificarlo col dire, che Dino omise di annoverare tra' Priori quel Grande, perchè non ebbe cuore di dargli nè biasimo nè lode, non consentendo in fatto di politici divisamenti. Io non so quanto possa valere una siffatta discolpa: questo so bene che nè mancanza di animo nè diversità di opinioni liberano lo Storico dall' obbligo di tramandare alla memoria de' posteri i fatti nel modo che sono avvenuti; che superiore ad ogni riguardo e ad ogni interesse, e coll' auimo libero da amore e da odio, da timore e da speranza, egli esser dee propugnatore magnanimo della verità e della ragione; nè Dino, che circostanziatamente descrive le più minute cose, le pratiche, i discorsi, la leggerezza di tutti i Fiorentini allora più influenti, avrebbe dovuto tacere il nome di Dante, che da magistrato avveduto e saggio consigliò i Priori di esiliare i capi delle due fazioni, che dividevan Firenze; di quel Dante, che per nascita, per parentele, per amicizie e nimicizie, e per ingegno, non potè starsi straniero alle patrie vicende.

Alcuna incostanza si scorge talvolta nel nostro Dino, dicendo egli, per darne qui un cenno, ora scherigli, e ora sgarigli, quando Uguccione dalla Faggiuola, e quando da Faggiuola ec. È pure da notare che non si devono tenere per isbagli alcuni patronimici ch' egli pone talvolta per cognomi, come per ragion d'esempio Baldone Angiolotti e il Corazza Ubaldini, detto anche da lui semplicemente il Corazza da Signa, parlando di Baldone d'Angiolotto de' Marsilj, e di Guido chiamato il Corazza, figliuolo d' Ubaldino degli Aldobrandinelli da Signa; essendo questa un'antica usanza, secondo la quale anche il nostro Dino è detto patronimicamente Compagni, alla latina, da Compagno suo padre. Curioso parimente si è quello, col quale egli chiama Oderigo Giantruffetti colui, che per antiche autentiche scritture si trova essere nominato Oderigo di Giovanni di Truffetto d' Oderigo di Fante de' Fifanti, all' opposto di quel che fece per isbaglio Lionardo Aretino, che il denominò Oddo d' Arrigo, dividendo in due un solo nome. Un'altra varietà finalmente più notabile di tutte queste s'incontra nella persona del Vescovo Guglielmo d' Arezzo, ch' era, come Dino vuole, de' Pazzi; eppure il Villani e gli altri Storici ce lo danno tutti per degli Ubertini. Ma io, dice il Coletti, annotatore ed ampliatore dell' Italia Sacra dell' Ughelli, credo più a Dino Compagni, che visse al tempo del detto Vescovo e ben lo conobbe, che al Villani, che fiorì dopo i tempi di Guglielmo.

Dino e Dante, dice il Benci, erano di simile età, e fu la lor sorte simile, simili anche come scrittori. Dante, divino

poeta, scrisse alcune prose; Dino, grande Storico, scrisse alcune poesie. (1) Dante fa nel suo Poema tali ritratti delle persone, che dimostra l'immagine viva; Dino qualifica così nella sua Storia i suoi personaggi. Ed hanno tutti e due lo stesso amore della rettitudine, la stessa rabbia contro il maleficio, pari giustizia, pari energia, pari odio a chiunque incitasse gl' Italiani a discordia. Dino compiè la sua Storia con gran conforto, narrando una ad una l'infausta fine de' sovvertitori della repubblica; Dante gli dipinge tormentati nell' Inferno. E come questi due scrittori restano tuttavia mirabili e distinti secondo il loro genere, così hanno l'anteriorità comune. Prima di loro la poesia e la storia erano meno che mediocri nel nostro volgare. Dino e Dante erano di quelli, per cui non c'è secolo d'ignoranza. I loro fatti mostrano come cercassero di fondare la felicità e la forza pubblica nella virtù e nel vincolo sociale ben collegato; che se non riuscirono, il tentarono. E un bene lo fecero: migliorati a' lor tempi gli ordini della città in utile dell' universale. (2)

La Cronaca di Dino, che comprende i fatti avvenuti dal 1280. fino al 1312. si merita di essere collocata in altissimo grado; nè si può leggere senza commuoversi fortemente alle sue narrazioni. Quest' ammirabile Scrittore dice sempre il vero, coll' animo veemente all' amor della patria, col cuore acceso di religione purissima. E incomincia la storia da quell' istante, ch'egli ancor giovanetto offriva ai popolani l'eloquenza e l' opera onde si riordinasse il governo guasto da' prepotenti. E seguita poi di raccontare e d' operare, pietoso alla sventura, irato all' ambizione, generoso di lodi e di rampogne. Nè cessa dall' ufficio di magistrato e di storico, finchè non lo stringe il dolore della mal riuscita impresa. Egli allora posa la penna e si compiange. Compianto severo e vindice! Poichè l' afflitto prorompe in malaugurate predizioni, che i tempi hanno verificate. (3)

sua,

(1) Quantunque l' Ubaldini, nella Tavola ai Documenti d'Amore del Barberino, chiami il nostro Dino uomo non punto volgare nelle rime, tuttavia non ci ha lasciato cosa, per la quale si meriti di essere tenuto in pregio come poeta. Il Crescimbeni riporta un suo Sonetto, omesso dall'Editore Fiorentino, e che incomincia:

Non vi si monta per iscala d'oro.

E il medesimo Ubaldini, notando che alcune poesie di Dino si trovano in Roma nella Vaticana e nella Barberina, dice che tra queste v' ha un Sonetto indirizzato a Messer Giardino, che principia:

La 'ntelligenzia vostra, amico, è tanta.

(2) Proemio alla Cronaca di Dino Compagni. (3) Id. loc. cit.

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