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ALBERTANO GIUDICE DA BRESCIA

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Assai scarse sono le notizie che di Albertano ci hanno lasciate gli antichi Scrittori. L'unico di essi, che ne abbia fatto menzione, è Jacopo Malvezzi Bresciano, scrittore del Secolo XV. il quale parlando de' tempi di Federigo II. dice che fioriva allora nella città di Brescia Albertano degli Albertani Giudice cittadino egregio e pieno di sapienza, il quale compose alcuni trattati di morale ad utilità de' suoi concittadini e degli altri. (1) Questi trattati, che Albertano scrisse in prigione, dove lo chiuse Federigo II. Imperadore quando prese a forza la città di Cremona, che era difesa dallo stesso Albertano, sono divisi in tre ragionamenti intitolati :

1. Dell' amore e della dilezione di Dio e del prossimo e delle altre cose, e della forma della vita onesta, indirizzato a Vincenzo suo figliuolo, e composto l'anno 1238. II. Del dire e del tacere, ossia delle sei maniere del parlare, indirizzato a Stefano altro suo figliuolo, e composto l'anno 1245.

III. Del consiglio e del consolamento, indirizzato a Giovanni, pur suo figliuolo, e composto l'anno 1246.

Da Albertano non dobbiamo certo aspettarci nè metodo di discorso, nè forza di raziocinio, nè precisione d'idee. Ma non è piccola lode ch' egli potesse far tanto; imperocchè egli spiega nella sua opera una dottrina ed una erudizione per quei tempi maravigliosa; abbraccia tutto quello ch'è a proposito per l'istruzione e pel bisogno del tempo suo; e quanto poteano somministrare le sante Scritture, le leggi civili ed ecclesiastiche, i trattati de' Teologi e de' Moralisti, le sentenze e gli esempi contenuti nei libri de' filosofi e degli storici antichi, tullo concorre e serve allo scopo dell' autore, di richiamare

(4) Script. rerum Italic. Vol. XIV.

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istruendo insieme e dilettando, gli animi alla concordia ed all' unione, col correggere i vizi privati ed i pubblici disordini, derivanti gli uni e gli altri dagli odi, dalle vendette delle parti civili, dallo spirito di dominazione e d'interesse particolare velati col pretesto del pubblico bene. (1) Un' opera di tanta dottrina presto si diffuse non solamente in Italia, ma in Francia, in Alemagna, in Inghilterra, in Polonia, ed in altre parti d'Europa. (2) Albertano la scrisse in latino; e la prima edizione del suo volgarizzamento in lingua Italiana fatto per un anonimo nel Secolo XIV. e che dagli Accademici della Crusca fu adottato per testo, comparve in Firenze dai torchi del Giunti l'anno 1610, (3) per opera di Bastiano de' Rossi, detto col nome Accademico l' Inferrigno.

Il Professore Sebastiano Ciampi, avendo scoperto nell' Archivio della Comunità di Pistoja un nuovo volgarizzamento di questi Trattati, fatto innanzi al 1278. per Soffredi del Grazia Notaro Pistojese, e dal quale apparisce vergine non solamente la lingua, ma la pronunzia eziandio, tale cioè quale l'uso dovea metterla in bocca al popolo Toscano, lo diede alle stampe in Firenze nel 1832. Quanto al pregio di esso in confronto di quello antecedentemente conosciuto nei Codici e nella edizione a stampa, il medesimo Ciampi scrive così: in quanto a me, parmi che il volgarizzamento Pistojese abbia in tutte le sue parti maggiore semplicità nella frase e nella dizione, e perciò, che il carattere della lingua sia più volgare, e vi si ravvisi minor copia di latinismi, e l' ortografia meno sistematica ed assai più incerta persino nelle medesime parole, che si ripetono scritte a poca distanza tra loro: segni manifesti della difficoltà ed incertezza de' primi tentativi fatti nello scrivere la lingua volgare, e che son più rari nella traduzione contenuta nei Codici conosciuti prima di questo. Quanto al carattere speciale del volgarizzamento di Soffredi del Grazia, è certamente spogliato di ogni erudito adornamento di stile; adopera nude e nette parole e frasi volgari di quella età: ciò non pertanto quel semplice parlare empie l' animo di non so quale soavità e persuasione e diletto, che non han pari in qualun

:

(1) Ciampi, Pref. al Volgarizzamento de' Trattati morali di Albertano. (2) Il trattato del Consiglio e del Consolamento fu voltato in Francese col titolo Livre de Melibée et de Dame Prudence; ed in Inglese dal celebre poeta Chancer, col titolo: The Tale of Melibeus: ed il trattato del Dire e del Tacere, in lingua del Belgio. (3) Fu ristampato in Mantova nel 1737, poi in Brescia nel 1824, e finalmente in Milano nel 1830.

T. III.

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que siasi altra scrittura de' secoli chiamati del buon tempo della lingua volgare.

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Egli lo pubblicò secondo la scrittura ch' era in quel tempo, acciocchè si veda quale fosse la lingua nostra d' allora quale il suo genio, quali le proprietà di essa, qual cosa si sia ritenuta e quale variata, o del tutto tolta via, e per qual mezzo si debbano dedurre e mantenere le origini delle parole. Ma noi, (nè temiamo che ce ne sarà fatto carico) negli squarci che di questo volgarizzamento recheremo ad esempio, stimiamo dover far uso della corretta ortografia; conservando bensì scrupolosamente quella scrittura, quelle forme e quelle voci che, quantunque irregolari o dismesse oggidì, sappiamo nondimeno per la storia della lingua essere state comuni e adoperate allora da' nostri Vecchi nei loro dettati. (1)

LO LIBRO

DELLA DOTTRINA DEL DIRE E DEL TACERE

Nel principio, nel mezzo, nella fine sia tuttora (2) la grazia di Cristo sopra 'l mio dire. In perciò che nel dire molti errano, e non è alcuno che la sua lingua pienamente possa domare, sì come dice santo Jacopo: la natura delle bestie de' serpenti, e di tutti gli animali si doma dalla natura degli uomini, ma la sua lingua neuno (3) puote domare; e in perciò (4) io Albertano breve dottrina sopra 'l dire e 'l tacere a te figliuolo mio Istefano (5) in uno piccolo versetto ti mostro. Lo verso è questo: chi se', e che, ed a cui, di cagione, e modo, e tempo richiedi. (6) Ma perciò che questo verso è ponderioso (7) e scuro e generale, e la generalitade pare oscuritade, (8)

ag

(1) Tali sono ex. gr. rascione, buscia, induscio, dispresciare, ed altre che noteremo a suo luogo. (2) Sempre, dal lat. tota hora. (3) Niuno: il lat. ne unus quidem. (4) E per questo, per questa ragione. (5) L'a giungere la lettera I alle parole, che incominciano da S impura, è d'uso antichissimo. (6) Il traduttore anonimo: Chi tu se', che cosa, a cui parli, perchè, come, e quando. (7) Ponderoso, grave. (8) Il traduttore citato: imperocchè queste parole sono gravi e generali, e generalmente hanno scurità in loro.

ho pensato di disporlo e di schiararlo per uno piccolo modo di mio senno. (1)

Adonqua, (2) figliuolo mio carissimo, quando vogli (3) parlare, dei cominciare da te medesmo, all' asseinpro (4) del gallo che, anti (5) che canti, si percuote coll' ale tre volte.

I.

Sopra la paraula (6) CHI SE'.

Ed imperciò nel principio del tuo detto, anti che lo spirito produca parole alla bocca, richiedi le parole del verso di sopra; richiedi, tant' è a dire quanto due volte chiedi e cerca. (7) Adonqua richiedi nell' animo tuo e da te medesmo chi se', e quello che dire vuoli, e se quello ditto (8) pertiene a te, o altrui; ma se pertiene altrui più ch' a te, di quello ditto non ti dei 'nframettere, sì come dice la legge: foll' è d' inframettere (9) di quella cosa, che a se non pertiene. Unde (10) dice Salamone (11) ne' Proverbi: così è quelli (12) che s' inframette nella briga altrui, come quelli che prende 'l cane per l'orecchie. Ed un altro savio disse: di quella cosa, ti molesta, non combattere. Appresso dei richiedere te medesmo in piano e in cheto senno, (13) e se se' irato o turbato; ma se l'animo tuo è turbato, non dei parlare sino che quello turbamento dura, sì come dice Tullio: elli (14) è grande vertude di costringere li animi turbati, e la volontade fare ubbidiente alla rascione; (15) e perciò dei tacere quando se' irato, sì come dice Senaca: (16) l'uomo irato non parla altro che peccato. E Cato (17) disse: o tu, che se' pieno d' ira, non contendere della cosa che tu non sai. E perchè madie? (18) per

che non

(1) Il trad. cit. di quella poca scienza che Dio mi ha mostrata. (2) Per adunque, frequentissimo negli Antichi. (3) Di vogli, o vuoli, o voli, usato in antico per vuoi, abbiamo parlato altrove. (4) Per esempio; e si trova con frequenza nel Novellino, nelle Vite de' SS. Padri, ed in altri. (5) Per anzi, prima, dal lat. ante, (6) Per parola, voce pur Provenzale, e si ode tuttodì tra i Pistojesi. (7) Il trad. cit. per tre fiate pensa nell' animo tuo anzi che tu vegni a parlare. (8) Per detto, più vicino al lat. dictum. (9) Per inframettersi: cioè, folle è chi s' inframette. (10) Onde, dal lat. unde. (11) Così oggidì anche la nostra plebe per Salomone. (12) Per quegli. (13) Con animo pacato. (14) Per egli. (15) Per ragione. Vedi le Nozioni Preliminari, Vol. II. pag. XXVIII. (16) Per Seneca così dice pure la nostra plebe. (17) Per Catone, al modo latino. (18) Madie e madio vuole il Ciampi che derivi dal lat. medius fidius, e forse anche da meo Deo, o meo Dio, cristianamente sostituito al medius fidius. Non potrebbe derivar meglio dal μ ▲íu de' Greci ?

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e

ciò che l'ira impedisce l' animo a ciò che non possa cogno scere (1) lo dritto dal falso. E un altro savio disse: la legge vede l'uomo corrucciato, ed elli non vede la legge. Ed Ovidio disse: o tue, (2) che vinci tutte le cose, or vinci l' animo e l'ira tua. E Tullio disse: cessi (3) Dio l' ira da noi, con la quale non si puote fare alcuna cosa buona in te. E per ciò Petro Alfunso (4) disse: la natura umana sì hae (5) questo in se, ché turbato l' animo dell' uomo, non hae discrezione nel cuore a giudicare lo dritto dal falso. E se dell' ira e dell' irato e del furioso vogli piue (6) pienamente sapere, leggerai nel li bro, lo quale feci, di sotto, dell' amore è della dilezione di Dio, e nel titolo là u' (7) t' insegno ischifare l' amistade dell' uomo furioso: e certo bene ti dei guardare che la volontà del dire non ti muova, nè t' induca a dire tanto che 'l tuo spirito non consenta alla rascione. E Salamone dice: l' uomo, che non puote costringere l'animo suo e lo spirito nel parlare, è sì come la cittade manifesta (8) e senza circuimento (9) di mura; e perciò è usato di dire l'uomo che non sae (10) tacere, non sae parlare; e così non sae l'uomo malto parlare, perchè non tacere. Ed un savio fue addimandato: perchè tanto taci? se' tu matto? Rispuose: (11) l' uomo matto non puote tacere. E Salamone disse: dell' oro e dell' argento fae (12) burbanza, (13) e delle parole tue fae slatera, (14) e poni alla tua bocca li dritti freni, e guarda non per avventura discorressi (15) nella lingua, e che 'l casso (16) tuo non sia insanabile nella morte. E ancor disse: chi guarda la bocca sua, sì guarda l'anima sua e chi non è moderato a parlare, sentirà pena. E Cato disse: penso che la prima vertude sia di costringere la lingua, e quelli è più amico di Dio, che sae tacere per rascione. Nella terza parte richiedi te medesmo, e da te medesmo ripensa nell' animo tuo chi tu se' che vogli altrui riprendere e dire, e se tu potresti essere ripreso di simile fatto o ditto. E San Paulo disse nella pistola (17) a' Romani: da escusare (18) non se' tu che

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sae

io

(1) Conoscere. Così in antico al modo de' Latini, e resta tuttavia tra la plebe. (2) Per tu, per istrascico di pronunzia, come usano i Fiorentini nel parlar familiare. (3) Allontani. (4) Alfonso. (5) Per ha. (6) Per più. (7) Ove, troncato dal lat. ubi, che così si disse anticamente anche in prosa oggi è rimasto alla poesia. (8) Cioè, che si può veder tutta dentro (9) Circondamento, recinto. (49) Sa. (11) Rispuose, puese ec. è frequente negli Antichi. (12) Fa, voce dell' imperativo. (13) Alterigia, vanto, ec. (14) Stadera, misura. L'originale latino ha: argentum tuum confla, et verbis tuis facito stateram. (15) Trascorressi. (16) Cassa del petto: petto. (17) Epistola. (18) O al modo del lat. excusare, o per iscusare.

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