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netto, non ne andiamo per verità persuasi; imperocchè sulla fine vi si leggono le seguenti parole: l'una parte è Guelfi traditori, e l'altra sono i Ghibellini paterini . Ora è molto difficile, per non dire impossibile, che Brunetto caldo fautore, com' egli era, del partito de' Guelfi, volesse appellarli col nome ingiurioso di traditori, e dichiarare per conseguenza anche se macchiato di quella pece. Finalmente il Poggiali nella Serie dei testi di lingua stampati Vol. I. fogl. 199. scrive: « d' un' altra operetta inedita del Latini ci piace di far qui ricordanza la quale fa parte d'un nostro Codice a penna, segnato col N. 142. Eccone il titolo: volgarizzamento dell' epistola di Marco Tullio a M. Marcello suo fratello nominato Quinto Cicerone, essendo rifermo proconsolo d' Asia. (1) » Anche nel Catalogo dei Codici manoscritti della Biblioteca Riccardiana, pubblicato dal Lami, si legge: LATINI BRUNETTO. Orazioni di Cicerone per M. Marcello e per Quinto Ligario, Epistola a Quinto suo fratello, tradotte. Malgrado l'autorità di questi due letterati, siam di parere per varie ragioni che il volgarizzamento della suddetta Epistola non sia di Brunetto. In primo luogo non sapremmo dire se il Codice Poggiali ne facesse veramente autore Brunetto, o se fosse una mera opinione dello stesso Poggiali, e neppure con qual fondamento anche il Lami lo riponesse fra le scritture di Brunetto; ma egli è certo che nessuno dei quattro Codici della Riccardiana, che contengono questo volgarizzamento, e de' quali si servì l' Ab. Fontani per pubblicarlo, e nemmeno quelli delle altre Biblioteche Fiorentine, da noi riscontrati, non portano il nome di Brunetto. In secondo luogo il Salviati, ch' era molto addentro in siffatte materie, lo crede sicuramente dettato verso il 1350. Finalmente ciò che più ci muove a toglierlo a Brunetto sì è, che vi s'in

lettere in Firenze, state per lunghissimi tempi seppellite in quell' universale dimenticamento di tutte le buone arti, causato dalla pestilenziale inondazione de' Barbari. Fu egli sommo filosofo ed eccellente oratore, e da cui primieramente i fiorentini appresono i precetti dell' ornato parlare, cavati molto acconciamente da lui dal puro fonte degli autori latini. Fu segretario della repubblica, ond' ei s' ingegnò dai libri d' Aristotile di mostrare ancora quell'arte, che riguarda intorno ai governi; perchè si può dire ch' egli fosse stato molto utile alla sua patria, e che perciò meriti di essere ragionevolmente annoverato tra i suoi più illustri cittadini, come che l'avere avuto imputazione di essere stato molto arrendevole ad amori poco onesti, avesse in gran parte oscurato la gloria

delle sue molte virtù. »

(1) Fu pubblicato dall' Ab. Fontani dietro alla versione di Vegezio fatta dal Giamboni. Firenze 1815.

contrano alcuni modi, che non sono del suo fare; fra gli altri ex. gr. la voce respublica vi è traslatata in repubblica, mentre in tutte le traduzioni non solo delle cose di Tullio, ma ancor di Sallustio, fatte per Brunetto, egli l' ha costantemente resa colla parola Comune.

Esposto tutto ciò che ci è sembrato conveniente intorno alle opere sì edite che inedite di Brunetto, non voglian lasciarlo senza prima spendere qualche parola sul pregio, in che si meritano di essere tenute le sue scritture, e senza aprire il nostro sentimento a coloro, che le hanno per dettate in volgare vile e plebeo. L'autore del libro della volgare eloquenza (1) pose Brunetto nel numero di coloro, che usarono, scrivendo, la favella de' municipj propri, e non la illustre e cortigiana. Su questa opinione riposando quelli, che fan brutta cera al maestro dell' Alighieri, e di più traendo cagione di vituperarlo da uno scritto (2), che non è opera sua, e giudicandolo ancora dai testi che abbiamo delle sue cose, stampate con ortografia sì barbara e intrigata, e troncamenti e errori sì molti, da non polersene con pazienza sostener la lettura, lo hanno per tutto ciò sentenziato come scrittore da non valere la fatica di leggerlo. Alla sentenza dell' autore del libro soprallegato, e all' opinione da questi ultimi mal concetta contro Brunetto, contrapporremo l'autorità del Villani, storico degno di tutta fede, che lo disse sommo maestro in rettorica, tanto in bene sapere dire come in bene dittare.... e cominciatore e maestro in digrossare i Fiorentini, e farli scorti in bene parlare. (3) Õra, un che dalla Storia ci vien celebrato come sommo maestro sì nel parlare che nello scrivere, non dovrà esser poi così spregevole e tristo, come per alcuni si pensa. Ma senza saprastare in questa ed in altre sentenze, che potremmo addurre in difensione del nostro Brunetto, dimanderemo col Prof. Rezzi che vagliano i detti e le opinioni di chicchessia, se il fatto sta contro? E il fatto è, che il volgare di tutte quelle scritture di lui, che abbiam messe davanti agli occhi de' nostri lettori, sanate di quelle piaghe, che le rendean così brutte, non è nè plebeo nè vile, ma corretto, nobile, grave, elegante, breve, ed efficace tanto, quanto e più che la prima età della nostra favella potea portare, e, ardiremo anche di dire, notabile e pregevole molto per una certa artificiosa e variata armonia nelle clausole, la quale è ben raro di trovare ne' più antichi nostri Scrittori.

uomo,

(1) Lib. II. cap. XIII. (2) Il Pataffio. Vedi il Vol. II. p. 248. (3) Cron. lib. VIII. C. X.

VOLGARIZZAMENTO

DEL TRATTATO DEL GOVERNAMENTO DEI PRINCIPI

DI EGIDIO COLONNA

Egidio Colonna o dalle Colonne, detto anche Egidio Ro

mano, di gentile famiglia Napolitana, fu Frate e Generale dell' Ordine Agostiniano. Egli si ammaestro negli studi sotto S. Tommaso d' Aquino nella Università di Parigi, nella quale poscia insegnò con tale apparato di dottrina, che meritossi di esser chiamato Doctor fundatissimus. Fu fatto Arcivescovo di Bourges nel 1294, intervenne al Concilio di Vienna nel 1311. e morì in Avignone ai 22. di Dicembre nel 1316.

Egidio compose in latino un gran numero di Opere, non meno piene d'ingegno che di erudizione, le quali s' aggirano quasi tutte sopra materie di Teologia o di Filosofia scolastica. (1) Fra queste fu avuto in gran pregio il Trattato de regimine Principum, ch' egli dettò per Filippo il Bello figlio di Filippo l' Ardito di Francia, del quale era stato scelto per precettore. Non si tosto comparve questo eccellente libro, che fu traslatato di Latino in Francese, e di Francese nella nostra lingua volgare. (2) Due sono i Codici che contengono quest' ultimo volgarizzamento,, non mai pubblicato per le stampe, l' uno Magliabechiano segnato col N. I Clas. XXX. e l'altro Riccardiano col N. 2287. (3) Che l'autore di esso sia stato Deusdedit, ossia Diotidiede o Diomidiede, detto anche Dede e Dedi Buonincontri, grande amico di Brunetto Latini, (4) lo afferma il

(1) In volgare abbiamo di lui un Comento sopra la famosa Canzone di Guido Cavalcanti. (2) Fu anche tradotto in Ebraico. (3) Un frammento di questa versione esiste pure nella Biblioteca del Marchese Rinuccini. (4) Brunetto, inviando a Diotidiede il suo volgarizzamento dell' Orazione di Tullio per Quinto Ligario, lo appella suo caro e verace amico e di valoroso core, il quale non desidera altro che le valenti cose.

Mehus, che scrive: in Codice membranaceo Bibliotheca Magliabechiana Egidium vidi de regimine Principum ad Philippum Philippi Francorum regis filium natu maximum, quem e Gallicano sermone Italice deduxerat Diotidiede. (1) Il Codice Riccardiano non ha il nome del volgarizzatore, ma nel Magliabechiano, citato dal Mehus, si legge alla fine del Trattato: qui finisce el livro del governamento dei re e dei principi che frate Gilio di Roma dell' Ordine di santo Agustino ha fatto: el quale livro.... (2) per lo comandamento del

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nobile re di Francia coll' aiuto di Dio ha traslatato di latino in francesco, et dio di francesco in toscano, non ag. giugnendo nè non menovando parola. Benedetto sia Jesu Cristo.

Fatto e compito mezzedima (3) 16. di giugno en anno Domini MCCLXXXVIII.

Qui il volgarizzatore Toscano non è indicato veramente col nome di Diotidiede, come dice il Mehus, ma con quello di Dio, che dovea valere lo stesso, e pronunziarsi ancora così troncato, traslatata da Deusdedit la prima parola Deus, e la sciata la seconda dedit. Nè vale il dire che nel Codice potrebbe leggersi forse ed io, invece di e Dio, e tenersi perciò lo stesso copista per autore anonimo del volgarizzamento; imperocchè in quel caso dir dovrebbe et io, e non et dio. Pertanto Dio è tutt'altro che il nome del copista; e s'è, come appare il nome del volgarizzatore, non può stimarsi che un troncamento di Diotidiede. Più ragionevolmente potrebbe uno dubitare se questo Dio o Diotidiede sia il Buonincontri, o alcun altro, essendo nel Codice taciuto il cognome. Ma, perocchè noi sappiamo che Diotidiede Buonincontri si dilettava assai di tradurre, com'è notato dal Mehus, (4) e a ciò fare pregava pure spesse volte Brunetto, che traslatò tra le altre cose ad istanza di lui l' Orazione di Tullio per Quinto Ligario, è a credere verisimilmente ch' egli, e non un altro Diotidiede, sia il volgarizzatore del Trattato d' Egidio. Lasceremo ai critici definir la questione. Comunque però sia la faccenda, la versione appartiene al Secolo, del quale abbiamo preso a svolger le Opere, ed è scritta con quella proprietà di vocaboli e gentilezza di modi, che più s' accostano alla natura.

(1) Pref. alle Lett. di Ambr. Camald. (2) Vi son qui nel Codice due parole, le quali senza dubbio inchiudono il nome del traduttore Francese, ma scritte così scorrettamente che non abbiam potuto rilevarle. (3) Voce antica, che vale mercoledì, ch'è la metà della settimana. (4) Loc. cit.

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Alcuni idiotismi, che si leggono nel Codice Magliabechiano, mostrano che questo fu copiato dalla mano d' un Sanese, come fra gli altri essare per essere, vivare per vivere, cognosciare per cognoscere ec. il qual modo è proprio de' Sanesi. Vi si legge pure el per il, en per in, se' per se i, ensegnare per insegnare, e per i, mollie per moglie, livro per libro justo per giusto, ed altre voci di sì fatta ortografia, alle quali non abbiam creduto dover qui dar luogo, molto più che quasi mai, o ben di rado, s' incontrano nel Codice Riccardiano e nel frammento del Marchese Rinuccini. Abbiamo però mantenuti scrupolosamente quei vocaboli e modi di dire antichi, ed anche quei latinismi e francesismi, i quali tuttochè andati ora in disuso, servono alla storia della lingua volgare, e a far fede dell' età, in cui le scritture furon dettate.

Il Trattato è diviso in tre libri, il primo de' quali abbraccia quattro parti, tre il secondo, ed altrettante il terzo. Il volgarizzamento è assai discosto dal testo latino, essendovi omesse molte cose, e non mantenuta sempre nelle altre una rigorosa fedeltà; di modo che si potrebbe meglio appellare col nome di Compendio. Ma di ciò non debb' essere accagionato il nostro Diotidiede, ma sì il traduttore Francese, la cui versione egli prese a traslatare scrupolosamente in volgare, come dic' egli stesso in quelle parole citate di sopra, non aggiungnendo nè non menovando parola.

DEL GOVERNAMENTO DEI PRINCIPI

PROEMI0

Al suo speziale Signore nato di lignaggio reale e santo Messer Filippo, primo figliuolo e reda (1) di Messer Filippo tranobile (2) re di Francia per la grazia di Dio, Frate Gilio (3) di Roma suo cherico umile e devolo fratello (4) dell' Ordine di Santo Agustino, (5) salute e quantunque può di servigio e d'onore. Il libro del governamento delle città c'insegna che tutte le signorie non durano ugualmente, cioè tanto l'una come l'altra, nè tutti i governamenti dei re nè dei principi non sono

(1) Reda o rede, erede. (2) Nobilissimo, in franc. tres-noble. (3) Egidio. (4) Il testo lat. ha solamente suus devotus frater. (5) Agostino, fognato l'U, come si usava dagli Antichi .

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